Monica Larsson, lo chef del ristorante per famiglie sulla via del corso principale ricoperta dalla neve, parla amabilmente con la troupe del documentario finanziato dall’ente turistico di stato. “Si ve lo confermo, le esplosioni non si fermano neanche di notte.” Quasi a sottolineare le sue parole, l’edificio trema come per l’effetto di uno spaventoso terremoto, mentre un boato riecheggia dalle viscere del sottosuolo. Lo scenario della cittadina semi-addormentata, visibile dalla finestra principale, sembra assumere contorni sfocati, mentre il vetro vibra freneticamente alla frequenza di un diapason da quattro soldi. “Ma io neppure mi sveglio. Ormai ci sono abituata!” E come potrebbe essere altrimenti? Da queste parti, il sole tramonta in autunno. Per sorgere di nuovo solamente in primavera. Ma se dovesse sparire sotto la linea dell’orizzonte anche l’intera città, quell’alba diventerebbe un sogno lontano…
L’eccezionale abbondanza di una particolare risorsa è inevitabilmente alla base di un insediamento remoto. Funziona così: i cartografi all’inizio del secolo, durante i loro mesi vagabondi, giungono presso la montagna o la collina sperduta dentro al territorio popolato solamente dai nativi. Durante la loro opera di prospezione, scoprono la “cosa”: Platino? Argento? Zolfo? Nickel? Cobalto? Con grande rischio personale, costanza ed attenzione, essi stilano quindi un rapporto minuzioso, in cui si elencato i punti a favore per porre le basi dell’insediamento. La questione, da quel momento, resta inosservata per diversi anni. Finché il governo più vicino oppure qualche compagnia privata, corroborata da recenti fondi d’investimento in eccedenza, non decide di cogliere la sfida, affrontando le spese iniziali per scavare la prima miniera. Ed è a quel punto, normalmente, che la gente molla tutto per cercare qui la sua fortuna. È successo in Nord America, agli albori della corsa all’oro nel Far West, ed allo stesso modo è capitato qui, all’estremità settentrionale più estrema d’Europa, in Lapponia, entro le propaggini del Circolo Polare Artico. Dove, a partire dal 1736, furono nominate dall’ufficiale svedese Anders Hackzell le due colline di Fredriks berg e Berget Ulrika Eleonora (rispettivamente denominate sulla base del re e la regina di allora) letteralmente ricolme del più puro, universalmente utile e sorprendentemente prezioso dei metalli: l’umile ferro. Per più di un secolo, il minerale venne faticosamente raccolto dagli uomini di frontiera, e trasportato fino alla civiltà con slitte trainate da renne o cavalli. Il loro agglomerato di casupole venne chiamato Kiruna, la versione abbreviata del nome di una vicina montagna nella lingua dei popoli sami. Gli unici a condividere con loro tali vertiginose, gelide latitudini. Finché nel 1884, finalmente, non ci si rese conto di come i giacimenti dell’intera regione non fossero destinati ad esaurirsi prima di molte generazioni, portando quindi la compagnia inglese della Northern Europe Railway Company a investire nel futuro, costruendo in un primo momento dei binari tra le vicine città costiere di Luleå e Narvik. Poco prima di andare sfortunatamente fallita, e ritrovarsi a vendere le infrastrutture allo stato svedese per la metà della cifra spesa. E fu allora che quest’ultimo, estendendo le linee fino alla sua miniera più settentrionale, aprì la strada alla trasformazione progressiva di Kiruna in villaggio, quindi in vera e propria cittadina. L’amministrazione del giacimento venne data alla compagnia statale della Luossavaara-Kiirunavaara Aktiebolag (LKAB) che vide una crescita di produzione fino all’inizio del secolo successivo, e non smise di dirigere le operazioni neanche durante le due guerre mondiali, quando le materie prime estratte localmente diventarono una condizione totalmente necessaria alla sopravvivenza di qualsiasi nazione, specialmente se neutrale come la Svezia.
Negli anni più recenti, questo luogo caratterizzato da una ricchezza endemica e indubbiamente duratura, può raccogliere i frutti dei suoi quasi 200 anni di ottima amministrazione, con una disposizione urbanistica funzionale, numerose installazioni turistiche e ben due centri dedicati alla ricerca spaziale: l’Esrange per la costruzione di razzi e Istituto di Fisica, un dipartimento del politecnico di Luleå. La ridente cittadina, tuttavia, ha un problema. Secondo gli ultimi studi geologici e in funzione della progressiva necessità di scavare sempre più a fondo, per continuare ad estrarre il beneamato ferro, entro i prossimi 100 anni essa prenderebbe entusiasticamente il posto della terra rimossa dalle oscure profondità. In altre parole, cadrebbe giù nel baratro, tutta intera.
