Ieri 30 marzo 2017, alle 12:01 AM PDT una grave catastrofe ha scosso le fondamenta stessa di Internet, lasciando un segno profondo che non svanirà mai. Probabilmente, non l’avrete notata. Assordati dalle raffiche di fucile dei vostri giochi di guerra. Accecati dallo scintillio di mille caramelle scambiate tra loro al suono di musica da luna park. Privati del senso stesso del tatto, dalla feroce satira e le gesta spietate di GTA 5. Senza più alcun gusto, tranne quello paventato dalla profusione dei video di ricette su YouTube. Eppure, le cicatrici persistono, più chiare dell’alba stessa di un mondo illuminato dalla sua stella: pare che neanche una mega corporation come la Disney, dopo tutto, possa chiedere alcun tipo di favore al gigantesco ed impersonale Google, con i suoi algoritmi che garantiscono (affermano) di dire la più indissolubile verità. Provate voi, dunque, a ricercare una qualsiasi variazione sul tema del binomio “Club Penguin” un tempo associato a quello che deve aver certamente costituito il maggior successo digitale del celebre uccello nuotatore del Polo Sud. Lo troverete. Ancora per poco, lo troverete. Ma in un attimo sarete spostati, grazie al potere del redirect html, su qualcosa di simile. Eppure, tremendamente diverso. La splendida e patinata “Club Penguin Island”, con grafica tridimensionale, personaggi curati, introduzione cinematica… Abbonamento mensile… Quello, del resto, c’era stato da sempre, fin dal remoto 2005 in cui uscì la primissima versione ufficiale. Il problema va un po’ più a fondo di così: è davvero possibile che un qualcosa di beneamato possa scomparire, da un giorno all’altro, per evitare di farsi la concorrenza da soli nello stesso segmento di mercato? Oh, si. Auspicabile, persino conveniente. Nessuno è in questo business (soltanto) per far divertire la gente. E un intero mondo virtuale cos’è, dopo tutto, se non territorio fertile per sperimentare quanto sia facile esercitare il Potere Assoluto…
Quando c’era, l’avete ignorato. Per anni, nonostante i thread sovversivi, le leggende sussurrate sui forum, le voci di corridoio in questa scuola di non-vita che abbiamo avuto l’arroganza di definire il nostro terzo luogo, la casa via dalle debolezze, la fame e le imperfezioni della carne umana. Ora che manca, e mancherà per sempre, vorrete provarlo. Per qualche minuto, ne sentirete persino la mancanza. Pur non avendoci mai giocato! E poi continuerete, senza voltarvi, a proseguire per la vostra strada. Such is life. Eppure in verità vi dico, c’è stato un tempo, neanche tanto lontano, in cui Club Penguin era un fulmine di guerra pari alle armi mistiche degli ammazzadraghi, con i suoi 30 milioni di account, risultando in grado di catturare le fantasie di un’intera generazione. I tempi cambiano, e così i presupposti: avete presente quando una rivista stila la classifica delle 10 aziende di maggior successo all’interno di un determinato settore? Diciamo, per fare un esempio (per niente) a caso, nel mondo dei videogame. E voi le conoscete tutte, dalla decima alla quinta. Mentre le prime cinque, per qualche assurda ragione, non le avete mai sentite prima d’ora? Certo, è normale. Ricordatevi che l’intera popolazione del cosiddetto Mondo Occidentale, per tutto la sua concentrazione di potere e la percepita importanza, non è che una minima frazione del mare sconfinato di uomini e donne che vivono in India, Cina, l’intero Sud-Est dell’Asia. Infinite piccole nazioni, mettendosi assieme, possono creare un’onda di marea il cui potere terrificante spazza l’ammasso stesso dei continenti. E volete sapere qual’è la nazione più forte, più numerosa e potente di tutte? Quella il cui intero popolo non supera