Così avvenne che l’esploratore prototipico, rappresentante per antonomasia delle genti europee, giungesse un giorno fino in terra di Malesia, tra le collane d’isole fluttuanti nell’Oceano del grande Oriente. Per trovare una giungla straordinariamente incontaminata e per il momento popolata, come oggi sappiamo fin troppo bene, di alcuni degli animali più unici e rari dell’intero pianeta: la grande tigre della Malacca (Panthera tigris jacksoni) sistemicamente a rischio per la sua fama di mangiatrice di uomini, nonché l’utilità presunta nella pseudo-scienza della medicina cinese; il rinoceronte asiatico a due corni (Dicerorhinus sumatrensis) di cui oggi restano meno di 100 esemplari in libertà, per l’azione implacabile dei bracconieri; e uccelli dal becco a uncino, e insetti stecchi lunghi quasi mezzo metro, e lucertole che ne misurano tranquillamente due… Così sconvolto e appassionato, da tante visioni straordinarie mai neppure immaginate, la nostra allegoria vivente col cappello coloniale dovrà essersi seduta a tarda sera, nell’accampamento al centro di una remota radura. La voce delle guide locali ormai cessata, dopo il ritorno Nelle tende. E il caos degli animali totalmente rinnovato, da nuovi suoni e nuove forme che si svegliano a partire dal tramonto. Di altre strane e misteriose, incredibili creature mai viste prima. Ma lontane, nell’oscura notte tropicale, lontane tutte tranne… Fu allora. Fu in quello specifico momento; che non è un momento, né specifico (sia chiaro che la fabula è dimostrativa) …Che un riflesso straordinario parve palesarsi tra le foglie smosse dell’ombroso sottobosco. Come spire successive del drago marino sulle antiche mappe nautiche, una, due, tre anse azzurre che scaturiscono dal maelstrom vegetale, in un vortice di scaglie catarifrangenti. Quindi la punta di una coda, in lontananza, rossa come i riflessi del vicino fuoco notturno. E infine quella testa, a oltre un metro e mezzo di distanza: sottile e aerodinamica, col paio di occhi neri e attenti. “Ma quello è…È un serpente corallo!” Esclamò lui “Meraviglioso.” Devo guardarlo un po’ più da vicino. Devo avvicinarmi, devo memorizzarne i tratti. È la scienza che lo impone. Fino alle propaggini degli alberi, lentamente, attentamente, egli giunse senza intoppi. Finché mentre poggiava il piede con estrema delicatezza, giunse a comprendere immediatamente il proprio errore. Tra le radici dell’alto dipterocarpo, c’era un altra di quelle stupende cose. E lui ci aveva appena messo un piede sopra! La bestia sibilò, cambiò fluidamente la sua posizione. E puntando il suo disturbatore, furiosamente, morse la caviglia con estrema crudeltà.
Ora per uscire brevemente dalla catartica disgrazia qui narrata, che potrebbe non essersi verificata ma del resto forse invece… Sarà meglio descrivere per sommi capi l’effetto che effettivamente può indurre il morso di quello che oggi definiamo Calliophis bivirgata flaviceps, o serpente corallo blu LUNGO della Malesia. Una creatura che rientra tra l’insieme dei cosiddetti rettili dei cento passi, nel senso che dopo il tempo necessario a percorrere tale distanza, normalmente, un uomo adulto muore. Tranne che, nel caso specifico, il malcapitato non potrà compierne neanche uno, visto l’effetto totalmente paralizzante avuto dal veleno inoculato nelle sue vene. Sostanza che non è, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, affine alla potente neurotossina usata da molti dei serpenti più pericolosi mai prodotti dalla natura, incluso il terribile mamba nero, ma appartiene piuttosto a un diverso ambito dei veleni, ovvero le citotossine. Che invece che attaccare i nervi, saturano direttamente i recettori del sodio presenti nei muscoli, causandone l’estrema ed immediata contrattura fino all’estremo, con un dolore inimmaginabile che giunge al culmine quando si fermano cuore e polmoni. Ma se siete già caduti vittima di questo mostro, e vi trovate lì nella radura, innanzi al fuoco, udendo il grido ilare di scimmie sempre più distanti, aspettate a disperare. Potrebbe anche esservi andata bene!
