Come ogni altra volta si è verificato, ormai è successo. Non può essere portato indietro: alla metà esatta della notte prefissata, come da ics sul calendario, tutti i nostri più precisi dispositivi segnatempo sono diventati, all’improvviso, inesatti di un’ora. È un chiaro segno dell’inizio, della fine. Dell’inverno. Ben presto, nella danza cosmica dei corpi, l’inclinazione endemica di questa sfera rotolante che siamo soliti chiamare l’azzurro (pianeta) porterà il nostro emisfero a ricevere una quantità minore dell’energia luminosa e termica del Sole. Sarà magnifico. Sarà tremendo… Per coloro che amano sciare. In questo preciso momento, il candido manto che corona le discese di Cortina, Chamonix, Aspen, Ketchum… Si assottiglia progressivamente, mentre la materia più preziosa per chi ama le granite lascia il posto a trasparente, scivolosa ed inutile H2O. Finché l’arrivo delle piogge, inevitabilmente atteso, non darà il colpo di grazia all’apparato, lavando via quel poco che rimane dell’invernale scintillante eredità. È una chiara situazione di crisi, per quanto molto nota, che ci chiama a compiere una scelta. Rassegnarsi e far qualcosa d’altro. Oppure combattere, nell’ora dell’imprescindibile rivolta! E voi, da che parte state? Potrebbe sembrare, viste le ragioni di contesto, che agitarsi nel proprio bozzolo possa portare solamente ad una sofferenza esistenziale, mentre il ciclo delle stagioni continua imperterrito nei suoi mutamenti. Potrebbe sembrare, ma non è così.
Stranamente, nessuno ci aveva mai pensato prima di quel sagace momento. E neanche dopo: usare i cingoli, perché no. Mentre la tipica messa in pratica dello sci estivo, per come la vediamo oggi, prevede normalmente l’uso di una poco pratica dry slope, una lunga e larga striscia ricoperta di setole in Dendix, lo stesso materiale plastico che trova impiego nell’industria delle spazzole. Che offre un buon sostrato dal punto di vista tecnico, questo è certo, ma non può in alcun modo riprodurre la varietà di situazioni, l’ampiezza e la lunghezza di discese lungo le pendici di un monte vero. Per tale ragione, fin dagli anni ’60 del 900, è stata attentamente preservata l’invenzione di un tedesco, Richard Martin, che desiderava prolungare la stagione sciistica all’infinito. O almeno ciò afferma lo Historical Dictionary of Skiing di E. John B. Allen, pubblicato nell’ormai remoto 1982. Intendiamoci, Wikipedia tedesca preferisce dare il merito in effetti a un altro produttore, Josef Kaiser, arrivando a citare una non meglio definita invenzione austriaca di un secolo prima, che tuttavia non avrebbe avuto in alcun modo il successo meritato. Sembra esserci, dunque, una certa incertezza in merito all’effettiva provenienza dello strumento, mentre video come quello soprastante dimostrano il passaggio di un’epoca in cui tale approccio sciistico, rispetto ad ora, sembrava avere un successo maggiore tra la popolazione. L’efficienza del mezzo, ad ogni modo, resta più che mai evidente: simili al mezzo di deambulazione del comune carrarmato, gli sci d’erba o grasski, come vengono chiamati in inglese, si dimostrano più che mai efficaci nel continuare a fare pratica anche d’estate ed a distanza da un ghiacciaio. Il che, dopo tutto, era sempre stato il loro impiego predefinito. In grado di raggiungere facilmente una velocità di 70-80 Km/h, con il record del mondo fissato a 90, essi costituiscono senz’altro uno dei dispositivi di trasporto più estremi che si possano mettere ai piedi. Riuscendo a guadagnarsi, col trascorrere degli anni, una dignità sportiva innegabile, tale da giustificarne l’inclusione all’interno del carnet della FIS, la Federazione Sciistica Internazionale, con svariati tornei tenuti in tutta Europa, tra cui l’Italia, presso la Val di Susa, Monte Penice e Lavarone, in prossimità di Trento. Ma è anche nella pratica amatoriale per il puro intrattenimento, che un simile sport riesce ad esprimere il massimo del suo potenziale d’intrattenimento…
Se paragonato alla sua controparte nevosa, il grasski è un dispositivo con un alto grado di complessità, che si compone di una parte mobile, il cingolo stesso, ed una rotaia con l’anima in legno, sulla quale si trovano montati gli attacchi per gli scarponi, del tutto simili, se non addirittura identici, alla loro controparte invernale. Altro aspetto fondamentale è la presenza di una fodero di tessuto protettivo, disposto tutto attorno al meccanismo, che lo protegga dall’ingresso accidentale di corpi estranei, che potrebbe facilmente portare ad un deragliamento della superficie mobile a contatto diretto con il suolo. Tale elemento, soggetto a continua usura, deve essere cambiato in media ogni 8-12 giornate di utilizzo, allo scopo di mantenere in condizione di funzionamento lo sci. Anche in presenza di una tale precauzione, nonché facendo affidamento all’ausilio di una costante applicazione d’olio per massimizzare il potenziale di scivolamento, stiamo parlando di un dispositivo relativamente delicato, che si usura costantemente durante l’uso. La pagina FAQ (Frequently Asked Questions) di SpeedyJack, uno dei principali produttori reperibili su Google, consiglia la sostituzione delle ruote di scorrimento e degli inserti ogni 12 mesi massimo, a seconda della frequenza d’impiego. Inoltrandosi poi con grande dovizia di particolari nella numerosa serie di attività che possono inficiare notevolmente l’integrità e la sicurezza di un simile attrezzo sportivo. In particolare, ovviamente, vengono sconsigliati i salti, come quelli mostrati nel video di apertura, e l’impiego degli sci sulla sabbia o ancora peggio, l’asfalto. L’unico ambiente adeguato all’impiego di questi sci resta dunque, molto appropriatamente, l’erba. Che tra l’altro, offre il vantaggio non indifferente di attutire, almeno in parte, le eventuali cadute, benché con un’efficienza decisamente minore della sua controparte nevosa. Proprio per questo è altamente consigliabile praticare lo sport con un set di protezioni complete, incluso un sostegno rigido per la schiena.