il metro e cinquanta d’altezza. La gran confederazione dei bambini in età scolare. Che crea lo spropositato successo di grandi classici su YouTube come “Apertura di 100 uova di cioccolata” oppure: “Recensione del nuovo castello di Barbie” i cui miliardi di visualizzazioni fanno impallidire persino i più celebri video musicali, o l’ultimo trailer di un film della saga di Star Wars. Nell’epoca del suo trionfo, Club Penguin fu questo: un luogo di ritrovo per i suoi giovanissimi utenti, al sicuro dal marketing indefesso e la feroce ricerca di guadagno delle major multinazionali. Ma fu anche, molto di più. E ora tutto ciò svanirà, come le calotte artiche soggette alla catastrofica ruina del mutamento climatico, oltre l’azzurro dell’oceano sconfinato…
Nella sua interpretazione più meramente tecnica, Club Penguin era un MMO (Massively Multiplayer Game) ovvero una creazione interattiva con server in grado di gestire un’alta quantità di utenti in contemporanea, ovvero fino a 300 per una singola istanza, impegnati in vari tipi di attività. Ovviamente, come in qualsiasi altro rispettabile gioco di questa categoria, erano presenti diverse metodologie di crescita, tra cui quella principale restava l’accumulo di coins, la moneta spendibile in varie personalizzazioni del proprio avatar, tra cui abiti, cappelli e puffles, una sorta di palle di pelo usate come animali domestici durante le proprie esplorazioni. Erano presenti una serie di ambienti diversi, tra cui una spiaggia, un iceberg, un molo, un paese, una pista da ballo… Ciascuno associato a diversi mini-game di natura piuttosto semplice, mediante i quali l’utente poteva tentare di dare la scalata al successo capitalistico nel regno dei pinguini. Ma il metodo più veloce, e valido, per raggiungere il successo, restava convincere i propri genitori ad investire una piccola somma di denaro mediante carta di credito, per ricevere interi barili di coins o addirittura acquistare un abbonamento rinnovabile, che dava diritto ad abiti e location particolari. Alcuni dei commenti più convinti critici del gioco, che non mancarono mai sulla stampa generalista statunitense, affermavano come ciò creasse una sorta di fenomeno di ghettizzazione tra i bambini più facoltosi Vs. quelli relegati al ruolo di pinguini free-to-play, con conseguente effetto diseducativo di un simile ambiente di gioco. Un po’ come accade nella vita vera, insomma.
Eppure, il sogno da cui nasceva Club Penguin era estremamente inclusivo ed aperto a tutti: forse avrete presente la vicenda personale di Richard Hendricks, il protagonista della serie Tv Silicon Valley. Un programmatore convinto della bontà della sua grande creazione, fermamente determinato a cambiare il mondo offrendola gratuitamente come piattaforma web per lo scambio riservato di file. Ecco, attorno all’anno 2000, la più celebre chat room per bambini di tutti i tempi nacque come progetto a tempo perso di Lance Priebe, con il nome originario di Snow Blasters. Era molto rudimentale allora, ma sufficientemente interessante da offrire margini interessanti di studio e miglioramento. Nel giro degli anni immediatamente successivi, quindi, egli creò la sua evoluzione Experimental Penguins, che rimase online brevemente, seguito da Penguins Chat e Penguins Football Chat. Nel 2003, Priebe si alleò con i due suoi colleghi della software house canadese Kelowna, Lane Merrifield e Dave Krysko, per formare una nuova sotto-compagnia, denominata New Horizon. La loro grande opera di uno “spazio sicuro per i bambini online”, negli anni tra il 2004 e il 2005, avrebbe infine raggiunto il mercato. Potendo contare sull’implementazione di molte idee dall’alto tasso d’innovazione.
