Quando si guida un mezzo da oltre 200 tonnellate più altrettante di carico, le gomme non sono più una semplice interfaccia che trasmette l’energia del motore al suolo. Ma un qualcosa di paragonabile alle fondamenta di un edificio, il sostegno strutturale di un qualcosa d’importante e duraturo. Esse rotolano, eppure, dovrebbero essere immutabili come il trascorrere del tempo. Immaginate quindi la sensazione provata dal pilota nel momento in cui la Fidia ruota si è incrinata, come il marmo del Partenone a seguito di un terremoto greco, e l’intero treno veicolare è parso scivolare verso il basso per un buon mezzo metro, mentre l’aria contenuta all’interno deflagrava con un sibilo possente, rischiando di annichilire chiunque fosse tanto sfortunato da trovarsi lì vicino nel momento dell’incidente: non è raro per simili copertoni, dopo tutto, il raggiungimento di una pressione interna di oltre 100 psi, esponenzialmente superiore a quella di una comune automobile. Ma chi mai avrebbe dovuto trovarsi, sul percorso di trasporto del materiale dal fondo di una miniera, la ruota nella ruota che ospita le ruote? Una metafora estremamente vivida della stessa condizione terrestre: l’acqua che precipita dal cielo, andando a formare i bacini da cui evapora depositando i sedimenti, per poi ritornare sopra grazie all’evaporazione. E il circolo delle materie prime, estratte, usate dall’uomo, quindi trasformate in spazzatura, che ritorna sotto terra in forma di mefitici veleni. Certo, non è propriamente la stessa cosa. E le quattro/sei sculture di gomma vulcanizzata del camion, che gira attorno al pozzo di scavo ed al suo interno, presso la cabina di comando, ospita la ruota dispari del suo volante, attentamente direzionata da colui che ben conosce il suo dovere. FERMARSI! Perché soltanto un altro metro, in queste condizioni, porterebbe al potenziale danneggiamento definitivo dell’oggetto in questione. La quale situazione, visto il suo prezzo unitario, non sarebbe d’interesse per nessuno… Tranne forse il venditore di pneumatici da cava. Il bloccarsi di un Haulpak, come venivano chiamati fino a poco tempo fa per antonomasia tutti questi camion (oggi l’azienda storica continua solamente come marchio in subordine alla giapponese Komatsu) è un’emergenza significativa nella filiera produttiva dell’industria d’estrazione, e non soltanto per l’inerente rallentamento della produzione. Ma sopratutto perché il gigante bloccato sul sentiero, o sia pure nel deposito, costituisce un ingombro notevole che ostacola anche il resto delle operazioni. L’intervento, dunque, dovrà essere immediato e risolutivo.
Tralasciamo per un attimo l’operazione di smontaggio e sostituzione della ruota per rimettere in movimento il gigante, che avremo modo di vedere poco più avanti, ed osserviamo attentamente in che consiste la vera e propria impresa di riparazione del nerastro e fessurato monumento: si tratta di un processo alquanto complicato. Nel video soprastante, in particolare, viene mostrato il processo proposto dall’azienda tedesca REMA TIP TOP, venditrice di una vasta selezione di materiali ed attrezzi concepiti in via specifica per affrontare proprio questa situazione. La scena si svolge all’interno di un’officina, che stando alla maglietta dell’operatore sembrerebbe chiamarsi H&H Industries e dove, a quanto pare, il raggiungimento di un tempestivo risultato viene in qualche modo anteposto al rispetto pedissequo di determinate regole di sicurezza. Nessun respiratore, guanti usati solamente in certe fasi dell’operazione, maniche corte con le braccia ricoperte di schegge di gomma sminuzzata. E figuriamoci i polmoni! Ma resta indubbio che la sicurezza di quest’uomo all’opera, in qualche maniera, controbilanci persino simili trascuratezze, creando un contesto in cui esse vengono smorzate dalla cautela che nasce dall’esperienza. Pensate solamente alle conoscenze pregresse necessarie per la prima fase definita dello skive, in cui costui deve letteralmente scavare con una fresa la parte esterna dello pneumatico, per raggiungere il suo nocciolo nel punto in cui si è formato spontaneamente il foro. Proprio così, formato: qui non stiamo parlando certamente di un chiodo, che tra l’altro, per raggiungere l’altro lato della gomma avrebbe dovuto essere più che altro una spada, bensì del cedimento di un’ammasso di gomma sottoposto a terribili pressioni ogni singolo giorno della sua vita funzionale, finché alla fine, del tutto esasperato, ha detto: “Basta, mi ritiro!” Ma gli oggetti non hanno ALCUN potere decisionale…
