La strada di ciottoli verdi sembrava perdersi all’orizzonte, mostrando la vera distanza percorsa fino ad allora “Sei giunta assai lontano dal Galles, mia piccola Órfhlaith” disse lo spaventapasseri, mentre i due uscivano dall’alto palazzo del druido di Ohz. “Come pensi di tornare a casa?” L’uomo di latta camminava pensierosamente poco dietro al duo, finalmente cosciente dei sentimenti umani, mentre Bearnard l’orso, ansioso di mettere alla prova il ritrovato coraggio, si era già avviato per la sua strada, alla ricerca di un campo di battaglia al di la della grande Barriera. “Compagno di tante avventure, non devi preoccuparti. Sappi che la Morgen dell’Est, nel momento in cui è crollata sotto il peso del Dolmen della Collina Solitaria, grazie all’aiuto vostro e degli altri eroi, ha dimenticato di far seppellire anche i suoi piedi, ai quali si trovavano i mitici stivali di Víðarr. Ora indovina cosa nascondo nella mia sacca da viaggio?” Con un gran sferragliare, il loro amico si fermo di scatto, chiedendo d’istinto: “Un altro sacchetto d’uva spina?” Spaventapasseri si portò la mano sul volto, meditando sul fatto che dopo tutto, forse, non sarebbe stato l’unico ad aver avuto bisogno di un nuovo cervello. “Oh, oh, oh, mio guardiano dalla corazza istoriata. Sei sempre il solito. Ecco, amici, osservate!” Le calzature leggendarie rubate al popolo dei pirati di Mare, di un pacchiano color arancione, che si diceva potessero condurre gli eroi nel Valhalla. “…O dovunque essi vogliano, come mi è stato spiegato dal druido in persona. Per tornare al punto di partenza, dunque, non dovrò far altro che battere per tre volte gli speroni, mentre pronuncio, prima che l’eco si perda nel vento, il nome di casa mia.” Così detto, senza perdersi in chiacchiere inutili ed ulteriori, la principessa iniziò il rituale. Le nubi parvero convergere sulla loro posizione. Un corvo distante, gracchiando d’aspettativa, si alzò in volo per osservare. Órfhlaith fece una piroetta e diede il primo dei tre colpi THUMP: Llan-vire-pooll-guin… THUMP: …gill-go-ger-u-queern… THUMP …drob-ooll-llandus… Una pausa per riprendere fiato… ilio-gogo-goch… “Gogogoch?” Fecero eco i due testimoni, con gli occhi spalancati per lo stupore. Passarono uno, due, tre secondi. “Ha detto prima che l’eco…. Beh, credo che abbiamo un problema” Fece allora spaventapasseri, sforzandosi di soffocare una sghemba risata.
Se questa è una fiaba lievemente adattata alle circostanze, tuttavia, non significa che in essa manchi una significativa componente di verità. Per scoprire quale essa sia, basterà percorrere il vostro ponte preferito tra due, ovvero quello sospeso sopra lo stretto di Menai o il più moderno Britannia Bridge, per lasciare la terra dei Draghi gallesi sull’isola principale della Gran Bretagna, e transitare attraverso le nebbie della fredda isola di Anglesey. Scorgendo, chiaramente infisso nel terreno ai margini del sentiero asfaltato, quello che potrebbe essere uno dei più grandi cartelli stradali d’Europa. “Benvenuti presso la municipalità di “Llanvirepoollguin…” E via dicendo, per l’estensione di ben 58 lettere dell’alfabeto latino (benché considerata la lingua locale, esse vadano ridotte a “soli” 51 fonemi) Una roba da nulla, una vera quisquiglia da pronunciare *a patto di esservi nati o averci passato una parte significativa della propria gioventù, come l’attrice di Hollwood, Naomi Watts. Un luogo diventato particolarmente famoso quando, a settembre del 2015, il meteorologo della CNN Liam Dutton ebbe l’iniziativa, e la capacità, di pronunciarlo senza il benché minimo errore in diretta tv: Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch, in tutto il suo strabiliante splendore, in grado di coprire da un estremo all’altro l’intera cartina proiettata alle sue spalle, tra lo stupore ed il reverenziale silenzio di ogni singola persona presente in studio. Ed a quel punto, era fatta. Tutti volevano saperne di più….
