L’incredibile potenza del cavallo brabantino

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Nelle tipiche illustrazioni fantasy, come quelle del popolare videogioco World of Warcraft o dello strategico con le miniature da tavolo che l’ha ispirato, ricorre un particolare stile nel raffigurare i personaggi, tutt’altro che realistico nella maggior parte dei casi: i guerrieri hanno spalle larghissime, con protezioni sovradimensionate e dei lineamenti straordinariamente pronunciati, simili a quelli di un uomo primitivo. Le mani son enormi, mentre le membra sono corte e tozze, per accentuarne la muscolatura, tanto che sembra quasi di trovarsi di fronte a un’ibrido uomo-gorilla. E non entriamo nel merito delle proporzioni femminili, che è meglio… Il che del resto ha un senso nella ricerca di una grafica che possa dirsi caratteristica e divertente. Nel caso degli orchi, elfi e gli altri meta-umani, tra l’altro, tutto appare più che mai giustificato. Per quanto concerne invece i cavalli forniti ai giocatori, fondamentale mezzo di trasporto in una società d’ispirazione medievale, sarebbe difficile pensarci fuori dalle regioni della più pura invenzione: essi appaiono infatti lunghi e massicci, le zampe larghe come quelle di un rinoceronte. Il muso corto ed una testa piccolissima, posta sulla sommità di un petto squadrato almeno quanto quello di un pitbull, mentre i quarti posteriori, tondeggianti e solidi come la roccia, ricordano da vicino il sedere di un cane corgi. Questi esseri così diversi da un moderno purosangue, come dal tipico ronzino che tutt’ora serve nelle fattorie, galoppano con piena bardatura di metallo, vere e proprie parti d’armatura a piastre, nonché sulla sella riccamente ornata, un cavaliere grosso e forte, a sua volta abbigliato grosso modo come Jeeg Robot d’acciaio con le corna da vichingo, armato di spada, mazza, lancia e così via… 200, 300 Kg complessivi? Possibile. Tutt’altro che irrealistico. Perché lasciate che vi dica la realtà insospettata: quel tipo di cavallo esiste davvero, viene dal Belgio e… Potrebbe farcela davvero. Niente, nella storia pregressa di questa razza, è mai riuscito a far crollare la sua straordinaria determinazione.
E questo è un aspetto, io credo, a cui non si pensa tanto spesso. Che le cavalcature più pregiate delle epoche trascorse non erano certo gli antenati diretti di quelli che vediamo oggi all’ippodromo, straordinariamente fragili e veloci. Ma dei veri carri armati del regno animale, costruiti come macchine da guerra: il destriero, il palafreno, il corsiero, l’hunter. Tutti termini d’uso comune non tanto riferiti a specifiche linee genetiche, bensì al ruolo che questi quadrupedi assumevano nella loro vita con gli umani, particolarmente nel momento di scendere in battaglia. Se soltanto potessimo vederne uno da vicino, oggi, non avremmo il benché minimo dubbio: queste sono bestie da fatica, ovvero, da tiro. Animali concepiti per lo sforzo, tutt’altro che aggraziati in termini generali eppure, se soltanto li si guarda con l’occhio critico innato, dotati di una loro grazia e bellezza assai difficile da trascurare. Oggi il Gran Cavallo, come ancora lo chiamava Leonardo da Vinci nel 1482, nel progetto che doveva servire per la statua mai realizzata di Ludovico il Moro, è sostanzialmente sparito, benché persistano su questa Terra alcuni suoi remoti discendenti. E primo fra tutti, come avrete certamente capito dal video di apertura e l’accenno fatto poco sopra, è lui, il cavallo Belga da tiro. O come viene talvolta chiamato, il cavallo (della regione) di Brabant, o Brabantino. Una bestia formidabile e pacata, standardizzata soltanto a partire dal XIX secolo in tre varianti di altezza progressivamente maggiore: il Gros de la Deandre, il Gros di Hainaut e il Colosses de la Mehaique. Fin dalle soglie del ‘900, poi, alcuni esemplari importati negli Stati Uniti vennero selezionati per creare una versione dai tratti atipici meno accentuati, sostanzialmente simile a un cavallo normale di colore esclusivamente marrone. Ma grosso, enorme persino: gli esemplari maschi superano spesso la tonnellata di peso. Il più grande Brabantino presente o passato di cui abbiamo notizia è Big Jake, un castrato di 9 anni originario Wisconsin, misurante la cifra vertiginosa di 210 cm senza indossare i ferri. Trascinare un tronco per lui sarebbe un gioco da ragazzi, per non parlare di…Altre cose…

Nota: tutti i video di questo articolo vengono dal canale di Robert Piessens, grande appassionato (e probabile possessore) di cavalli da tiro Brabant.

