La gioia e l’estasi della caccia, la calorosa consapevolezza della generosità di Nyogmo-Ga, l’essere supremo del Cielo e della Terra secondo la religione del Ghana, nell’Africa occidentale. “Venite, venite a cogliere le vaste ricchezze del sottosuolo!” Esclamò Ajoba (che vuol dire “nato di lunedì) mentre Akuba (nato di mercoledì) ed Akwasi (nato di domenica) si avvicinavano con le rispettive zappe, pronti a scavare nel punto indicato dal loro giovane amico e compagno di avventure. La lingua usata era l’inglese, strumento di comunicazione ufficiale della loro intera nazione fin dall’epoca del colonialismo europeo, benché all’interno delle case fossero ancora usate la grammatica, gli aforismi e le parole degli antecedenti idiomi locali. Ai margini della scena una donna straniera, facente parte della missione cristiana costruita nei pressi del villaggio allo scopo di assistere nell’educazione dei bambini, li seguiva con la telecamera, per documentare la curiosa usanza e l’ancor più insolito risultato. “Questa notte sono stato visitato in sogno dal Grande Spirito del Fiume. Egli ha detto che è giunta l’ora di scavare, per nutrire le nostre mogli e figli.” L’osservatrice soffocò un sorriso: Ajoba era uno studente celibe ed avrà avuto, al massimo, sedici anni. “In verità vi dico, amici miei. Scavate in questo punto, troverete il mudfish.”
Eccoci, ci siamo, pensò lei. Regolando attentamente lo zoom, ebbe cura di inquadrare il punto in cui i tre ragazzi avevano iniziato a spaccare la terra indurita e crepata dall’estrema secchezza della stagione estiva. Talmente arida che le zolle non si disgregavano ne producevano polvere, ricadendo piuttosto ancora perfettamente integre ai rispettivi lati della buca. Finché, finché… “Eureka!” Gridò Akwasi (certo, l’altra settimana hanno appreso il teorema di Pitagora) “Ci siamo! Abbiamo trovato il pranzo, adesso cerchiamo la cena.” Fra le mani del giovane uomo con il dashiki agitato dal vento comparve l’oggetto del desiderio, del tutto simile ad un tubero dalla forma vagamente globulare. Akuba era pronto col secchio, ma gli altri due fecero un cenno verso di lui, indicando nel contempo la telecamera. A questo punto, la missionaria pronunciò la sua prima significativa esortazione, con un tono carico d’aspettativa: “È ancora chiuso nel suo bozzolo, adesso tiralo fuori per gli spettatori da casa.” Annuendo, il ragazzo afferrò saldamente i due lati del suo prezioso tesoro e iniziò a tirare. Scartandosi come un formaggino, l’apparente tubero si spalancò per mostrare al suo interno… Un dorso umidiccio, con la lunga pinna dorsale, la coda appuntita e quattro tentacoli, simili ad altrettanti spaghetti. Gli occhi tondi e imploranti, mentre la bocca si apriva a formare una “O”. Se il pesce avesse potuto parlare, le sue parole sarebbero state: “Lasciatemi andare, buttatemi nel fiume. Sono del tutto inutile e comunque, ho pure un cattivo sapore.” Ma ovviamente, il gusto risiede nella mente di chi consuma. E tra le regioni rurali del terzo mondo, la risorsa del supermaket continua ad essere piuttosto rara. Si mangia quel che si può, quando si può. Se non ci sono patate, va bene l’alternativa. Un essere che appartiene a tutt’altra categoria della vita. Nonostante le apparenze!
La storia dei dipnoi o pesci polmonati, in un certo senso, è la storia di tutti noi. Perché dimostra le importanti ragioni del bisogno, ed il grado di adattamento a cui si può esser pronti, per sopravvivere in un mondo profondamente avverso. Essi resistono da 400 milioni di anni, oltre che presso le pianure alluvionali del Ghana, anche nel resto dell’Africa, in Sud America e Australia, dimostrando almeno ipoteticamente una primordiale diffusione in tutto il mega-continente preistorico del Gondwana. Benché alcuni sospettino, piuttosto, il verificarsi di un caso di evoluzione in parallelo. La loro caratteristica dominante è anche la misura della furbizia animale, stranamente simile alle strategie adottate dalle cicale ed altre specie di insetti. Simili esseri, in grado di nuotare ma anche strisciare sul terreno, grazie alle loro pinne mutate in arti deambulatori, una volta raggiunta l’età adulta attendono con trepidazione il sopraggiungere dell’inevitabile stagione secca, un’occorrenza che accomuna le regioni citate. Quindi, sparite le branchie esterne che li avevano resi, in gioventù, piuttosto simili a salamandre, spalancano la terza e la quarta branchia, esponendo all’aria la loro coppia di polmoni, del tutto simili a quelli dei vertebrati tetrapodi, ovvero noi altri abitanti della superficie. Da quel momento, non potranno più estrarre l’ossigeno dall’acqua. Né si troveranno ad averne bisogno. Evaporata anche l’ultima goccia d’umidità, il pesce inizierà a mangiare terra, lasciandola fuoriuscire dai suoi stessi opercoli respiratori. Per prima cosa, sparirà la testa. Seguìta dal corpo e la coda. Completamente sepolto agli occhi del mondo, esso inizierà a secernere uno speciale muco. Che ben presto si indurirà, formando una sorta di capsula temporale, dalla consistenza di un involucro di carta oleata. Volete sapere per quanto tempo un lungfish del Ghana può sopravvivere restando sepolto? Quattro interi, lunghissimi anni. Per poi ricomparire quando meno te lo aspetti, ed andare a riprodursi nelle acque del fiume riapparso a seguito di una grande pioggia, per il sommo volere di Nyogmo-Ga.