La realtà in merito all’insolita questione, in effetti, è che non siamo di fronte ad un nome particolarmente antico di qualche misteriosa lingua di tipo agglutinante, alla maniera in cui succede talvolta per i toponimi nord-americani risalenti all’epoca delle Nazioni Native (i quali, tra l’altro, non arrivano a una simile estrema profusione) bensì a una semplice trovata pubblicitaria, risalente alla metà del XIX secolo, quando la popolazione locale, su iniziativa di un sindaco che possiamo presumere particolarmente intraprendente, accettò l’insolita novità pur di comparire sulle mappe ed attrarre qualche turista di passaggio, aiutando l’economia. Prima di allora, in effetti, le cronache non sembrano riportare alcuno specifico nome per la comunità, fatta appartenere convenzionalmente all’antico feudo del marchese di Anglesey. Finché nell’ultima manciata di generazioni, forse anche in funzione della ritrovata celebrità, la popolazione non è aumentata in maniera esponenziale, raggiungendo la cifra attuale di di circa 3.000 persone. Tra le quali una percentuale di oltre il 70%, fatto particolarmente significativo, si dichiara ancora una parlante corrente della desueta lingua gaelica, che gli esperti ritengono prossima alla scomparsa dall’utilizzo attivo. E voi credete forse, che tutto questo sia un caso?
Sarà meglio, a questo punto, spiegare l’effettiva etimologia di questa formidabile parola. Il nome del paese, in effetti, è un riferimento diretto ad alcuni luoghi considerati importanti della comunità, ovvero: La chiesa di [St.] Mary (Llanfair) [nella] Valle (pwll) del Noce Bianco [città] (gwyn gyll) vicino (go ger) alle rapide (y chwyrn drobwll) [e] la chiesa di [St.] Tysilio (Llantysilio) con una caverna rossa ([a]g ogo[f] goch). Voglio dire, senza la notazione finale della caverna, nessuno saprebbe di cosa stiamo parlando… Il fatto è che potersi fregiare di un tale punto di rottura con la normalità è un punto d’orgoglio niente affatto indifferente. Sentimento facilmente apprezzabile nell’atteggiamento dei locali, attraverso il giro di interviste della testata Big Story, come mostrato nel video apertura. Ma anche nel motivo decorativo che ricorre in molti monumenti cittadini, l’ufficio postale, la stazione, persino sulle uniformi della squadra di calcio locale, con la formula posizionata, a mo’ di ghirlanda, tutto attorno a una raffigurazione stilizzata del monumento più famoso, una colonna commemorativa dedicata al marchese di Anglesey. “Siamo la squadra sportiva dal nome più lungo del mondo.” Afferma con orgoglio il mister. Ma a questo punto verrebbe da chiedersi, ciò vale anche per il luogo? Dipende. Da cosa si voglia prendere in considerazione. Perché è certamente possibile affermare che la collina di (ahem, scusate il kerning “estremo”) Taumatawhakatangihangakoauauotamateaturipukakapikimaungahoronukupokaiwhenuakitanatahu, in Nuova Zelanda, non sia effettivamente un luogo abitato, nel senso in cui può esserlo un villaggio di dimensioni medie in territorio gallese. Essa costituisce, in effetti, una mera particolarità del paesaggio, dedicata secondo i crismi della lingua Māori a “Il ciglio della collina, dove Tamatea, l’uomo con le grandi ginocchia, che scivolò [giù], salì [su] e ingoiò le montagne, [per percorrere queste terre], [che è] conosciuto come il mangiatore di terre, suonò il proprio flauto [nasale] per la sua amata” Ovvero in altri termini, lo scenario per una delle imprese più celebri del mitico fondatore delle genti di Ngāti Kahungunu, fornendo le ragioni di un nome che, ancor prima che meramente curioso, mantiene effettivamente un suo significato legato alla religione la cultura di un popolo antico. Come, del resto, i succitati luoghi facenti parte delle regioni degli odierni Stati Uniti e del Canada, come il lago Chargoggagoggmanchauggagoggchaubunagungamaugg (45 lettere) o quello di Pekwachnamaykoskwaskwaypinwanik (31 lettere) nella regione di Manitoba, spesso diretti riferimenti ad un “luogo d’incontro” per le diverse tribù dei nativi. Tutti toponimi che hanno in comune la significativa caratteristica di essere composti integralmente da un’unica parola, senza spazi o interruzioni di sorta.
