Non tutti conoscono la leggenda del mistico eremita Ru Li. La cui sapienza non aveva limiti, poiché acquisiva le nozioni tramite il più istintivo dei sensi, quello che risiede presso le papille gustative umane. Ogni qualvolta il grande saggio percepiva la necessità di comprendere profondamente qualcosa, egli usciva dalla piccola caverna sopra le montagne di Mo Su. Camminando col nodoso bastone da passeggio, guidato da un’intuito quasi soprannaturale, raggiungeva l’obiettivo, ne prendeva un pezzo e lo mandava giù. Ru Li mangiava funghi, frutta, radici. Ru Li mangiava insetti, corteccia, piume. Ru Li mangiava persino, talvolta, piccoli pezzi di pietra. Tuttavia nella sua vita, permaneva un rigido senso del rimorso esistenziale. In quanto non aveva mai potuto, nonostante il desiderio, divorare la quarzite. Roccia metamorfica, spigolosa, semitrasparente, durissima, affilata e sfolgorante. Tanto che persino il più barbuto degli Immortali, per quanto avesse mai potuto concentrare il sommo spirito durante il pasto, avrebbe riportato danni all’apparato digerente. Allora sapete cosa fece, costui? Mangiò un libro di cucina, proveniente dalle terre d’India, ben oltre l’ultima montagna ad Occidente di Mo Su. E quando ebbe terminato l’ultima pagina, come ben sapeva che sarebbe successo, nella sua mente prese forma un’idea. E se…Pensò scrutando la foresta sottostante mossa da un’alito di vento…E se creassi da me un’imitazione della pietra, usando i limpidi cristalli di khanda, che la gente di quei luoghi estrae dalla pianta di zhū zhè? Certamente, la sapienza artificiale non è pari a quella che si fonda sulla pura e incommestibile realtà. Ma resta, pur sempre, una minima parte dello scorrere del Tutto…
Di sicuro, ricreare in cucina qualche cosa che proviene dalle regioni meno visibili del mondo naturale non è semplice. Soltanto in pochi, possono riuscirci. E sembra impossibile pensare che anche nella nostra generazione, così lontana dalla gemma dell’antica Età dell’Oro, possa vivere qualcuno in grado di riuscirci. Eppure, è capitato. All’inizio del mese, è capitato: grazie all’opera di due (+1) studenti del Culinary Institute of America (CIA) a New York. Alex O’Brien Yeatts (portavoce, grazie ad Instagram) e la sua collega AbbyLee Wilcox, che pare abbia sostituito un terzo senza nome, costretto ad abbandonare il progetto causa di un cambiamento di programma negli studi. Abbandonare, si. Perché volete sapere quanto ci è voluto, a completare l’incredibile forma di questo giganteggiante geode ricoperto di cioccolata, oltre ai molti altri simili di colore rosso, arancione, giallo…? Sei interi mesi. Abbastanza perché molti cibi, se tenuti in modo inappropriato, potessero letteralmente andare a male. Ma non questo, custodito all’interno di un qualche grande frigorifero o dispensa, in una delle più prestigiose istituzioni gastronomiche degli interi Stati Uniti! Oltre 180 giorni, trascorsi a ruotare regolarmente gli oggetti, nella speranza che al loro interno i cristalli si formassero nella maniera corretta… Il che ha fissato una data sul calendario “quasi” perfettamente adeguata. Il geode, dopo tutto, è una metafora decisamente efficace dell’uovo di Pasqua, con la sua struttura esterna opaca e priva di attrattive particolari, nascondente al suo interno materiali variopinti e preziosi. Una scrigno senza serratura o cardini… Stiamo parlando, in natura, del tipo di roccia che si forma in occasione di colate laviche, con la presenza di bolle di un qualche tipo di gas. La circostante pietra di derivazione ignea, solidificandosi con un gradiente di temperatura, sviluppa quindi uno spazio vuoto, all’interno del quale si sviluppano raggruppamenti di cristalli in funzione della composizione chimica e le infiltrazioni di liquidi entrati per il processo di percolazione. Attraverso centinaia di migliaia di anni, ad una velocità tale da permettere agli atomi di disporsi seguendo il proprio rigido reticolo cristallino. Il contenuto del geode può essere di vario tipo: zeoliti, carbonati, solfati, persino celestite o opali. Il geode di gran lunga più comune, tuttavia, resta certamente il quarzo, di cui una delle qualità più stimate, al conto del gioielliere, è l’ametista. Nient’altro che una varietà impura, contaminata dalle radiazioni e una certa quantità di ferro, che gli dona la caratteristica e molto apprezzata colorazione viola. Ora naturalmente, persino se ricoperto di cioccolata, non stiamo parlando di un materiale particolarmente piacevole al palato. Proprio per questo Alex e AbbyLee hanno deciso di sostituirlo con dello zucchero, trattato secondo l’antica metodologia del nabat persiano…
O misri, come la chiamavano in India, o ancora semplicemente rock candy, alla maniera degli anglofoni moderni. Nella lingua italiana non c’è un’espressione convenzionale per definire il risultato di un tale approccio, che viene generalmente identificato con la dicitura indiretta di zucchero cristallizzato. Un cibo particolarmente semplice ma molto utile, tra le altre cose, a dolcificare le bevande, tra cui tisane, infusi o tè dei rispettivi paesi. Ma anche per preparare i dolci, come i tipici teschi di zucchero regalati ai bambini durante la Giornata dei Morti del calendario messicano messicano. Nella religione induista, questo zucchero veniva consumato secondo una leggenda dal dio fanciullo Khrisna, che lo apprezzava particolarmente assieme al burro.
