Sette giorni. Soltanto una settimana esatta di vita. Da trascorrere in uno dei luoghi più inospitali del pianeta, fuoriuscendo dal proprio uovo già del tutto adulti ovvero con il complicato sistema di reazioni e gesti istintivi necessario a far parte di quel meccanismo biologico dannatamente imperituro, il formicaio. Come li trascorrereste, se toccasse a voi? La prima notte sareste spaventati, eccitati? La seconda sconvolti dalla fatica, per il duro sforzo diurno che vi è stato affidato dall’implacabile Natura? Ed il terzo, occhiali protettivi bene assicurati al volto e indossata la tuta protettiva contro i raggi solari, vi lancereste forse con foga disumana tra le fiamme del mezzogiorno, alla ricerca di prezioso cibo per la vostra patria in questa gloriosa quanto breve reincarnazione? È cosa risaputa che la stella che arde più intensamente, dura un tempo altrettanto breve. Quello che forse non avevamo preso in considerazione, è che il suo intero Universo, arde con lei.
Qualche ora dopo il sorgere dell’astro diurno, nel principale deserto nordafricano non sussiste null’altro che il silenzio. Con temperature che possono raggiungere occasionalmente i 70 gradi, qualsiasi traccia di vita animale si è ritirata nel sottosuolo, all’interno delle buche autoprodotte in assenza di rocce, alberi o qualsivoglia altra forma di riparo pre-esistente. Per tutti coloro che non ci sono riusciti quel giorno, perché troppo vecchi, lenti o denutriti, l’unica scelta è accasciarsi a terra e morire. E questo costituisce un’enorme fortuna. Per loro: gli abitanti del profondo, ovvero l’esercito degli spazzini di “metallo”. La voce personificata degli artropodi che non periscono, ma attraverso le brevissime generazioni riescono a adattarsi, crescono come organismi e si trasformano in supereroi. SCHWINNG, loro: le formiche d’argento del Sahara, o Cataglyphis bombycina, che hanno un solo predatore, una lucertola davvero persistente chiamata Uma. La quale è solita scavarsi la tana proprio in prossimità delle loro colonie, al fine di mettersi in agguato e catturare qualche piccolo individuo distratto. Per quanto ciò non gli riesca particolarmente spesso. Ciò perché, attraverso i secoli e millenni, gli insetti hanno scoperto che al di sopra dei 45 o giù di lì l’aguzzina non può far altro che correre ai ripari. Ed è proprio allora, non a caso, che esse diventano più attive.
Allo scoccare di un segnale impercettibile, la città dei cunicoli si risveglia nella sua interezza. Come per l’esplosione di una bomba a frammentazione, centinaia di schegge metallizzate fuoriescono dalla botola principale, dipanandosi con moto radiale in ogni direzione. La velocità media: 0,70 metri al secondo. A un ipotetico osservatore umano, sembrerebbero altrettante gocce di mercurio, spinte innanzi sopra la graticola da una perversa revisione dell’effetto Leidenfrost. Ma se per un magico momento, soltanto un singolo istante, a costui fosse possibile fermare il tempo (Za Warudo!) e chinarsi per comprendere la verità, si noterebbero da subito importanti differenze con le nostre antennute infestatrici dei familiari granai e magazzini. In primo luogo, le zampe molto più lunghe, finalizzate a separare l’insetto per quanto possibile dal suolo incandescente. E poi, proprio l’uso che quest’ultimo riesce a farne, camminando unicamente con le quattro zampe posteriori, mentre il paio antistante viene puntato verso l’alto, a misurare e contenere il cielo. C’è più di una ragione in questo, ma non precorriamo i tempi.