Il riparatore scava, dunque, e scava ancora un po’ più a fondo, fino alla struttura reticolata di metallo che si trova all’interno dell’involucro di gomma, per dare solidità alla ruota. È una scena che in effetti pare alquanto surreale e non a caso ha ricevuto molte critiche nei soliti commenti disinformati di YouTube. Perché sembra quasi che da un minuscolo buco, costui stia ricavando una voragine, un po’ come il dentista che deve devitalizzare un dente. E con lo stesso scopo di fondo, tra l’altro: mettersi in condizione non soltanto di riparare il danno visibile, ma anche quello subdolo e nascosto. Come dicevamo poco sopra questa ruota è sostanzialmente usurata, e un intervento approssimativo durerebbe assai probabilmente dall’alba al tramonto. Se pure. Completata la fresatura, quindi, ogni superficie del buco viene attentamente limata e regolata per avere un’inclinazione di 30 gradi, ritenuta l’ideale per consentire l’adesione della nuova gomma che verrà impiegata nella riparazione. A quel punto, l’uomo passa dalla parte interna dello pneumatico, dove verrà applicata la toppa vera e propria con lo scopo di mantenere adeguata la pressione. Quest’ultima, selezionata da un inventario con prodotti adatti alle più diverse situazioni ed accuratamente centrata sul danno mediante la realizzazione di righe geometriche tracciate coi gessetti, verrà quindi fatta aderire a delle indentature ricavate con l’analogo processo di skiving (fresatura). A questo punto, l’applicazione di una speciale sostanza dal nome commerciale di Remabond Cement prepara tutte le superfici all’aderenza successiva della nuova gomma, mentre a partire dalla crepa vera e propria vengono disposti dei fili sottili e resistenti, come parte dell’accorgimento definito venting, ovvero la creazione di piccoli canali per il passaggio dell’aria, che permetteranno a una certa quantità d’aria di fuggire via nel momento della gonfiatura, evitando così pressioni eccessive nel punto relativamente debole della toppa posticcia. Una volta raggiunta la pressione operativa, quindi, la gomma andrà ad espandersi nei buchi, garantendo una tenuta priva di compromessi.
Terminato questo passaggio inizia il processo ricostruttivo vero e proprio, consistente nell’applicazione di numerose strisce adesive gommose (strips) e strati successivi di Remabond. All’applicazione di ogni toppa, l’addetto effettua quello che i sottotitoli chiamano lo stitching, un’applicazione di forza concentrata lungo l’intera estensione mediante un attrezzo “porcospino” che sembra un taglia pizza, ma include un rullo appuntito che spinge la gomma bene in profondità. Nella voragine scavata nella parte esterna della ruota, tuttavia, neppure questo basterebbe per colmare il grande vuoto, e viene dunque aggiunta dell’ulteriore cushion gum (gomma di ammortizzazione/ammortizzamento) simile a del soffice e cremoso caucciù. Questo potrebbe sembrarvi molto strano: per indurire questo tipo di materiali, normalmente, si rende necessario il processo termico della vulcanizzazione. Ma come sarebbe possibile riscaldare la parte nuova della gomma, senza alterare nel contempo la condizione in essere del materiale pre-esistente? La risposta è che non c’è bisogno di fare niente di tutto ciò. I prodotti della TIP TOP sono infatti del tipo auto-vulcanizzante, ovvero raggiungono la massima durezza al contatto con l’aria a temperatura ambiente. Davvero niente male…
Un’operazione, come dicevamo, complessa. E costosa: stando alle stime reperibili online, una riparazione come questa costa tra materiali e manodopera attorno ai 3.000/4.000 dollari. Siamo comunque al di sotto del 15% del costo di un nuovo pneumatico di queste dimensioni, benché venga da chiedersi quanto ancora sia utilizzabile una ruota che comunque, ha iniziato a sviluppare simili crepe e fessuramenti. Evidentemente, più di quanto saremmo portati a pensare per comparazione con i nostri familiari autoveicoli stradali. Altrimenti, tutte le tecniche fin qui discusse non avrebbero alcuna ragione d’esistenza.
È lecito nutrire qualche dubbio sullo sfruttamento incondizionato delle risorse del pianeta, che conduce all’istintiva diffidenza verso una qualsiasi azienda che richieda l’impiego di mezzi per lo spostamento di tali quantità di terra. Nickel, alluminio, ferro, rame, piombo… Il sangue stesso della nostra odierna civiltà. Succhiato da noialtri pipistrelli senza ali, verso la costruzione di un qualcosa di più complesso, ma proprio per questo tutt’altro che duraturo. Alla fine, ai posteri l’ardua sentenza. Colui che agevola un simile meccanismo, l’uomo che ripara gomme molto più pesanti di lui, meriterà comunque una nota a margine della ponderosa antologia. La sua opera scultorea, benché finalizzata ad un aspetto tecnico piuttosto che artistico della vita universale, ha un merito ulteriore che di certo (?) (!) gli sopravviverà. Finché l’ultimo camion ferito, come il leone con la spina nella zampa, chiami nella sua tana chiunque abbia una ragione, oppure il desiderio d’aiutarlo. Chi avrà le orecchie, e l’onestà intellettuale, per sostenere un simile ruggito da 1450 cavalli, assieme allo sforzo e alla fatica del motore del veicolo, percepirà forse un vago accenno di quella parola senza tempo: “Grr…Grr..GRAZIE.” Umano.