La famiglia degli elapidi, i serpenti corallo, si divide in due categorie ben distinte: quelli appartenenti al “vecchio” mondo (l’Eurasia) e quelli invece del continente americano. Questi ultimi, comunemente, sono i più studiati. Per la loro vicinanza a un alto numero d’insediamenti umani, oltre che per il caratteristico aspetto a strisce, molto esteticamente appagante, con colori variopinti e ben armonizzati: giallo, rosso e nero. C’è inoltre una questione, particolarmente famosa da quelle parti, per cui esistono due tipi di rettili del tutto similari, il Micrurus che costituisce effettivamente uno dei rettili più pericolosi dell’intero Nordamerica e il Lampropeltis o kingsnake, che non è invece un pericolo praticamente per nessuno, tranne i serpenti velenosi più piccoli ed i ratti di cui si nutre. E a chi mai potrebbe importare di loro? Questione da cui deriva il famoso detto: “Red on black, friend of Jack; red on yellow, kills a fellow” (Rosso sul nero, amico di Jack, rosso sul giallo, uccide una persona). E qualcosa di simile, in effetti, succede anche nel Sud-est asiatico, dove il temutissimo Calliophis può essere scambiato molto facilmente per l’innocuo serpente testarossa delle canne (Calamaria schlegeli) con cui condivide l’habitat e l’aspetto in tutto tranne che le dimensioni: quest’ultimo, infatti, raramente supera i 50 cm di lunghezza. Esistono, del resto, anche altri serpenti velenosi che hanno il suo stesso aspetto generale, ma non possono beneficiarsi della stessa incredibile citotossina, di cui l’evoluzione ha dotato il blu corallo con uno scopo e un’applicazione assai specifica: dare la caccia ad uno dei serpenti più emblematici del mondo, il cobra reale.
Potrebbe in effetti lasciare basiti che questo sottile e velocissimo spaghetto, il cui diametro ricorda quello di una biscia nonostante la lunghezza, possa attaccare un Ophiophagus hannah da 5 metri e mezzo. La quale cosa, in effetti, avviene raramente, visto come siano prede molto preferibili gli esemplari non ancora adulti. Eppure, egli potrebbe facilmente vincere il confronto, con un po’ di fortuna: sopratutto in funzione dell’eccezionale rapidità con agisce il suo veleno, che fin dal primo morso può rendere del tutto immobile il possente avversario. E questo per l’effetto di una tossina che, come dicevamo, è del tutto unica tra i rettili, pur comparendo talvolta tra le dotazioni predatorie degli scorpioni o alcuni molluschi oceanici, tra cui la conchiglia a cono dell’Indopacifico (gen. Conus). Ovvero tutte creature che devono catturare, non potendo contare dal canto loro su un’estrema mobilità, esseri sfuggenti quali i pesci o altri artropodi volanti, e che quindi beneficiano dalla capacità di pareggiare i conti e renderli alla loro portata.
Tutti i veri serpenti corallo, ad ogni modo, costituiscono SEMPRE un notevole pericolo per l’uomo. Questo proprio perché, paradossalmente, le notizie relative a un morso restano piuttosto rare, e dunque risulta estremamente difficile trovare il siero. Lo stesso laborioso, e potenzialmente pericoloso processo d’estrazione da effettuarsi su esemplari rigorosamente vivi viene subordinato alla raccolta del prodotto di serpenti più frequentemente considerati un rischio più costante, quali il crotalo o il mocassino acquatico. Il che non è, possiamo facilmente affermarlo, di alcun aiuto ai pochi eletti ed altrettanto sfortunati. Nel caso del serpente blu corallo, poi, la situazione è ancora più drastica: semplicemente, nessuno si è mai preoccupato di preparare una singola dose di siero. E ciò nonostante, a quanto si narra online, si siano verificati almeno due casi di morsi letali. E ciò senza considerare tutti quelli di cui non abbiamo notizia! E dire che l’estrazione del veleno, nel caso in particolare, non risulta certamente gravosa: perché un’altra caratteristica del Calliophis, sono le ghiandole semplicemente enormi, che raggiungono addirittura la metà del suo corpo, arrivando a contenere un’enorme quantità di citotossine. La ricerca scientifica su questo rettile, tuttavia, si sta muovendo in una direzione differente. Stando a questo articolo del Washington Post infatti, sembra che presso l’università australiana del Queensland un team di scienziati abbia scoperto delle impreviste capacità antidolorifiche della sostanza, e stia lavorando sull’elaborazione di un composto chimico basato su di essa, che potrebbe contrastare o eliminare del tutto la sofferenza degli umani senza ricorrere ad alcun narcotico. Benché assai probabilmente, l’elaborazione della giusta dose resti niente meno che essenziale.
Stiamo parlando quindi, non soltanto di uno dei serpenti più belli in assoluto, ma anche di uno dei più potenzialmente utili, a dirimere l’annosa e spiacevole questione. Superata l’antica concezione di questi animali come emissari del Demonio stesso, dovremmo oggi guardare ad un futuro di reciproca convivenza con la natura, beneficiando delle doti straordinarie di cui sono dotate alcune delle creature che potremmo calpestare in una notte, nella giungla malese, sotto la luna piena dell’ultima alba. Che forse non arriverà mai. Però, magari…