Il pianeta che morì per formare la Terra

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Mentre la tiepida temperatura autunnale abbandona l’anima delle nostre case, spinta via dal freddo candido che è sempre stato prossimo al Natale, sarebbe anche lecito porsi un interrogativo fondamentale di base: perché mai succede questo? O meglio, qual’è la sua genesi remota? Noi ben conosciamo l’alternanza di estate/inverno, con i due stati intermedi (benché le mezze stagioni, si sa…) così come il fatto che l’asse terrestre, prima ancora che esistessero gli oceani, è inclinato di 23 gradi, ponendo alternativamente l’uno oppure l’altro emisfero in posizione di vicinanza al Sole, nel corso della grande corsa sul circuito ellittico che dura pressoché un anno. Eppure, se è vero che questo pianeta si è formato per concrezione delle polveri di un’ancestrale nebulosa, saldamente unitesi in funzione delle forze gravitazionali, ciò dev’essere per forza avvenuto sul piano di un disco roteante, com’è provato dalle attuali orbite di questo e gli altri corpi planetari. La palla gira, dunque, e nel contempo rotola in maniera regolare. Questo era primario, del resto, per la formazione della vita. Ma tutto punterebbe a un movimento di rotazione coplanare con la rivoluzione attorno al nostra stella… Resta il mistero, a questo punto, dell’origine di questa dissonanza. Perché mai la Terra è sbilenca? Esistono diverse teorie. Ma c’è n’è una particolarmente affascinante, perché funzionale anche a chiarire l’origine di un altro mistero, l’esistenza del nostro satellite comparabilmente sovradimensionato, la Luna. Si riassume così: circa 4,5 miliardi di anni fa, poco prima dell’inizio dell’intenso bombardamento tardivo durante il quale il nostro pianeta sarebbe stato colpito da una quantità spropositata di asteroidi, esso fu raggiunto dal più grande bolide della sua storia: Theia, un corpo della dimensione approssimativa di Marte. In un vortice di fiamme e magma, l’intera superficie della proto-Terra venne sconquassata nella sua stessa essenza. Tutta l’acqua, accumulata attraverso gli eoni grazie all’impatto di remote comete, si prosciugò istantaneamente. Il nucleo di ferro pesante nascosto nell’invasore spaziale penetrò come un proiettile all’interno di crosta e mantello, sprofondando fino al centro del pianeta dove si fuse con il suo gemello pre-esistente. I frammenti di roccia e altri materiali più leggeri, invece, si suddivisero equamente tra il suolo, dove andarono a formare il tessuto stesso dei futuri continenti, e di rimbalzo l’oscurità cosmica, dove sarebbero di nuovo stati catturati dalla nostra gravità. Su stima che la massa complessiva della Terra, quel giorno, aumentò in percentuale considerevole. Lo sciame esterno quindi, nuovamente congregato per la forza d’attrazione naturale in un anello, in un tempo medio avrebbe assunto quell’aspetto familiare dell’astro di Selene, la dea che illumina le nostre notti fin dall’alba dei tempi. Lasciando sotto il suo distaccato sguardo, la più assoluta rovina risultante da una catastrofe del tutto senza precedenti.
Stella, pianeta ed asteroide: vediamo per quanto possibile cos’era Theia, da dove veniva e soprattutto perché, nonostante l’ingloriosa fine, la scienza sia disposta a considerarla dal punto di vista della nomenclatura alla pari della nostra culla verde-azzurra. Il punto principale da considerare a tal proposito è una distinzione in tre parti: ciò che insiste, ciò che esiste e ciò che sussiste. Il primo insieme, associabile al gruppo delle nostre cosiddette stelle fisse (che poi fisse, in effetti, non sono) è occupato da corpi celesti talmente massivi che il peso specifico dei loro elementi genera una costante reazione atomica dall’energia spropositata. Essi bruciano, fino al momento in cui molti miliardi d’anno dopo, esaurito il carburante, iniziano a  sfogare l’energia residua aumentando le proprie dimensioni, per poi esplodere come delle mostruose bombe. Supernova, si chiama questo effetto, e sprigiona nel cosmo dei fasci di raggi gamma colossali, il cui passaggio può essere del tutto sufficiente a eliminare, in un istante, l’intera vita di un sistema stellare. Il pianeta, dal canto suo, è quel corpo sufficientemente piccolo da non dover subire un simile destino, ma anche abbastanza grande da acquisire una sua orbita stabile e sopratutto mantenerla, potenzialmente nella “zona di Riccioli d’Oro” (non troppo calda, non troppo fredda…) all’interno della quale può anche nascere, se il caso vuole, una pluri-millenaria civiltà. Ancora diverso, invece, è il destino dell’asteroide. Che si forma nello stesso modo, ma si trova in una posizione in cui la sua massa generalmente inferiore risulta influenzata dalle più grandi forze in gioco. Dando l’origine ad eventi come quello descritto nella cosiddetta teoria del Grande Impatto…

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La più grande catastrofe che il mondo abbia mai conosciuto. E che possa mai conoscere: perché a seguito di una replica futura, inevitabilmente, esso non sarebbe più il nostro mondo, bensì qualcosa di radicalmente differente.