L’esperienza di sciare su prato viene descritta, dai praticanti della prima ora, come decisamente strana ed emozionante. La principale differenza con la discesa tradizionale è che dipendendo nei propri movimenti da un sistema sostanzialmente simile ad una serie di ruote, ci si può muovere esclusivamente nella direzione in cui si puntano i propri piedi. Niente scivolamento laterale dunque, e nessuna equivalenza della tecnica, fondamentale negli slalom, del carving, consistente nell’impostare anticipatamente la curva mettendosi di traverso. Il gesto di fermarsi, proprio per questo, risulta essere piuttosto contro-intuitivo, con l’unico metodo possibile che consiste essenzialmente nello sterzare bruscamente, puntando la prua verso la salita. Sarebbe perciò semplicemente folle, pensare di impiegare un simile approccio per percorrere una strada asfaltata (anche senza considerare l’usura del cingolo) data l’assenza di uno spazio sufficiente ad effettuare la manovra di stop. Non che manchino alternative purtroppo, delle alternative quasi altrettanto imprudenti, per chi volesse cionondimeno rischiare la propria stessa sopravvivenza…
L’altro metodo per sciare in assenza di neve è lo skiroll, o sci a rotelle, nato in qualità di attività sportiva nei primi anni ’30 proprio in Italia, come metodo per consentire l’allenamento estivo degli atleti praticanti lo sci di fondo. Una problematica altamente comprensibile, quando si considera come un simile sport necessiti di spazi particolarmente estesi, dalla portata decisamente non paragonabile a quella di un qualsivoglia impianto artificiale. Inventati formalmente nell’officina di Fabio Crestani a Vicenza, benché esistessero dei precedenti modelli in uso presso i paesi scandinavi, i primi sci prevedevano la presenza di tre ruote, di cui due posteriori, al fine di garantire una migliore stabilità. Che poi vennero ridotte a due, con l’aggiunta di un sistema di articolazione flessibile in prossimità del retro, per permettere un movimento più naturale delle gambe nel momento in cui ci si da la spinta. Ben presto, l’impiego semi-professionale dello skiroll raggiunse vette tali da giustificare l’istituzione di competizioni ufficiali, in modo particolare a partire dal record del 1975 dell’aviatore Giustino del Vecchio, che si dimostrò in grado di percorrere 240,5 Km in 24 ore a Monza. Il progressivo miglioramento tecnologico, anche grazie all’impiego di materiali più leggeri come la fibra di vetro, giunse quindi ad incrementare ulteriormente la popolarità di questo sport, che oggi gode di un seguito di appassionati particolarmente nel nostro paese, in Germania e nel Nord Europa. Volendo stabilire una classifica delle due alternative citate, dunque, saremmo portati ad identificare questa attività come la più nota e popolare, relegando il grasski cingolato ancor più in profondità nella nicchia di questa classe di sport.
Si tende a considerare le Olimpiadi come il punto di arrivo di una qualsivoglia attività fisica, ovvero il momento in cui generazioni d’atleti, futuri campioni votati all’estremo miglioramento individuale e i teorici del regolamento riescono finalmente a sdoganare la propria stessa ragione d’esistenza, portandola fieramente sotto i riflettori della collettività. Ma la realtà è che persino in un simile contesto, risulta difficile lasciare un segno indelebile nella cultura di massa. Che giunge piuttosto, in maniera molto più organica, attraverso la pratica autogestita del più puro e semplice divertimento. Pensate alla storia dello snowboarding, che per oltre vent’anni aveva costituito un vero caposaldo delle discese statunitensi ed europee, prima di giungere tardivamente, e quasi per caso, al ruolo di sport olimpico nel 1998. La cosa migliore che potremmo fare per una maggiore divulgazione dello sci estivo, dunque, resta quella più semplice e diretta: praticarlo. Se riusciremo a trarne un qualche tipo di divertimento, di sicuro alla fine sfonderà. Se finiremo per colpire un sasso, una staccionata o una cacca di mucca (con le conseguenze, forse, più atroci di tutte!) allora beh, si vedrà.