Molto spesso, nella storia del pianeta, la vittoria in una guerra non è stata conseguita tanto grazie alle migliori scelte strategiche, alla superiorità degli ufficiali o del morale dell’esercito, all’impiego di particolari stratagemmi politici o soluzioni di compromesso. Quanto piuttosto, grazie allo sfruttamento del sistema d’armi più terrificante e potente in assoluto, il Dio Denaro. E fino a tal punto, il sistema dell’economia fondata sul concetto alla base del capitalismo è intessuto nello stesso funzionamento di un’entità nazionale moderna, che non esiste ormai praticamente nulla, a non esserne in qualche maniera condizionato: le risorse necessarie, i treni di rifornimenti, persino la stessa forza lavoro nelle fabbriche in patria, la cui motivazione può essere incrementata (o rinnovata) tramite un sapiente aumento degli stipendi. Nel profilarsi di una situazione d’ingaggio, ci si aspetta quindi che un comandante responsabile realizzi uno studio di fattibilità operativo, in cui vengano messi sulla bilancia i rischi di un’eventuale esito soltanto parzialmente positivo. Perdite in termini di vite umane, vantaggi tattici e poi alla fine, quasi per un ripensamento, la cifra spropositata in dollari, relativa al danno finanziario che una campagna fallimentare potrebbe arrecare alla nazione. Se si sceglierà quindi di proseguire, e se le cose dovessero davvero andare per il verso sbagliato, il referente militare tra i ministri di governo avrà l’arduo compito di presentare questa problematica al capo di stato, che agirà di conseguenza.
Una volta sparato il primo colpo, tuttavia, nessuno si aspetta che i “ragazzi al fronte” agiscano in economia. Che senso avrebbe risparmiare sulle munizioni? È impossibile che esista a questo mondo, un implemento bellico il cui costo di utilizzo superi il valore anche di una singola vita umana, faticosamente reclutata ed addestrata alla presente, ed alle innumerevoli future missioni. O meglio, era impossibile fino all’altro ieri. I governi cambiano, i generali voltano lo sguardo, mentre i progetti originariamente ragionevoli crescono, mutano e diventano dei mostri. Draghi scagliosi tra le onde dell’oceano, serpenti marini assetati di vittoria e sangue verde dollaro e pecunia. Guardate, per studio, l’attuale condizione della USS Zumwalt, la prima di una nuova classe di cacciatorpediniere statunitensi da quasi 15.000 tonnellate, create per costituire la prima delle navi da combattimento più potenti mai create. E che ora sta incontrando un enorme ostacolo evidenziato poco dopo la sua entrata in servizio, avvenuta lo scorso 15 ottobre al completamento di una lunga serie di test: l’eccessivo costo delle munizioni per i suoi due cannoni principali. Mentre appare problematico, dal punto di vista operativo, pensare di sostituirli, visto come essi costituiscano l’elemento principale, ed una delle stesse ragioni d’esistenza, del suo intero scafo a prova di radar. Il problema ha iniziato a palesarsi nel remoto 2005, quando diventò evidente che il governo, che aveva approvato un appalto per la sostituzione di 32 delle sue 62 navi lanciamissili Arleigh Burke col nuovo avveniristico modello, allora definito DDG-1000, aveva deciso per una riduzione del budget in corso d’opera, riducendo l’ordine a sole tre navi. Il che, data l’esistenza dell’economia di scala, aveva fatto crescere il costo unitario fino alla cifra impressionante di tre miliardi e mezzo ciascuna, benché da considerare in progressiva diminuzione per ciascun singolo pezzo ultimato. Una spesa, ad ogni modo, potenzialmente giustificabile, in vista della necessità di mettere alla prova la nuova tecnologia, e di poter disporre di strumenti produttivi per approntarne quantità superiori, qualora se ne palesasse effettivamente la necessità. Molto meno ragionevole, tuttavia, era diventato schierare lo strumento del Long Range Land Attack Projectile (LRLAP) il proiettile che avrebbe consentito alla nave d’ingaggiare il nemico da potenziali 100 Km di distanza, senza ricorrere ad approcci straordinariamente costosi e soggetti ad intercettazione, quali i missili guidati Tomahawk. Ma c’è una certa differenza, tra lo spendere un singolo milione e mezzo di dollari, con la ragionevole sicurezza di colpire un obiettivo strategico di alta importanza, ed effettuare l’attacco simultaneo di bersagli multipli in mare, sparando colpi dal costo unitario di 800.000 dollari ciascuno. Volete sapere la cadenza di fuoco di questi cannoni? 10 spari al minuto. Con un caricatore di 300 e più colpi, stiamo parlando dell’intero erario di una piccola nazione.