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Per praticare la pesca col cavallo brabantino occorre un lungo periodo di addestramento. Immaginate cosa potrebbe succedere se uno di questi possenti animali, spaventato dalle onde, dovesse sfuggire al controllo del suo padrone!

Nel corso della storia di questa regione antica, sita a cavallo tra i moderni Belgio ed Olanda, questi cavalli caratteristici hanno rivestito molti ruoli. Nati con l’apposito scopo di sfruttare a pieno un ambiente molto rigoglioso e ricco d’erba, in cui fieno ed avena non sarebbero mai scarseggiati, essi ricambiavano la devozione dei padroni trasportando carichi pesanti o grossi aratri, la ragione principale per cui nacque l’usanza di tagliare molto corti i peli della loro coda, affinché quest’ultima non potesse rimanere pericolosamente impigliata nel rimorchio. Presso il villaggio di Oostduinkerke sulle coste del Mare del Nord, in particolare, esiste un’usanza unica al mondo, vecchia di almeno 500 anni e tutt’ora praticata, che consiste nell’impiego di questi cavalli per trainare le reti a strascico, in un tipo di pesca che mira sopratutto alla cattura di piccoli pesci e gamberi. In aggiunta questo carico, il cavallo deve anche trainare una catena che tocca il fondale, allo scopo di spaventare la vita marina e metterla in trappola con più efficienza. La prassi, così distante dal modo di vivere moderno, consente di interfacciarsi con la natura senza arrecare i gravi danni dei processi industriali. Con il valore aggiunto d’attrarre, anno dopo anno, una quantità sempre maggiore di turisti. Ma questo non è che uno dei molti servizi che simili cavalli possono rendere all’umanità.
All’inizio dello scorso secolo, quando i trattori erano ancora uno strumento problematico e guardato con sospetto, gli agricoltori di mezzo mondo riscoprirono la formidabile utilità di un animale che poteva svolgere le stesse mansioni, senza nessun tipo di consumo di carburante se non quello prodotto localmente (e messo nella mangiatoia) e che per di più produceva nel corso della giornata una risorsa di primaria importanza per la coltivazione dei sementi: il letame. In breve tempo, esportazioni selettive vennero intraprese per i canali commerciali d’Europa e d’Oltreoceano, anche grazie a forti incentivi del governo belga. Nel 1903, le istituzioni locali organizzarono una partecipazione alla Fiera Internazionale del Bestiame di St. Louis, negli Stati Uniti, ed il resto come dicevamo è storia: nell’immaginario americano odierno, sostanzialmente, non esiste un solo cavallo da tiro che sia più riconoscibile di questo. Terminati gli anni oscuri delle due guerre mondiali, quindi, la circolazione di questa razza continuò ad aumentare, diventando anche la base, tra gli altri, del moderno cavallo agricolo italiano.

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In questo video girato presso Ravels, in Belgio, vengono comparate le prestazioni di un enorme trattore John Deere con quelle di un tiro di 16 cavalli brabantini. I risultati ottenuti nello spostamento di una slitta appesantita appositamente sembrano straordinariamente e sorprendentemente vicini.

Il progressivo miglioramento delle prestazioni dei veicoli a motore quindi, dovuto soprattutto ai progressi tecnologici sopraggiunti in epoca di guerra, portarono progressivamente al disinteresse dell’agricoltore medio per il concetto stesso di un cavallo da lavoro. Benché la specifica soluzione restasse relativamente economica, dunque, essa continuò ad avere una sempre minore rilevanza nei mercati globalizzati, dalle esigenze sempre maggiori di produzione. Il che non vuol dire, del resto, che questi straordinari animali siano stati completamente dimenticati. Prestigiose organizzazioni, tra cui la Société Royale Le Cheval de Trait Belge e la Belgian Draft Horse of America ne continuano a proteggere il patrimonio genetico, pubblicizzando con enfasi la grande forza, le capacità fisiche e la resistenza dei loro simboli totemici, la cui rilevanza storica, del resto, permane come un merito ulteriore e difficile da trascurare. Certo nessuno di noi, mi sento di affermarlo con ragionevole certezza, proverà mai l’esperienza di cavalcare nel mezzo di un campo di orchetti e troll mulinando il proprio martello di Lucerna, il temibile mazzapicchio dei paladini del regno di Stormwind. Ma questo non significa che al termine della giornata di epiche imprese, un grosso muso umido non possa attendere con gioia le nostre carezze, dentro una stalla che potrà pure essere virtuale, ma proprio per questo, non sparirà mai.

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