Niente definisce il senso di un paese e il suo rapporto con la natura, quanto il flusso inarrestabile del cambio di stagione. Vi sono luoghi, prossimi ai tropici o situati nell’emisfero meridionale, in cui esso viene percepito come poco più che una semplice data sul calendario, corrispondente a un periodo di particolari feste o ricorrenze tradizionali E poi c’è… La Norvegia. Dove l’arrivo dell’autunno rappresenta il fronte di una terribile, per quanto familiare tempesta, che spazza via dai fiordi le navi da crociera e chiude nella sua morsa le splendide valli verdeggianti, imponendo sulla gente che discende dai vichinghi l’influsso del più profondo e assoluto gelo. È un fattore che tende progressivamente a raggiungere la vetta del contesto situazionale, man mano che ci si sposta progressivamente verso il grande Nord. Oslo, Buskerud, Oppland, Sogn og Fjordane e poi Møre og Romsdal, che si affaccia sulle acque gelide del mare norvegese. Non siamo ancora oltre il circolo polare artico, che inizia in Nordland, ma siate certi di una cosa: il clima è alquanto freddo, per usare un eufemismo di contesto. Così tanto che tra ottobre e novembre, normalmente, una significativa parte dell’efficientissima rete stradale di questi luoghi, famosa per l’alto livello di manutenzione e percorribilità, viene inevitabilmente chiusa, sotto uno strato di svariati metri di neve. È l’inizio di una stagione fatta di lunghe notti, in cui nessuno mette il capo fuori casa, e il sole sembra essersi ritirato dietro gli alti picchi montani, permettendo il risveglio un qualcosa di antico e misterioso. Come ciò che avverrebbe, secondo la leggenda, in prossimità dello Stigfjellet, il passo montano che collega il comune di Rauma (poco più di 7.000 abitanti) a Sylte (all’incirca 1.400) dove dal 1916, per volere del parlamento nazionale del re, passa una tortuosa strada che chiamare leggendaria, sarebbe niente più che una normale osservazione dei fatti. Perché è qui ogni anno, tra settembre ed ottobre, che si risvegliano i possenti Troll, creature selvagge dalla vaga forma antropomorfa, che fanno risuonare per le valli i loro richiami e i colpi dati sugli scudi, per chiamare a gran voce i propri simili dal più profondo letargo. E peccato che non ci sia più nessuno, in tale data, per vedere i pesanti macigni che si smuovono, prendendo vita e ritornando ciò che fondamentalmente, erano sempre stati. Un lungo inverno trascorre, dunque, tra temperature che oscillano talvolta tra i -15 ed i -20 gradi. Finché attorno ai primi di maggio, come da programma, la strada non inizia lentamente a scongelarsi, e l’allungarsi delle giornate non costringe i troll ad assumere l’aspetto di grandi macigni, casualmente disseminati tutto attorno alla carreggiata. Ed è allora che alcuni degli spazzaneve più efficaci d’Europa iniziano il loro lungo lavoro, percorrendo gli 11 tornanti e i 12,2 chilometri della celebre strada statale, per prepararla nuovamente all’utilizzo dell’uomo. Nulla, del loro passaggio, è visibile dalla superficie, fatta eccezione per l’arco disegnato dallo spruzzo della neve lanciato fuori dal percorso asfaltato. E lentamente, gradualmente, assieme alle auto qui ritornano i ciclisti.
È una sorta di miracolo incomprensibile, vista la natura straordinariamente ardua di questo tragitto, con una pendenza media del 12% e molto spesso una sola corsia, fin dalla cima fin quasi al fondo del burrone. Rigorosamente percorribile in entrambi i sensi! In un territorio caratterizzato dal pericolo di frane, allagamenti e tempeste. Dove basta un minimo errore, per perdere l’equilibrio a causa di qualche pozza residua del profondo inverno, e scivolare gravosamente verso il traffico in arrivo, o magari oltre il guard rail, nel baratro profondo che ti scruta con la sua spropositata immensità. Ma come si sa, in un inversione del famoso detto di un filosofo, non è possibile essere scrutati dall’immensa vastità del nulla, senza scrutarla di rimando e concentrare in essa l’attenzione delle idee. Per notare finalmente, la dissolversi della foschia mattutina, l’incredibile vista che si offre agli occhi di chi osa spingersi fin quassù. Che sono non a caso, molte, moltissime persone: fino a 2.500 autoveicoli al giorno nel periodo estivo. Ed un numero imprecisato di moto, camper, biciclette. Giunte per assistere, tra una curva e l’altra, la maestosa scena del risveglio e scongelamento del Re, della Regina, del Vescovo (qualcuno ha dato nomi dinastici a queste montagne) per non parlare della ripida Trollveggen (la Parete dei Troll) ove scorre la scrosciante cascata di Syv Søstre, le Sette Sorelle. Che ci invita, con il suo richiamo, a stringere il manubrio e lasciare indietro i preconcetti responsabili, cognizioni acquisite. Trasformate in carburante da bruciare e infondere in ciascuna pedalata, via, lontano dal mondo e le preoccupazioni di una vita fatta di lunghi e fin troppo insipidi minuti.