La Zumwalt, concepita per assolvere in futuro a un nuovo tipo di missione, ha comunque più di questa singola freccia al suo arco. Il punto di forza più caratteristico di questa nave, così stranamente ed emblematicamente simile alle prime corazzate della guerra di secessione, è la sua capacità di passare inosservata ai radar del nemico, offrendo l’illusione di non essere più grande di un comune peschereccio, per poi manovrare agilmente in posizione per sorprenderlo con la sua gittata superiore. L’impiego convenzionale all’interno di un gruppo di fuoco o con mansioni di scorta, dunque, non sarebbe esattamente l’ideale, e si ritiene che le tre navi effettivamente ordinate dal governo statunitense serviranno ad assolvere a funzioni di pattugliamento stealth, assistite unicamente da sottomarini. Un dispiegamento tattico nel quale, assai probabilmente, la nave dovrà rallentare in modo significativo i suoi motori, vista l’impressionante velocità massima di 30 nodi (56 Km/h) paragonabile a quella delle gigantesche portaerei a propulsione nucleare, ottenuta grazie al potente impianto elettrico integrato, in grado di sviluppare il potenziale sufficiente ad alimentare i motori a magnete permanente più grandi e potenti della storia. Le sue batterie di bordo, nel frattempo, sono in grado di immagazzinare 58 MW di potenza, pari al fabbisogno giornaliero di una piccola città. Un altro aspetto particolarmente avanzato del vascello è il suo sistema informatico di automatizzazione e gestione dei dati attraverso una serie di server collocati in compartimenti protetti, in grado di ridurre l’equipaggio a bordo in modo esponenziale. La nave infatti, nonostante la sua stazza, può essere inviata in missione con soltanto 150 uomini a bordo, meno della metà delle precedenti cacciatorpedienere Burke. Sotto una copertura a prova di onde elettromagnetiche, è stato inoltre previsto un hangar, con fino a due elicotteri Seahawk con funzioni anti-sommergibili e un intera squadra di volo di droni radiocomandati, la cui natura e tipologia non è stata interamente discussa con il pubblico. Qualora in un futuro scenario di guerra, si rendesse effettivamente necessario avvicinarsi al nemico, o alla costa per supportare uno sbarco di terra (altra funzione prevista originariamente per la Zumwalt) la nave sarebbe tutt’altro che indifesa, vista la presenza nella sezione centrale dello scafo di un vasto sistema di tubi di lancio PVLS (Peripheral Vertical Launch System) in grado di ospitare una vasta selezione di missili balistici e sistemi d’intercettazione. Un sub-comitato del congresso, tuttavia, ha espresso nel 2008 dei dubbi sulla capacità della Zumwalt di resistere a un attacco missilistico sostenuto, probabilmente in funzione dell’assenza degli ingombranti sistemi di mitragliatrici iper-veloci Phalanx CIWS (Close-In Weapon System) che avrebbero notevolmente compromesso il profilo anti-radar della nave.
Ma il problema principale, naturalmente, resta quello dei cannoni. Come potranno mai la Zumwalt e le sue consorelle raggiungere il loro pieno potenziale, senza la capacità di assolvere efficientemente alla funzione di cecchini navali per cui erano state originariamente concepite? La risposta è che le entità preposte a determinare il budget del progetto hanno già elaborato una possibile soluzione, che potrebbe, ipoteticamente, trovare l’applicazione nella terza nave della classe, la USS Lyndon B. Johnson il cui varo è previsto nel 2021. E stiamo parlando, nei fatti, di un qualcosa di uscito direttamente dai film di fantascienza degli anni 2000, o le partite a Unreal Tournament giocate dai futuri marinai: il cannone elettromagnetico a rotaia, comunemente definito railgun. Un sistema d’arma che prevede l’impiego di un’enorme potenziale elettrico, pienamente a portata dell’impianto sovradimensionato delle navi Zumwalt, per spingere un proiettile metallico all’interno di una spira magnetizzata, facendolo accelerare fino al Mach 5 (1500 metri al secondo, ovvero 200 miglia nautiche in 6 minuti). In una configurazione simile, ed a tali velocità, il proiettile in questione non avrebbe necessità di essere altro che un ammasso di metallo per poter causare danni sufficientemente significativi nella zona d’impatto, senza alcuna possibilità d’intercettazione e un’alta probabilità di andare a segno. L’assenza di testate esplosive all’interno della stiva della nave, inoltre, aumenterebbe notevolmente i suoi propositi di sopravvivenza in caso di un’accesa battaglia.
Fluidità e capacità di adattamento, come è noto, sono importanti risorse nel determinare l’esito tattico di una qualsivoglia scontro a fuoco. L’esito effettivo di una guerra, tuttavia, è deciso dalle considerazioni sul lungo e medio termine, inclusive di una scaltra amministrazione economica delle risorse a disposizione. È possibile che un’altra arma a lunga gittata raggiunga la pari efficienza del LRLAP in un tempo utile alla prossima necessità di farne uso? Probabilmente, no. Ma un cannone che esaurisce le munizioni troppo presto, senza possibilità di ricarica che si palesi all’orizzonte, non serve praticamente a nessuno. Il futuro…È domani. E poi, c’è anche un’altro aspetto da considerare! Sapete qual’è il nome del capitano della prima Zumwalt? James A. Kirk. Soltanto una T di differenza da quello della nave stellare Enterprise. A questo punto, mi rimetterei per i prossimi sviluppi di sistemi d’arma a una convention di Star Trek.
1 commento su “La nave del futuro è già rimasta senza munizioni”