Si dice che il gusto di questi pesci risulti spesso sgradevole agli stranieri, ricordando quello del pesce gatto. Simili spazzini dei fondali, del resto, si nutrono in gioventù di gamberi, molluschi e granchi, ma una volta iniziato il processo di estivazione sopravvivono unicamente delle loro riserve interne, rallentando all’inverosimile il proprio metabolismo. Difficile sarebbe, tuttavia, negare la loro utilità pratica. Una volta scavato il bozzolo con tutta la zolla di terra, quest’ultima potrà essere disposta in un magazzino, confidando nella sopravvivenza ad oltranza del suo occupante. Settimane, mesi o persino anni a seguire da quel momento, in occasione di un banchetto o una carestia, il capo del villaggio potrà dare quindi l’ordine di aprire la giare, dando il via al destino ultimo dei loro involontari occupanti. In particolari casi, le interazioni con l’uomo mostrano un lato ancor più suggestivo. Verso le battute finali del soprastante spezzone del National Geographic, ad esempio, viene mostrata una casistica all’apparenza assurda eppure presumibilmente, tutt’altro che inaudita. Nell’architettura tradizionale degli Akan infatti, etnia tutt’ora dominante tra le molte comunità tribali del Ghana, è usanza che le mura esterne della casa familiare vengano costruite con mattoni di fango, prodotti direttamente dalla terra scavata presso il terreno da edificare. Attraverso il metodo impiegato dai manovali locali, che prevede la raccolta di detto materiale all’interno di uno stampo in legno dalla forma squadrata, non è quindi affatto impossibile che una o più delle zolle impiegate si ritrovi a nascondere al suo interno il bozzolo del pesce polmonato. A distanza di qualche tempo, con il sopraggiungere delle prime piogge intense, l’animale quindi si sveglierà, iniziando a scavarsi una via d’uscita. Per questo può capitare, persino nelle migliori case ghanesi, che un tonfo denunci la presenza di un ospite inaspettato. Ma quell’essere non sarà un topo, bensì la stessa cosa che abita i nostri acquari. Il più distante parente del pesciolino Nemo.
Considerato l’interminabile periodo per cui questa creatura può ibernarsi e restare del tutto immota, potreste a questo punto chiedervi quando il pesce trovi il tempo di accoppiarsi. Ovvero, quanto a lungo vivono i dipnoi? La risposta breve, in poche parole, è che nessuno realmente lo sa. Nel caso della varietà australiana del Queensland, che comunque può respirare anche l’acqua, ha un solo polmone e non trascorre interi anni della propria vita sottoterra, essi raggiungono la maturità sessuale soltanto verso i 17-22 anni, caratteristica che fa pensare ad una vita molto, molto lunga. Un particolare ospite dello Shedd Acquarium di Chicago, denominato niente affatto casualmente Granddad (nonno) è rimasto vivo e vegeto nella sua vasca tra il 1933 e lo scorso 5 febbraio del 2017, raggiungendo la venerabile età di 84 anni. Quando morì infine, possiamo soltanto presumerlo, del tutto privo di rimpianti.
La classificazione tassonomica di tali esseri, per una volta perfettamente chiara agli scienziati, è molto importante, perché tra tutti gli abitanti delle acque del pianeta li colloca nel punto più vicino possibile a noi. Essi potrebbero costituire nei fatti, dunque, un importante anello residuo dell’evoluzione, ovvero il punto di contatto tra i due mondi dell’antichità estrema e gli odierni abitanti della superficie. I loro parenti scagliosi più prossimi, dal canto loro, sono i celacantiformi Latimeria chalumnae e menadoensis, le uniche due specie rimaste del più antico gruppo di animali ad essere dotati di mascella, definiti non a caso dei vero e propri fossili viventi. Proprio per questo simili esseri, che sembrano usciti dal racconto fantastico di un altro tempo e pianeta, sono in realtà parte inscindibile della nostra stessa esistenza, e potrebbero custodire in se la risposta a molte domande che ci condizionano fin dall’invenzione di una coscienza collettiva.
Se non ci lasceranno del tutto, ancor prima del tempo prefissato: la specie australiana, in modo particolare, è attualmente minacciata dal progetto finanziariamente cospicuo per la costruzione di una diga idroelettrica sui fiumi Mary e Burnett, nel Queensland, che potrebbe eliminare del tutto il terreno paludoso di cui il pesce ha bisogno per riprodursi. Il più grave sopruso, degno dell’ultima ribellione. Sotto la luce azzurrina di un impossibile Luna piena, le sfere di muco trasformate in altrettante navi spaziali. Una scia di goccioline argentate, la coda piumata coperta di scaglie color rubino protese al cielo: “Addio e grazie… Di nulla. Mangiatori di patate.”