Club Penguin presentava, essenzialmente, due modalità di gioco: la prima che impediva completamente la chat libera. I personaggi giocanti potevano esprimersi solamente attraverso delle icone o parole predeterminate, garantendo così che i bambini non potessero fornire accidentalmente informazioni private, o essere esposti a un qualsivoglia tipo d’espressione inappropriata. C’era poi la modalità, per così dire, libera, benché fosse tutt’altro rispetto a questo. La chat testuale del gioco fu sempre fortemente monitorata, e filtrata mediante l’impiego di algoritmi in continua evoluzione. Non soltanto le cosiddette bad words furono automaticamente vietate, dunque, ma anche ogni loro possibile variazione, inclusi espedienti come quelli d’inframezzarle con segni diacritici, oppure lasciare spazi e/o andare a capo a metà parola. Durante gli anni di maggior successo, in una sorta d’incubo post-orwelliano in puro stile 1984, Merrifield raccontò che su 100 impiegati della compagnia New Horizon, 70 erano pagati soltanto per monitorare la chat dei partecipanti, espellendo chiunque trasgredisse dalle ferree linee comportamentali scritte nel regolamento di gioco. Inoltre, i giocatori stessi potevano essere promossi al rango di “polizia di Club Penguin” con tanto di uniforme e cappello, e ricompensati sulla base del numero d’infrazioni segnalate ai gestori del sito. Questo modello di business, per quanto inquietante, non tardò a riscuotere il successo sperato grazie all’entusiasmo dei genitori, e nel 2007 la Kelowna riuscì ad attirare l’attenzione di niente meno che la Disney in persona, che gli fece un’offerta di acquisto integrale per ben 350 milioni di dollari. Credete che l’abbiano rifiutata? Erano inoltre previsti altri 350 milioni da ripartire tra il management in forma di bonus, a fronte del raggiungimento di determinati obiettivi entro il 2009. Nel frattempo, il New York Times asserì che Club Penguin stava avendo “sette volte più traffico di Second Life” a quel punto, tutto sembrava possibile.
Ma il target non fu mai raggiunto. Entro il 2012, i fondatori e parte dello staff originario avevano lasciato la New Horizon, mentre la Disney allentava lievemente la scelta categorica di evitare la pubblicità, per alcune operazioni di co-marketing con la squadra di pubblicitari associati alle sue ultime pellicole cinematografiche. Il problema fondamentale della venture, se vista da un’angolazione puramente commerciale, era che la stragrande maggioranza dei giocatori si accontenta dell’utenza free, senza mai sognarsi di acquistare una singola settimana di membership, o un solo coin. Ad aprile del 2015, fu svelato che la Disney aveva licenziato 28 dei membri rimasti dall’originale Kelowna, mentre a settembre vennero chiusi i server tedeschi. L’inizio del declino era chiaro. Entro il 2016, furono rimosse dagli App Store per cellulari le svariate app create di supporto al gioco principale ed a gennaio del 2017, come sappiamo fin troppo bene, fu annunciata la chiusura entro la fine del mese di marzo. E adesso, eccoci qui. Senza neppure un pinguino a cui chiedere spiegazioni.
Nell’ultimo giorno di Club Penguin, i server sono stati resi completamente gratuiti, permettendo a tutti di sperimentare finalmente l’ebrezza di possedere un puffle, vestirsi alla moda, visitare i recessi più esclusivi del mondo di gioco. Una folla composta da gente di tutto il mondo, nell’ora finale, si è radunata per offrire l’estremo saluto ad un micro-mondo relativamente antico ed ancora, nonostante tutto, profondamente beneamato. Qualcuno ha pianto. Altri hanno gridato la loro furia. È del resto, ormai, del tutto inutile negarlo: ci sono persone adulte nate e cresciute sul web. Per cui simili passatempi, inevitabilmente, hanno rappresentato una parte importante della loro stessa gioventù. Basti penare al memorabile discorso motivazionale di William, il personaggio della serie a cartoni animati giapponese Log Horizon, ambientata in un videogioco online che aveva preso vita ed intrappolato i suoi stessi partecipanti, poco prima della tragica battaglia finale: “Questo tempo che abbiamo speso a combattere…L’abbiamo passato insieme. NOI siamo quelli che non hanno argomenti per trovare connessioni con gli altri. Tutti i miei più sinceri amici, li ho incontrati qui. Non è triste, come qualcuno sceglie di trascorrere le sue giornate. Non è privo di significato. Ciò che facevamo era importante, soltanto perché NOI avevamo deciso che lo fosse.”
Nel romanzo meno noto di Kurt Vonnegut, Galapagos, l’umanità finisce per evolversi in una nuova razza di esseri, del tutto privi di mani, gambe e braccia. Con pinne per nuotare, zampe palmate e lunghi becchi, niente affatto dissimili da quelli di un pinguino. “Con le pinne non puoi tenere un fucile!” Affermava entusiastica la voce narrante. “Non puoi dare un pugno, non puoi scrivere il tuo odio a lettere di fuoco!” Si tratterebbe, senza alcun dubbio, di un mondo migliore. Ma non per questo, saremmo disposti a metterci la firma…No?