Il litio è quell’elemento appartenente al gruppo dei metalli alcalini, situato all’estremità sinistra della tavola periodica, che trova posto immancabilmente in tutti i nostri cellulari, tablet, laptop, videocamere, auto elettriche, console per videogiochi… Arrivando talvolta ad esplodere, per errori di progettazione o un qualche tipo di errato utilizzo. È una di quelle colonne portanti del consumismo moderno a cui, nonostante le premesse, quasi nessuno sembra aver voglia di attribuire l’importanza che potrebbe meritare. Eppure, resta fondamentale comprendere come circa la metà di tutto il litio attualmente in circolazione sul mercato provenga da un singolo, gigantesco impianto, sito presso quella striscia di terra totalmente arida che si trova tra la catena montuosa delle Ande e l’Oceano Pacifico: il deserto Cileno dell’Atacama. Stiamo parlando, dopo tutto, di una sostanza definita talvolta “il petrolio bianco” benché si tratti di una metafora che può facilmente trarre in inganno. Perché questa particolare risorsa del pianeta Terra non produce energia, ma la immagazzina, e non è in effetti per niente rara e nemmeno prossima all’esaurimento. I metalli alcalini, per loro prerogativa, si trovano ovunque all’interno dei massicci montuosi e sotto gli strati superficiali del suolo. No, piuttosto il punto è un altro: è talmente facile, ed economicamente vantaggioso, tirarlo fuori da questo particolare luogo, che finché il giacimento non arriverà ad esaurirsi, l’azienda amministratrice manterrà il controllo di una fetta di gran lunga preponderante dell’intero mercato. Le ragioni di questa anomalia sono molteplici, ma derivano fondamentalmente tutte dallo stesso problema: il metallo in questione, nella sua forma più pura e chimicamente rappresentativa, è una sostanza estremamente instabile, al punto che reagisce persino con l’acqua, assumendo una forma liquida che può facilmente generare fiammate, non appena sottoposta ad un calore eccessivo. Proprio per questo, la versione che trova l’applicazione costante nella nostra vita quotidiana, ovvero quella che ad oggi viene chiamata effettivamente “litio” è in effetti la sua versione elettricamente neutra, in cui la combinazione con altri minerali nel suolo ha creato la mescolanza di un acido e una base, dando luogo alla creazione di un qualcosa di molto più facile da trasportare. In altri termini, la forma grezza di questa preziosa risorsa, pompata ogni giorno in quantità enormi dal suolo del Cile ed inviata nei principali paesi produttori d’elettronica al mondo, non è così diversa dal sale marino, fondamento essenziale della nostra familiare cucina mediterranea.
La miniera in questione, di proprietà dagli anni ’70 della compagnia privata SQM – Sociedad Química y Minera, un vero gigante da oltre 600 milioni di dollari di fatturato annuo, è stata visitata a dicembre dell’anno scorso dalla testata statunitense Bloomberg nel contesto della sua serie Hello World, con la finalità di offrire uno spunto ai potenziali investitori stranieri. La visione che ne viene fuori, sorprendentemente semplice e dal contenuto tecnologico relativamente semplice, è quella di una essenziale commistione tra un impianto di estrazione del petrolio ed una salina, con schiere di giganteggianti piscine distese l’una accanto all’altra sul suolo del deserto, mentre i fenicotteri rosa locali, a poca distanza, immergono le zampe nella poca acqua incontaminata concessa alla loro sopravvivenza. Questo perché, come dicevamo, tutto quello che serve per effettuare la prima lavorazione del litio dell’Atacama è trivellare fino alla falda acquifera sottostante, pomparlo fuori e lasciare che il Sole battente di questi luoghi svolga il resto dell’arduo lavoro. In un tempo piuttosto breve, la parte liquida della sostanza sarà portata ad evaporazione, lasciando uno strato biancastro di un tale agognato, ormai fondamentale dono della natura. E considerate che si tratta di uno stato di grazia che continuerà a sussistere ancora per molto tempo. La quantità di litio contenuta nella batteria di un moderno cellulare è in effetti pochissima, appena un cucchiaino da caffè, mentre persino i veicoli da trasporto elettrico più sofisticati, come un’automobile della Tesla Motors, non utilizzano che 10-15 Kg del materiale. Nel corso della loro intera vita operativa. Sarà dunque estremamente apparente, a questo punto, come Michael Stanley Whittingham, lo scienziato inglese che scoprì per primo nel 1970 le proprietà energetiche di questo formidabile materiale, abbia fatto un enorme favore al mondo moderno, al punto da non poter immaginare un domani in cui esso non si trovi al centro perfetto delle nostre necessità. Nonostante un significativo problema residuo…
Il litio, sarà a questo punto il caso di ribadirlo, talvolta esplode. E così come può farlo, senza la minima apparente ragione, nella sua forma pura di metallo liquefatto, questo può ancora succedere al sale che ne deriva, specialmente durante l’impiego con finalità d’immagazzinamento energetico, che poi sono le uniche rimaste attuali… Benché un tempo, l’ossido di tale metallo serviva anche nella produzione di ceramiche e vetro. La dinamica è stata spesso studiata eppure, persino oggi, non del tutto compresa: ciò che succede, essenzialmente, è che a causa di un movimento troppo veloce degli ioni carichi tra catodo (cobalto, manganese, nickel) ed anodo (grafite) si formino delle placche tra il fluido a base di litio che costituisce la sostanza di collegamento, presso cui inizia ad accumularsi il calore. A questo punto, in una reazione a catena del tutto inarrestabile, esso inizia a diffondersi nell’intera cella, generando l’ormai familiare, per quanto temibile fiammata. E pensare che tutti noi, al giorno d’oggi, andiamo in giro con almeno uno di questi dispositivi nella tasca dei pantaloni o la borsa… Naturalmente, nel caso di batterie più grandi, come quelle delle automobili, la gravità della situazione può farsi esponenzialmente più grave.