Ci sono diversi modi di vivere questa strada, che non a caso visto il suo storico pregresso, prende il nome carico di sottintesi di Trollstigen, la scalinata dei troll. A partire dalla visita mostrata in apertura, estiva ed in salita, del ciclista Anders Lindsetmo, durante la quale soltanto l’effetto di una mattina di pioggia sembra averlo salvato dagli effetti spoetizzanti di un traffico fin troppo intenso e, visto il luogo, anche pericoloso, permettendogli di arrampicarsi in santa pace fin sulla cima dello spettacolare passo montano. Fino all’esperienza fatta, e vividamente narrata sul portale Cycling Tips, dal polacco Szymon Kotowski con i suoi amici Karol e Wojtek, che verso la fine di settembre 2013 decisero di sfruttare la bassissima stagione per sperimentare la Norvegia più remota, per viverla direttamente dal sellino della bicicletta. È una scelta molto originale, e certamente coraggiosa, questa di avventurarsi in tali luoghi sul finire del periodo della loro percorribilità, quando già la neve insidia la sottile striscia d’asfalto, ma anche un metodo per sperimentarli all’assoluto meglio, quando l’assoluta solitudine incrementa al massimo il significato e il senso della più spropositata natura. Così nel suo racconto, si parla brevemente della Strada Atlantica (nostra vecchia conoscenza) percorsa il primo giorno per un tratto di 222 chilometri dal comune di Kristiansund in direzione Malmo, la città delle rose. Un’avventura sul tortuoso viadotto che unisce innumerevoli isolette e scogli, mentre le onde si allungano frequentemente sulla carreggiata. Fin oltre il ponte a cavatappi dello Storseisundet, spesso incluso sulle guide turistiche come uno dei punti di riferimento più riconoscibili di tutta la Norvegia. Ma è il tratto successivo, nel suo resoconto, a costituire il capitolo più memorabile dell’intera avventura. Quando il coraggioso trio, lasciato il mare alle spalle, inizia ad avventurarsi tra le strade che conducono a Dalsnibba, oltre l’antico Stigfjellet e lungo l’estendersi tortuoso dell’avveniristica Trollstigen, per un tragitto totale di altri 163 chilometri, per una buona parte rigorosamente in salita. È un’esperienza difficilmente descrivibile, che tuttavia viene riassunta come un “qualcosa di grande” ovvero il prendere parte direttamente al flusso di un tutto che va oltre la semplice presenza individuale. Trasformando il significato di uno sport nell’esperienza mistica che ti permette di conoscere per un solo, sfuggente momento, lo scopo supremo di spostarsi senza l’uso di un motore, spinti innanzi da un manubrio che conduce oltre i limiti del proprio corpo, per l’effetto dalla più incrollabile forza di volontà.
Ma chi può dire, veramente, quale sia il significato personale di una simile esperienza? Simili momenti, nella vita, non possono essere acquisiti di seconda mano, nello stesso modo in cui succede con le discipline di meditazione, alla base di tante religioni ed antichissime filosofie. Pedalare libera la mente, in molti casi, ma visitare questi luoghi la incatena, allo splendore ed al significato ultimo dell’esistenza. Quale può essere, a quel punto, lo strumento disponibile per trarre il massimo dall’esperienza? Se non voltarsi dall’altra parte, per procedere comunque verso l’obiettivo. Come fatto da questo incredibile Eskil禅 (il carattere orientale è quello usato per dire Zen: il Tutto) che la Trollstigen ha scelto di percorrerla in discesa, voltato di schiena, sterzando all’incontrario sull’inizio di ciascun tornante. Un’operazione degna di essere inserita a pieno titolo nel regno degli sport estremi. Anche perché non è per dire, ma chi mai poteva assicurargli che non ci fossero auto in arrivo? Costrette ad assistere allo spettacolo di un folle che sembra aver perso il controllo della bicicletta, ma che invece resta in grado di scansare il disastro, sterzando all’ultimo momento. Ma quella si, che sarebbe stata un’esperienza memorabile per entrambe le parti coinvolte!
È una foschia che non riesce mai a diradarsi completamente questa, oltre la quale tutto può succedere, persino l’impossibile. Nonostante la forte impronta turistica che lo stato norvegese ha dato a queste regioni, dove le impeccabili strade diventano sostanzialmente l’equivalente dei nostri musei. Offrendo passerelle d’elezione sul bene più prezioso ed insostituibile della nazione: lo splendore più assoluto della natura. Ma è oltre i negozi di souvenir, le aree di campeggio libero, i parcheggi, le balconate panoramiche, che alberga ancora un regno d’impossibili vertigini e scoperte trasformative dell’esistenza. Tutto ciò che occorre, è prepararsi a lasciare indietro l’automobile, facendo strada unicamente con la forza dei propri muscoli allenati. Per avvicinarsi, nella mente come nei fatti, alla presenza silenziosa delle pietre-troll dormienti, pronte a risvegliarsi non appena il Sole torni a rifugiarsi oltre l’orizzonte, per farsi sempre più piccolo e più lontano.