La preparazione dello zucchero cristallizzato e funzionalmente piuttosto semplice, benché richieda una certa pazienza, e può anche costituire un semplice esperimento scientifico, utile a dimostrare il processo chimico della nucleazione. Tutto quello che occorre fare, essenzialmente, è riempire una bacinella d’acqua con una soluzione iper-saturata di acqua e zucchero (alcune fonti consigliano addirittura un rapporto di 1 a 3) ed immergervi una superficie sopra la quale i cristalli possano formarsi ed aderire. A questo punto è consigliabile portare il recipiente ad ebollizione, per ridurre ulterioremnte il suo contenuto di liquido e non lasciare altra scelta, allo zucchero, che iniziare un processo del tutto simile a quello della vera formazione del geode. Tradizionalmente, si dovrebbe impiegare un bastoncino tenuto fermo con una molletta, utile a formare una sorta di lecca-lecca o strumento da immergere nella tazza da bere. A distanza di qualche giorno, o anche poco più di una settimana, si potrà quindi estrarlo con attenzione, ottenendo una superficie dolcissima e nel contempo gradevole da guardare. L’aggiunta di coloranti alimentari potrà donargli del fascino ulteriore, richiamando le varie tipologie di minerali. L’approccio usato per creare l’interno del geode, nello specifico, consiste nell’impiegare, al posto del bastoncino, una superficie diseguale posta all’interno di uno stampo per uova di Pasqua. Alcuni video, su YouTube, consigliano la carta stagnola. Al termine dell’attesa, dunque, si otterrà senza falla un’emisfero cristallizzato al suo interno, perfetto per creare un dolce dall’aspetto incredibile, e tutto considerato, neanche un disprezzabile sapore. Un aspetto chiave dell’intera faccenda, dato il passaggio del riscaldamento dell’acqua, è che secondo il metodo convenzionalmente noto si dovrà lavorare all’inverso, creando prima l’interno del geode e poi ricoprendolo di cioccolata. Non certo versando direttamente lo zucchero in quest’ultima, come affermato erroneamente da alcuni blog, gesto che causerebbe l’immediato squagliamento dell’involucro esterno. Ed è proprio quello che dovrebbero aver fatto gli studenti del CIA. A meno che tra le mura della loro scuola non sia stato scoperto un nuovo, fantastico ed inimmaginabile approccio al problema…
La scelta del quarzo viola tra tutte le possibili alternative è tra l’altro piuttosto significativa. Secondo la mitologia greca, l’ametista era una pietra particolarmente utile durante le feste, perché si diceva che potesse prevenire l’effetto inebriante delle bevande alcoliche, se indossato al collo o immerso nel vino stesso. Da cui il nome stesso di a-méthystos, derivante dai termini per esprimere il concetto di non-ebbro, ma che era anche il nome di una ninfa dei boschi, che si diceva avesse attratto l’attenzione di niente meno che il dio del vino, Bacco. Non desiderando cadere vittima delle sue effusioni, quindi, ella fuggì e si fece trasformare dalla dea cacciatrice Diana in un cristallo. Il divino corteggiatore, seriamente irato, una volta giunto sulla scena non poté quindi far altro che gettare il contenuto del suo boccale sulla pietra, tingendola di viola da lì all’eternità. Questa origine mitologica, successivamente, avrebbe trovato un’eco in epoca romana, quando vigeva l’usanza che il padrone di casa di una festa bevesse acqua da un bicchiere di ametista, affinché potesse restare elegantemente sobrio mentre tutti gli altri si ubriacavano senza ritegno. Immaginatevi quindi l’effetto che potrebbe avere un intero geode commestibile, durante una festa in cui scorra alcol copioso, sull’intelletto del giusto tipo di commensali… Purché resti da parte, ovviamente, la fondamentale figura del guidatore designato. Vero eroe di qualunque occasione!
Nel frattempo sulle distanti montagne di Mo Su, il vecchio Ru Li non aveva di questi problemi. Lui che l’ultimo veicolo l’aveva conosciuto un centinaio d’anni prima di aver mangiato il dolcissimo fungo reishi, dei 9.000 anni di vita. E poi comunque, si era trattato soltanto di un mulo. Una volta costruito il suo geode, confortato da un simile splendore, l’Immortale attinse alla sua riserva di liquori provenienti da tutta l’Asia. Entro la fine della serata, ormai ne era ragionevolmente sicuro, avrebbe rivolto le sue domande geologiche all’Imperatore Giallo in persona….