Michael Stanley Whittingham era pienamente cosciente di questo problema al momento della sua scoperta, eppure egli giudicò, con ottime ragioni, che i vantaggi di una batteria ricaricabile a tempo indefinito e molto più compatta, a parità di capienza, di quelle precedentemente esistenti fossero troppo significativi per ignorarli. Così ben presto, sorprendendo probabilmente nessuno, gli riuscì di trovare una compagnia disposta ad assumerlo, la ExxonCorp di Irving, Texas. La quale a sua volta si rivolse per la parte estrattiva alla Foote Mineral di Filadelfia, azienda che stava compiendo sopralluoghi esplorativi, proprio in quegli anni, presso il deserto dell’Atacama in Cile. Per comprendere a pieno il suo contesto operativo, sarà opportuno ricordare come in quegli anni nel paese in questione si fosse appena verificato il sanguinoso colpo di stato del dittatore Augusto Pinochet, e il suo governo desiderasse, più di ogni altra cosa, fare colpo sulle aspettative del popolo e del governo statunitense. Ogni possibile incentivo venne quindi attivato, e nel giro di pochi anni presso quel sito nacque la grande miniera della SQM, sull’onda di un epocale processo di privatizzazione delle precedenti risorse dello stato, gestito dallo stesso genero di Pinochet, Julio Ponce Lerou. Il quale stando a questo articolo del Financial Times sarebbe rimasto, fino al 2015, capo indiscusso ed unico amministratore della compagnia, fino all’insorgere di una serie di scandali piuttosto gravi su presunte attività di corruzione politica ai vertici del governo cileno, che lo portarono alla rinuncia del suo ruolo istituzionale (ma possiamo soltanto presumere, non quello finanziario).
Da allora e secondo alcuni per una sorta di ripicca governativa, la gestione della miniera con annessa salina è diventata più complessa dal punto di vista istituzionale, con l’imposizione di una quota massima di produzione e l’esigenza di curare per quanto possibile il benessere dei fenicotteri rosa, tenendone il conto e cercando di riconoscere i singoli esemplari dalle piume della coda. Il che, almeno stando a quanto si può desumere dall’intervista effettuata da Ashlee Vance di Blommberg ad Alejandro Bujez, capo ingegnere dell’impianto, è diventato tra i dipendenti una sorta di sport.
Con questo rinnovato occhio all’ambiente, per quanto imposto dall’alto, la SQM è cresciuta come compagnia, benché le sue operazioni siano diventate esponenzialmente più complesse. Ogni settimana, grandi quantità di acqua estratte dalle viscere della Terra devono esservi pompate di nuovo, per non infrangere le stringenti norme operative legali. In risposta a questo, negli ultimi anni l’azienda sta spostando risorse per oltre 25 milioni di dollari oltre il confine dell’Argentina, dove si trova un altro luogo particolarmente adatto all’estrazione di litio. E non è impossibile, dopo tutto, che un cambiamento di bandiera della maggiore fonte di litio globale finisca per avvenire, alla fine, non per l’esaurimento di una riserva, bensì per semplici considerazioni di natura economica e operativa. Nel frattempo, dalla Cina e dall’Australia, rispettivamente secondo e terzo produttore mondiale del materiale, continua l’estrazione convenzionale ed il trattamento del materiale. Che pur essendo inerentemente più costoso, ha il vantaggio di avvenire direttamente nei luoghi in cui le batterie risultanti dovranno in seguito trovare utilizzo, portando a significativi risparmi sui costi di trasporto.
L’attuale stato di grazia ed equilibrio in cui si trova, attualmente, l’industria estrattiva del litio, potrebbe dunque andare incontro a importanti sommovimenti nei prossimi anni, con conseguenze che ancora attualmente troviamo difficili da capire. Ma per fortuna, l’alta quantità disponibile di questo materiale dovrebbe scongiurare il verificarsi di veri e propri conflitti armati. Almeno, ancora per un bel po’.