Volendo abbandonare questo limite, tuttavia, e spingendosi fino al territorio d’Oriente, è possibile trovare il singolo luogo dal nome effettivamente più lungo del mondo. Che forse vi stupirà saperlo, non è in effetti un villaggio medio o una sperduta collina, bensì una delle città più famose, e grandi, del mondo intero. Voi la conoscerete, molto probabilmente, con l’abbreviazione per l’uso del linguaggio comune di Bangkok. Ma la capitale della moderna Thailandia, ufficialmente, avrebbe un nome dalla portata decisamente più imponente…
Siete pronti? Essa è: Krung-dēvamahānagara amararatanakosindra mahindrayudhyā mahātilakabhava navaratanarājadhānī purīramya utamarājanivēsana mahāsthāna amaravimāna avatārasthitya shakrasdattiya vishnukarmaprasiddhi. Ovvero: “Città degli angeli, la grande città, la città della gioia eterna, la città impenetrabile del dio Indra, la magnifica capitale del mondo dotata di gemme preziose, la città felice, che abbonda nel colossale Palazzo Reale, il quale è simile alla casa divina dove regnano gli dei reincarnati, una città benedetta da Indra e costruita per Vishnukam.” Il che dimostra, effettivamente, come non ci sia alcun limite alle vette vertiginose raggiungibili dall’espressività degli umani. Chi altro avrebbe mai potuto, altrimenti, pensare di attribuire una simile sequela di suoni all’identificazione di un luogo, come se in esso, effettivamente, dovesse trovarsi condensata tutta la sua lunga e multiforme sequenza di fatti ed il peso stesso della Storia!
Anche noi italiani, dal canto nostro, non scherziamo. Riservando sulle nostre mappe uno spazio adeguato ad alcuni dei comuni dal nome più lungo d’Europa, tra i quali San Valentino in Abruzzo Citeriore (34 lettere, in Abruzzo) Primiero San Martino di Castrozza (33, Trentino Alto-Adige) o Castrocaro Terme e Terra del Sole (33, Emilia Romagna) benché la nostra ragionevolezza sembri averci impedito, per lo meno, di raggiungere gli estremi fin qui citati. Resta meglio, ad ogni modo, esagerare in un senso piuttosto che nell’altro. Wikipedia cita, nella sua pagina dedicata ai toponimi più brevi, 12 cittadine di nome “A” site tra Giappone, Norvegia e Danimarca, cinque “O”, cinque “U” e quattro “Y”. E benché la pronuncia in ciascuna lingua, molto probabilmente, risulti diversa, il rischio di fare confusione durante una qualche trattazione trasversale, inevitabilmente, permane. Mentre prova, tu, a fare confusione nominando “Llanvirepoollguin…” No dico, prova un po’ a farlo, principessa Órfhlaith? Se c’è una cosa che sento di possedere tra queste orecchie ricolme di paglia, finalmente, è una zucca piena di ottima materia grigia. Lascia quindi che elabori una nuova teoria: il druido ti ha detto di dire il nome di casa tua, giusto? Ma non ti ha detto di dirlo GIUSTO. Credi che esista la benché minima probabilità che gli stivali magici sbaglino mira, anche dopo la terza sillaba di una tale linguistica, inusitata mostruosità? THUMP