Ciò che va chiarito, a questo punto, è come sia stata possibile la formazione di un corpo grande come Theia in una posizione che, in ultima analisi, non era sufficientemente stabile per tenerlo lontano da noi. La risposta è da cercare in una delle più celebri applicazioni astronomiche delle leggi newtoniane, quella del teorema di Lagrange. Giuseppe Lodovico Lagrangia (1736-1813) era un matematico ed astronomo italiano, che trascorse la maggior parte della sua vita a Parigi e a Berlino. La sua enunciazione più famosa recita che “Dato un arco planare tra due punti estremi, c’è almeno un terzo punto in cui la tangente dell’arco è parallela alla secante tra i due estremi.” Il che crea, sostanzialmente, una ristretta zona di assoluto nulla, in cui contrariamente a quanto ci direbbe l’intuito, le attrazioni gravitazionali in gioco sono esattamente equivalenti. E nel sistema formato dalla Terra e il Sole, dimostrò Lagrange, di simili punti ce n’erano diversi, numerati da L1 a L5, ciascuno dei quali potenzialmente in grado di ospitare un corpo in posizione stabile, per un tempo misurabile in milioni di anni. Uno esterno all’ellisse disegnato dal movimento della Terra, controbilanciato dalla forza centrifuga, ed un altro in opposizione all’altro lato del Sole. Uno fra la Terra e il Sole, tenuto stabile dalle rispettive forze di attrazione. E due sul corso della nostra orbita, collocati al vertice dell’ideale triangolo equilatero creato dal problema dei tre corpi. Ed sarebbe stato proprio in uno di questi due punti (L4 ed L5) secondo la teoria del Grande Impatto, che risiedeva il pianeta/asteroide Theia, generatosi dall’accumulo di materiali in una simile posizione, apparentemente del tutto sicura. Se non che attraverso il corso degli eoni, crescendo in modo smisurato, esso sarebbe diventato troppo grande per essere influenzato dalla forza attrattiva del punto di Lagrange, iniziando a vorticare in modo incontrollato sulla corsa del nostro giovane pianeta. Finché alla fine, non avvenne la terribile catastrofe che distrusse il primo e trasformò il secondo, generando nel contempo la nostra Luna.
Tutto questo, lo ipotizziamo sopratutto in forza di alcuni indizi piuttosto determinanti, acquisiti tramite lo studio delle rocce lunari acquisite durante il progetto Apollo. È stato infatti dimostrato come in esse sia presente una particolare classe di isotopi dell’ossigeno, totalmente unica in tutto il Sistema Solare tranne il nostro stesso pianeta Terra. Dal che è stato desunto, al di là di ogni ragionevole dubbio, che i corpi siano stati un tempo parte di un tutt’uno, ma allora non si riesce a comprendere perché il nucleo della Luna sia molto più leggero, e privo della concentrazione di zinco che caratterizza il nostro e quello degli altri pianeti. Impossibile! A meno che si sia verificato l’impatto catastrofico e la conseguente evaporazione di una grande quantità di questo metallo, suscettibile a mutare a soli 500-850° C, per un tempo esteso lungo incalcolabili millenni.

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Il Sistema Solare: un’enorme sfera fiammeggiante lanciata alla deriva nello spazio, che crea un’avvallamento nel tessuto sopra il quale girano i suoi più piccoli fratelli. Ma basta un sovvertimento minimo, una modificazione dello stato in essere per quanto insignificante, affinché il rischio di un impatto diventi fin troppo reale.

Molte sono le prove a sostegno dell’ipotesi, come del resto gli elementi all’apparenza contrari. Così attraverso gli anni le teorie sull’origine della Luna a partire dal nostro pianeta si sono susseguite, a partire dalla prima elaborata nel 1898 da George Darwin, figlio dell’ancor più famoso Charles. Egli riteneva che la semplice forza centrifuga della rotazione della Terra avesse scaraventato una certa quantità di materiale nello spazio, tale da dar luogo alla genesi del satellite che ci sorveglia da lontano. Aveva inoltre determinato che quest’ultimo tendesse gradualmente ad allontanarsi, una teoria che è stata in tempi più recenti dimostrata, grazie ai bersagli per telemetri laser disposti dagli astronauti americani durante tutto il corso del programma Apollo. La teoria del Grande Impatto, dunque, non sarebbe che l’unica spiegazione logica del come in effetti una quantità tanto elevata di frammenti possa essersi staccata dal suolo, per andarsi a ridisporre ad una placida distanza di sicurezza, da dove avrebbe eternamente influenzato le nostre maree. Eternamente: si fa per dire!
Insignificanti pulci sopra il cane cosmico, parassiti dalla vita breve come un alito di vento, occupiamo il dorso inconsapevole di Gaia, la dea primordiale che generò Urano e gli altri titani. Mentre Theia, il nome del pianeta misterioso, fu la madre proprio di Selene, colei che i greci associavano alla Luna nelle notti del mondo antico. Dal passaggio di questi esseri, dalle loro peripezie e tribolazioni, scaturiscono copiose le acque degli eventi. Ma dove esse passano, noi scompariamo. Cosa potrebbe mai fare l’uomo, di fronte al corso di un simile fiume? Soltanto usare la sua conoscenza, per trovare il modo di salvarsi grazie allo strumento della fuga interstellare. Ma persino questo, in ultima analisi, potrebbe esulare dalle nostre capacità…

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