Ovviamente, se Monica Larsson ed i suoi circa 18.000 concittadini al conto attuale non sono particolarmente preoccupati è perché la LKAB, e con essa le istituzioni svedesi, hanno un piano di risposta al pericolo tutt’altro che azzardato: prendere l’intera città e spostarla di 3 chilometri più ad est. Roba da nulla, giusto? Non proprio. Eppure, meno priva di precedenti rispetto a quanto si potrebbe pensare. In particolare presso la miniera tedesca di Gartzweiler, nella Renania Settentrionale, l’omonimo villaggio dovette essere spostato, per una situazione del tutto comparabile a quella di Kiruna. Qualcosa di simile capitò negli Stati Uniti anche a Tombstone, Arizona. E sarebbe facile bollare le compagnie minerali come servitrici di un presunto bene collettivo, che in realtà per arricchirsi condannano alla distruzione le case stesse della gente a cui hanno dato lavoro. Ma la realtà è che ciascuno di questi insediamenti, fin dal momento stesso della loro concezione, fu fondato con la specifica intenzione di sfruttare al meglio le ricchezze del sottosuolo, e che nell’attimo stesso in cui queste dovessero esaurirsi, cesserebbero di assolvere a una qualsivoglia funzione. Tornando in breve tempo, con pari certezza operativa, totalmente abbandonati. Polvere, desolazione. Neve compattata dal soffio del vento. Questo sarebbe stato il suo futuro: se gli amministratori non avessero dato l’ordine, davvero sfortunato, di scavare sotto il sostegno stesso delle case soprastanti. Rendendo necessaria l’attivazione subitanea del trasloco.
Che funzionerà, nonostante tutto, nel migliore dei modi: nel documentario di apertura si parla del metodo amministrativo determinato sulla base della particolare esigenza. A tutti gli abitanti dell’area colpita dal rischio, il governo pagherà il 125% del valore di mercato degli immobili, offrendogli l’acquisto di una casa o locale commerciale di pari valore, ad un prezzo presumibilmente molto conveniente. Il segmento sceglie di seguire in particolare la famiglia di Johanna Lindgren Ringholt, l’attuale amministratrice dell’emporio Centrum, negozio storico di Kiruna, che parla con entusiasmo della nuova piazza progettata dalla compagnia Kjellander + Sjöberg, circondata da strade particolarmente strette e riparate dal vento, per favorire la vita locale anche durante il periodo dei lunghi e oscuri inverni della Lapponia. Altri miglioramenti previsti nell’ottica del progetto raro di ricreare un’intera città, includono una maggiore vicinanza al punto di riferimento della vicina pineta, che dovrebbe così diventare un luogo di ritrovo dalle notevoli attrattive naturali. Per quanto concerne invece l’aspetto più prettamente tecnico dell’operazione, nel documentario viene intervistato l’architetto Mark Szulgit, dello studio White, che parla estensivamente del senso di responsabilità da lui percepito nel lasciare un tale impatto nella vita della gente, ed anche di un problema estremamente significativo: la necessità di preservare, spostando letteralmente, alcuni edifici storici tra cui una torre dell’orologio e la stimata chiesa cittadina.
Questi due luoghi di riferimento, assieme ad altri non meglio definiti, troveranno posto attorno al nuovo avveniristico municipio, costruito interamente con i fondi della LKAB. Un deposito comune auto-gestito dalle compagnie di costruzione, definito “il Portale” raccoglierà inoltre i materiali ricavati dalle demolizioni, messo a disposizione per assistere nell’efficace, e per quanto possibile rapida ricostruzione della città presso la sua nuova sede più sicura. Il processo, tuttavia, non sarà complessivamente poi così semplice, e le stime più ottimistiche parlano attualmente di almeno un secolo perché si possa dire realmente completo. Cento anni, dopo i quali la città attuale potrà considerarsi totalmente restituita alla natura, mentre un nuovo agglomerato umano, in vista di quei luoghi ormai ancestrali, potrà continuare a bruciare il necessario per tenersi al caldo, sereno e pienamente benestante.
Le renne, nel frattempo, torneranno a pascolare sopra la miniera, del tutto inconsapevoli della voragine sempre più profonda che si allarga sotto i loro zoccoli pelosi. Tranne che per l’esplosione occasionale, istigatrice di tanti salti sul posto con le corna rivolte al cielo e una frenetica corsetta o due, fino alle propaggini del bosco più vicino.