La città era gremita, le persone si parlavano l’una sull’altra. Dall’Ottava Avenue a Gran Street, da Broadway a Times Square, non c’era un singolo luogo in cui sarebbe stato possibile individuare il suono del vento. Gente semplice, gente elegante, uomini e donne di mondo, eroi emarginati. Ciascuno estremamente cosciente, così come lo è immancabilmente la natura umana, del preciso istante e della condizione in cui stava vivendo, al termine di un secolo di duri sacrifici, lotte, ardue tribolazioni; sulla cima del periodo economicamente più elevato degli ultimi 100 anni. Alla Casa Bianca faceva il suo ingresso proprio in quell’anno Bill Clinton, con un futuro ancora da decidere, forse un passato nebuloso, ma una leadership di partito solida e una visione politica del mondo a cui il popolo americano, fin da subito, si dichiarò abbonato. Altre scelte, meno degne dei libri di storia eppure a loro modo non prive d’importanza, influenzavano il mondo del commercio in modo significativo. I dischi giravano nei vorticosi meccanismi.
I Kennedy, i Rockfeller. Chi sono i Taft, gli Udall? Di certo non potremmo sollevare alcun dubbio, neanche da ignoramuses europei, in merito all’importanza rivestita nella storia del contemporaneo dai due presidenti Bush. Le dinastie al potere della classe dirigente americana, la cui storia pregressa porta molti a pensare che persino dopo queste elezioni del 2016, i Clinton possano tornare in lizza con l’ingresso nell’arena della figlia Chelsea. C’è una tendenza fondamentale, universalmente nota, che porta il potere politico a scorrere dentro alle vene con il sangue, e per questo trasferirsi intonso lungo il flusso delle sue generazioni. Mentre se c’è un ambito in cui questo non poteva mai succedere, questo era senz’altro la tecnologia. Un mondo le cui regole sono dettate necessariamente dal senso pratico, e il ritmo è scandito dalle innovazioni ingegneristiche e la sperimentazione. Giusto? Allora spiegatemi un po’ questo documento: una ripresa della Grande Mela in cui la folla, presa da lontano, non è soltanto una massa indistinta di colori, ma presenta nasi, bocche, addirittura singoli capelli. La cui inquadratura si compone, se volessimo contarli, di esattamente 1980 x 1080 pixel a scansione interlacciata. Gli stessi di un moderno film in Blu Ray. E a scanso d’equivoci: non siamo assolutamente di fronte a una creazione avveniristica, creata per un pubblico di tecnici nelle candide sale. Queste scene, create con piglio registico neutrale ma piuttosto accattivante, facevano parte originariamente di un disco demo giapponese, impiegato per dimostrare nei negozi le straordinarie potenzialità del Laserdisc MUSE della Pioneer. Un qualcosa che avrebbe immediatamente ricordato, agli occhi dei giovani d’oggi, un CD grosso come un 33 giri.
Eppure, non è ancora questa la ragione degna del nostro supremo senso di sorpresa: perché il video in questione, per come lo stiamo guardando attraverso l’upload dell’utente YouTube Pedant, è stato in effetti catturato tramite l’uscita component dispositivo differente, per il grande pubblico letteralmente sconosciuto. Un videoregistratore… In alta definizione. Si, è così! La suprema contraddizione in termini, come un pesce che cammina sulla terra, o un cubo di ghiaccio che va a fuoco, un verme che mette le ali come una farfalla. C’è stata un’epoca, tutt’altro che lontana, in cui lo storage ottico del disco laser ci sembrava vecchio e superato. Ed il futuro era chiaro e limpido, come una scatola di plastica col nastro magnetico all’interno. La sublime, indimenticabile invenzione del VHS di JVC: torneremo mai a quell’epoca gloriosa? Aah, la nostalgia. Il fatto, sostanzialmente, è come segue. Nell’opinione comune, si tende a pensare che l’immagazzinamento dei dati in formato digitale non possa che derivare da specifiche tipologie di supporti. Che i dati codificati, in maniera totalmente scollegata dalla loro fisica natura, siano un appannaggio del “mondo nuovo” nato successivamente all’invenzione del transistor, e che la conoscenza, come qualsiasi altra forma di energia, non possa comprimersi al di sotto di un peso specifico determinato. 74 minuti di musica, ad esempio, per un CD Audio; ma ora provate a registrarli in formato MP3, o ancora meglio in FLAC. Ora avete 650 megabytes, ed in funzione della qualità scelta, molto, MOLTO spazio di manovra…
Il miracolo anacronistico a cui avete assistito, nei fatti, è stato prodotto da un registratore D-VHS della JVC stessa, in collaborazione con Hitachi, Matsushita e Philips. Ora se le cose andassero nella tecnologia come in politica, avrei forse detto Sony, Samsung e LG. Perché altrimenti come potremmo mai spiegare il capovolgimento successivo delle dinastie? Il formato in questione fu introdotto nel 1998, ben CINQUE anni prima del BluRay, quando il top di gamma per il mercato consumer risultava essere, da ormai diversi anni, l’ormai vetusto DVD. La cui capienza non era in alcun modo sufficiente a contenere un film in alta definizione del resto, non è che importasse poi a molti: un televisore in grado di riprodurre tali contenuti, dopo tutto, sarebbe costato attorno ai 4.000 dollari. Eppure il mercato c’era, e la richiesta per dei film tanto assurdamente definiti andava di pari passo, assieme a quello per le uova di caviale, le Ferrari e gli orologi d’oro. Al che, alle aziende succitate venne l’incredibile idea: cosa succederebbe se prendiamo la videocassetta dalle prestazioni più avanzate sul mercato, la S-VHS con luminanza e risoluzione lievemente migliorate, e la usiamo per immagazzinare i dati in digitale? Fino a 50 (CINQUANTA) GigaBytes di dati, ecco cosa! Chi ha mai lavorato nel settore degli archivi del resto lo sa bene, che i supporti magnetici si prestano davvero molto bene ad immagazzinare quantità spropositate di dati, a patto di non pretendere di accedervi in una frazione di secondi. Dopo tutto, quando l’unica variabile per la capienza è l’estensione del nastro, se servono più giga, tutto quello che occorre è farlo ancora più lungo. E caso vuole che nell’ormai sottovalutata scatoletta plasticosa con lo sportellino inventata quasi 20 anni prima dalla JVC, di nastro ce ne potessero stare fino 500 metri. Niente male, davvero!
