Mamma scrofa lo diceva sempre ai piccoli suini: “Se non potete essere graziosi, siate famelici. Grugnite, agitatevi, battete gli zoccoli per terra. Arrabbiatevi! Ed avrete da mangiare.” Funziona in molte situazioni differenti: nella foresta, dove un gruppo sfortunato d’escursionisti potrebbe incontrare la tipica versione selvatica dell’animale, il peloso, zannuto e temutissimo cinghiale. Come del resto, allo zoo, luogo privo della grazia ineffabile della totale libertà, ma d’altro canto di qualsiasi preoccupazione legata al cibo. Tranne che… Se avere 2 può essere abbastanza, se avere 3 un’occasionale colpo di fortuna, riuscire a conseguire per se stessi 7, 8 oppure 9 (patatine? Noccioline? Piadine?) può davvero colorare il senso e la struttura di una lunga e appiccicosa giornata. Il che riesce molto meglio se si resta impressi al primo sguardo, in senso non soltanto necessariamente positivo. Lo sa bene babirusa, il più misterioso e strano artiodattilo al mondo, il cui nome significa letteralmente nella lingua di Sulawesi e Buru “cervo-maiale”. Ora, se osservate attentamente questo esemplare in ottima salute, la cui aria posseduta ebbe certamente modo di far sogghignare quel giorno i visitatori di un qualche resort animale del Sud Est Asiatico, noterete che la coppia delle sue due zanne più grandi, arricciate sopra il muso come protezioni di un casco da football, è stata attentamente limata e spuntata dagli sfortunati guardiani preposti a tale mansione. Volete saperne la ragione? Perché altrimenti la natura grama, che di certo questa bestia non doveva averla in palmo di mano, avrebbe condotto tali denti senza falla a ritorcersi contro il suo stesso cranio. Arrivando, si ritiene, a trasformarne il possessore in carne pronta per fare il bacon.
Càspita, che convenienza! Per noi abitanti delle regioni circostanti al Mediterraneo, presso cui animali appartenenti alla stessa famiglia s’interfacciano con noi alla maniera, grosso modo, di giganteschi topi invasori, un tale feature non potrebbe che essere assai gradita. Un sistema di autodistruzione per i grandi capi del branco, in grado di farli fuori senza falla al raggiungimento del supremo stato di perdominio? Dove dobbiamo firmare per avere i vostri maiali? Ma la realtà è che tutti gli appartenenti alla sottofamiglia Babyrousinae, nonché all’unico suo genus Babyrousa, non invadono proprio nulla, appartenendo collettivamente all’ambito degli animali a rischio lieve d’estinzione, per la progressiva riduzione dell’habitat di appartenenza. Come gli animali preistorici a cui tanto rassomigliano, questi esseri a metà tra il cinghiale e l’ippopotamo potrebbero presto sparire, lasciando come testimonianza della loro esistenza solamente un riecheggiante grugnito. Assieme ad un gran mucchio di teste perforate. Potrebbe in effetti, sembrare l’esatto opposto del senso stesso dell’evoluzione. Un animale i cui denti possono ucciderlo: qual’è la ragione? Come in molti altri aspetti della vita ed il senso di questa creatura, la questione non sembrerebbe avere alcun senso. Le due zanne superiori, che tecnicamente sono i canini del maschio, crescono verso l’alto, fuoriuscendo dal muso attraverso la pelle, ma risultano in realtà piuttosto delicati, e per questo largamente inutili nei combattimenti. Fatta eccezione l’opportunità occasionale di deviare un colpo dei rivali in amore, evitando che gli occhi vengano colpiti dalla vera arma dell’animale, i due canini inferiori che crescono diagonalmente verso l’alto e l’esterno, arrivando a costituire delle vere e proprie sciabole, utili anche per scavare nel sostrato boschivo. Il che risulta molto importante per il babirusa, che essendo privo del disco osseo prenasale dei suini nostrani, non può scavare penetrare col muso direttamente nel terreno per cercare il cibo, a meno che si trovi in una zona paludosa dal suolo molle. Un aspetto molto significativo della sua biologia è la presenza di tre stomaci distinti, come i bovini, fattore che ha fatto sospettare per lungo tempo che potesse trattarsi di un ruminante, benché la realtà dei fatti abbia in effetti smentito l’improbabile teoria. Il cinghiale indonesiano si nutre di frutta varia, mango, funghi, foglie, insetti e noci dal guscio duro, che rompe facilmente grazie alla forza della sua mascella. Più raramente, dei cuccioli di altri mammiferi o persino, della sua stessa specie. Il suo aspetto e stile di vita bestiale, attraverso i secoli, ha influenzato gli usi e leggende delle popolazioni indonesiane…
Questi animali venivano considerati molto preziosi dalle popolazioni dell’area culturale balinese, che usavano le sue zanne per creare le collane e gli ornamenti dei capi tribù. Inoltre la loro carne, meno grassa e saporita di quella del comune maiale, era gustata come una vera prelibatezza. Il muso dall’aspetto mostruoso della creatura veniva spesso raffigurato come elemento decorativo dei templi e delle corti di giustizia, impiegando una prassi analoga a quella dei raksasa, l’interpretazione locale dei demoni cannibali della tradizione indiana. Esiste in particolare una leggenda locale, legata a culti animistici ancora più antichi, che vedrebbe l’esistenza dei Babi ngepet, stregoni in grado di assumere l’aspetto di uno di un cinghiale attraverso l’impiego della magia nera. Nel corso del rituale, questi avrebbero indossato una maschera ed un mantello nero, mentre un loro complice accendeva una candela sospesa sopra una ciotola d’acqua. Quindi lo stregone, coprendosi il volto, si sarebbe trasformato integralmente, potendo girare liberamente per il villaggio. Ed ogni oggetto o proprietà terrena contro cui avesse strofinato il suo corpo, incluse le porte e la mobilia, sarebbe sparito magicamente, per diventare di proprietà del malefico praticante dell’occulto. Per questa ragione, tradizionalmente, qualunque maiale selvatico si aggiri nei pressi di una comunità rurale indonesiana dovrebbe essere ucciso senza pietà, al fine di scongiurare la sconveniente sparizione di un qualsivoglia oggetto di valore. Un’altra strana diceria in merito all’animale sarebbe stata la sua capacità di appendersi ai rami degli alberi grazie alle sue zanne ritorte, per piombare dall’alto sopra le femmine oppure, talvolta, gli umani che dovessero passare sfortunatamente di lì.