Perché è invece l’ultimo dei tratti distintivi evidenti in questi esseri a contribuire maggiormente al loro fascino innato. Sto nei fatti parlando della sottilissima peluria argentata che li ricopre integralmente, permettendogli di riflettere lo spettro della luce visibile mentre mantengono una zona relativamente fresca e sicura, nell’intercapedine tra l’esoscheletro e il terribile calore. Se pure la formica avesse solamente questa risorsa d’isolamento termico per sopravvivere al suo ambiente di provenienza, ella farebbe comunque un lavoro molto migliore di noi. Ma in effetti…
La formica d’argento, oltre ad essere un atleta provetto e un corridore comprovato, ha dalla sua anche lo strumento della chimica biologica. Come un nuotatore che si prepari all’apnea iper-ventilando, essa può produrre a comando una particolare proteina, in grado di garantire il funzionamento dell’organismo anche alle temperature eccezionali del suo deserto. Ciò è assolutamente fondamentale per la riuscita della sua missione, poiché altrimenti il soggiorno effettivo nella zona di pericolo, non più lungo di una decina di minuti, risulterebbe troppo breve per poter contare sull’attivazione delle ghiandole rilevanti. Una volta scaturito dalla buca, quindi, ciascun insetto ha letteralmente i minuti contati, mentre tenta di affrettarsi nel trovare un cadavere di succulenta mosca o similari, da trascinare faticosamente fino al nido. Nel corso dell’operazione, ogni qual volta gli riesce, esso tenterà di distaccarsi dal calore incandescente del terreno, salendo sopra qualsiasi sassolino, scarno arbusto o rimasuglio sulla sabbia del deserto, riprendendo letteralmente fiato. I ricercatori interessati a questi esseri davvero fuori dal comune, così, hanno scoperto a loro spesse che anche le gambe umane risultano altrettanto attraenti a tal fine, finendo per essere scalate al primo presentarsi di una valida occasione. Un piccolo sacrificio della privacy, al confronto di una comprensione di come esattamente questi esseri riescano a operare.
Perché la formica d’argento, è stato ad un certo punto scoperto (grazie a uno specifico dispositivo coprente il cielo) non si muove affatto come gli altri appartenenti alla sua genìa, alla ricerca disordinata e random di un prezioso boccone di cibo. Essa, al contrario, cammina per quanto possibile in linea retta, sia all’andata che al ritorno, effettuando delle occasionali piroette sul posto. Ciò è motivato, in realtà, da una ragione molto speciale: il suo sistema di navigazione. Del tutto simile a quello degli antichi naviganti. La C. bombycina, che come dicevamo tiene sempre il capo rivolto verso l’alto, è in grado di comprendere istintivamente lo schema della luce polarizzata nel cielo del deserto. Perché a temperature tanto elevate, questa non si limita a creare strane illusioni ottiche all’altezza dell’orizzonte, ma scorre come un complesso di fiumi elettromagnetici da un lato all’altro della volta celeste. Tanto che la rapida spazzina, prendendone le misure e comparandone l’aspetto in qualche maniera largamente misteriosa, riesce sempre a comprendere per quanto ha camminato ed in che direzione. E tutto questo, grazie alla conoscenza iscritta nel suo codice genetico millenario, senza nessun periodo di studio nei suoi fatidici sette giorni. Niente male, nevvero?
La formica d’argento non è l’insetto di terra più veloce del pianeta, primato che spetta invece allo scarabeo tenebrionide del deserto del Namib Onymacris plana, vera e propria Lamborghini a sei zampe, compatta e cupa come il manto di un gatto nero. La remota cognata più piccola resta, tuttavia, molto più organizzata e furba, soprattutto nella sua capacità di cooperare con i simili per costruire qualche cosa di più grande e duraturo.
E inoltre, grazie alle sue doti di termoregolazione superiori, può letteralmente andare lì, dove nessun altro insetto si era spinto prima. Per lo meno… Tornando indietro vivo. Sai che splendida consolazione? La consapevolezza che persino la propria morte in un luogo tanto remoto, con gli atria respiratori ustionati e la trachea riarsa dalla secchezza estrema, possa servire a nutrire e rafforzare la vita piccola e indifesa… Mentre una lucertola rabbiosa si nasconde nei paraggi, in agguato! Dannato coccodrillo, sarai pure grosso e forte. Ma non avrai MAI l’aria condizionata.