Dal punto di vista meccanico, un videoregistratore di questa classe non era poi così diverso da quelli usciti precedentemente. C’erano le stesse testine e gli stessi meccanismi, mirati a gestire una cassetta dal punto di vista fisico assolutamente convenzionale. Ciò che cambiava radicalmente, invece, era tutta l’elettronica: senza la spropositata capacità di calcolo che oggi possediamo persino all’interno del più economico dei cellulari, la decodifica dei dati digitali presenti in una videocassetta richiedeva una grande quantità di circuiti dedicati, e vere e proprie intere schede informatiche, posizionate a tappezzare letteralmente la scocca interna del dispositivo. Lo YouTuber appassionato Techmoan fa notare, a tal proposito, come alcuni dei dispositivi vintage da lui acquistati ad un buon prezzo abbiano un aspetto tutt’altro che raffinato, con addirittura un rumoroso dissipatore montato esternamente, come se fosse stato aggiunto successivamente alla progettazione. Gli apparecchi dunque, proni al surriscaldamento, apparivano tutt’altro che solidi nel tempo, e questo potrebbe aver contribuito in modo significativo al loro fallimento. La registrazione, inoltre, per arginare il timore della pirateria di quella che rimaneva dopo tutto una normalissima VHS, poteva essere effettuata solamente tramite porta Firewire. Eppure… Molti, tra i videogiocatori moderni, hanno presente la catastrofica percentuale di X-Box 360 difettose che la Microsoft immise, con notevole mancanza di prudenza, sul mercato nel 2005. Eppure, quella console fu la grande rivelazione della sua epoca, e persino tanti anni dopo, il brand è vivo e vegeto anche se piuttosto sofferente (ma chi non lo è adesso, in quel settore?) Il funzionamento inaffidabile, o la poca praticità, non ha mai precluso il successo di qualsivoglia tecnologia che fosse veramente significativa. E non credo che si possa negare la qualità e il merito del D-VHS dopo averlo sperimentato: i film dell’ultima generazione avevano una qualità video del tutto comparabile a quanto si può trovare ADESSO sul mercato. Non è incredibile tutto ciò? Personalmente, trovo molto calzante il paragone sollevato da Techmoan: nel 1998 esce il Sega Dreamcast, una console dalle caratteristiche fenomenali. Aveva l’alta definizione, dischi proprietari ad alta capienza, gioco online via modem, schermi LCD sui gamepad, costo relativamente contenuto. Giochi fantastici, aggiungerei – come dimenticare il fascino desueto degli arcades? Ma non vendette mai abbastanza e soltanto tre anni dopo, uscì di produzione. La ragione è chiaramente comprensibile: tutti aspettavano la Playstation 2.
C’era questo tripudio di idee completamente folli, costruito da un marketing serrato e alcuni executives capaci di sfruttare le conferenze aziendali come comizi in epoca di guerra, su un sistema dalla potenza spropositata, che avrebbe potuto guidare missili nucleari a destinazione se soltanto l’avesse voluto (si parlò addirittura di un divieto di esportazione verso il Medio Oriente, ah ah!) Che sarebbe stato perennemente connesso ad una sorta di rete neurale, permettendoci di raggiungere uno stato di convivenza”superiore” – davvero, fu addirittura usato il termine sociologico del Third Place, che potrebbe forse essere realmente applicabile soltanto nell’immediato futuro, con un’effettiva diffusione su larga scala dei sistemi per la realtà virtuale. E tutti ci credettero, come avevano creduto nel DVD. Per fare lo stesso nuovamente, pochi anni dopo, grazie all’invenzione del Blu Ray. Era davvero meglio, quel disco argentato, rispetto alla videocassetta di JVC? Sony ci credeva al 220% come hanno fatto gli americani di oggi, con Donald Trump. E voi?