Nella realtà dei fatti, fatta eccezione per la turbolenta stagione degli accoppiamenti, il babirusa è un animale piuttosto placido e tranquillo. Ne esistono quattro specie, secondo la classificazione attuale, sufficientemente simili da essere un tempo ritenute lo stesso animale. Quello di Sulawesi Nord (B. celebensis) è il più comune, pressoché glabro, dalla riconoscibile pelle grigia. Il secondo maggiormente noto alla scienza è il babirusa dell’isola di Buru (B. babyrussa) lievemente più piccolo e ricoperto di un’ispida peluria, non dissimile da quella dei cinghiali nostrani. Più problematico risulta essere invece lo studio del B. togeanensis, più grande e con il solo ciuffo sulla coda e di quello dell’isola di Bola Batu (B. bolabatuensis) considerato come discendente di un antenato diverso principalmente in funzione di un singolo cranio ritrovato negli anni ’50. Giunto il momento di partorire, la femmina è solita costruire una sorta di nido con i rami degli alberi e dei cespugli, misurante fino ai tre metri di diametro per 25 centimetri di profondità. Dopo una gestazione di circa 150 giorni, quindi, metterà al mondo un massimo di due cuccioli nonostante la quantità di capezzoli fosse in effetti superiore, mostrandosi molto meno prolifica dei suini appartenenti alla nostra area geografica. Anche questo, inevitabilmente, ha influito in maniera negativa sulla sua conservazione.
Il babirusa è l’unico animale al mondo i cui denti crescono attraverso la pelle, bucandola letteralmente da parte a parte, un po’ come avviene con gli artigli del supereroe Wolverine. Per questo, è stato fatto oggetto di uno studio medico nel 1999, al fine di comprendere l’origine della sua capacità di renderla nondimeno impervia ad alcun tipo di infezione. Una dote che potrebbe risultare molto utile negli umani, in tutti i casi in cui si necessita dell’impiego di una struttura estranea percutanea, come ad esempio un catetere, inevitabilmente soggetto ad occasionali complicazioni. L’origine di questo superpotere resta tuttavia, persino oggi, largamente inesplorata.
Volete sapere quanti babirusa restano attualmente allo stato brado? Circa 4.000. Non tantissimi. Ma neanche pochi. La fortuna di questo animale è la sua capacità di riprodursi prontamente in cattività, permettendo agli zoo di possederne una popolazione costante nel tempo, benché purtroppo affetta da un certo grado di consanguineità. Un episodio notevole fu l’accoppiamento accidentale, nel 2006 presso lo zoo di Copenaghen, di un maschio di babirusa con una femmina di maiale domestico (Sus scrofa) finendo per dare i natali a cinque cuccioli (non fertili) di vari colori. Purtroppo per loro, anch’essi destinati a veder crescere gli scomodi denti auto-distruttivi del loro più esotico genitore. Almeno, nel caso dei maschi. Ma non trovate anche voi che fossero, alla loro maniera, persino carini?
In definitiva, come negarlo, la bellezza è un valore per lo più soggettivo. Ed è indubbio che un essere famelico e rabbioso come quello mostrato in apertura possa comunque coinvolgere l’osservatore, con la sua vivacità ed il chiaro desiderio d’imporsi nell’attenzione dei possessori-di-noccioline. Dono gastronomico che non credo molti di noi, in simili circostanze, avrebbero mai pensato di rifiutargli. Tutti gli animali possono essere belli. Persino i cinghiali! Ma è sicuramente meglio che siano pochi rispetto a noi. Piuttosto che il contrario…