Per quanto si è parlato, soprattutto negli Stati Uniti, della giustezza di limitare o meno la diffusione delle pistole o fucili tra i civili nell’ottica di limitare i crimini potenzialmente letali, nessuno ha mai realmente preso in considerazione un altro aspetto del problema dell’umana iniquità, in grado di applicarsi ad ogni latitudine o nazionalità: il fatto che siamo tutti, dal più giovane a suo nonno, potenzialmente armati di uno degli strumenti più pericolosi del mondo moderno. E quell’arma è l’automobile, un ammasso di metallo da oltre una tonnellata, in grado di accelerare a una velocità sufficiente da sfondare un muro, penetrare dentro un edificio e fuoriuscire dall’altra parte, lasciando dietro di se una scia di morte, sofferenza e distruzione. Il nostro intero mondo moderno, con la sua ottica del lavoro, le pretese verso l’individuo, le scadenze sull’agenda e gli altri impegni quotidiani, è concepito affinché possedere un motore e quattro ruote semplifichi la vita, nonostante i costi, ed acquistarlo diventi passaggio pressoché obbligato del diventare adulti e indipendenti, salvo rare, fortunatissime eccezioni. Ma c’è anche questo, da considerare: nel momento in cui tutto sembra andare male, dopo aver commesso un crimine imperdonabile o un gesto di supremo egoismo, l’individuo che si mette al volante può perdere ogni freno inibitorio. E trasformarsi nell’equivalente 100 volte più pericoloso di un bufalo preso dal panico, dominato unicamente dall’istinto di fuggire. Mentre la polizia, nel tentativo di evitare l’irreparabile, non può far altro che inseguirlo per fermarlo in qualche modo. QUALUNQUE modo.
Ed è a questo punto che entra in gioco l’invenzione di Leonard Stock, l’uomo dell’Arizona che dopo aver osservato in Tv l’ennesimo disastroso inseguimento in prima serata terminato, nonostante l’ampio dispiegamento di forze, con l’impatto deleterio contro il lato guidatore di un’innocente veicolo di passaggio ad un incrocio, andò a letto profondamente turbato, e continuò ad esaminare la questione da ogni lato per tutta la notte. “Se neppure volanti dal motore potenziato, elicotteri e strisce chiodate possono evitare un tale risultato, davvero l’unica scelta è accontentarci ed accettare il dramma? Non esiste un metodo migliore?” Quindi prese a meditare, in uno stato di concentrazione profonda totalmente indistinguibile dal sonno. E la mattina, al suo risveglio, l’idea del suo Grappler era lì: non più bloccare l’automobile in fuga, ma intrappolarla totalmente. Come fa il ragno gladiatore con la mosca succulenta, nel momento in cui estende le due zampe anteriori dalla posizione sopraelevata e gli distende sopra l’inesorabile trappola appiccicosa. Il tutto rivisto ed adattato per l’uso ad alta velocità, nel contesto di una ruvida strada asfaltata o addirittura, lo sterrato. Il video promozionale, mandato in onda sulla Fox ed incluso in apertura, potrebbe bastare a convincere qualsiasi esigente capo dipartimento della polizia. Il SUV Chevy Tahoe di Stock si avvicina di soppiatto all’auto “sospetta” quindi con l’attivazione dell’apposito comando, estende l’inconsueto meccanismo montato sul suo parafango anteriore, formato da due aste estensibili del tutto simili agli arti dell’aracnide. Tra di essi, all’improvviso, si palesa un incrocio di resistenti corde elasticizzate in nylon, che lentamente si avvicinano al bersaglio, con l’aumento di velocità da parte dell’inseguitore. Quando raggiunta finalmente la ruota posteriore sinistra, l’intero apparato viene risucchiato in avanti dalla sua rotazione e la blocca con violenza, causandone il totale sgonfiamento. Ma non è finita. Qualora il malvivente dovesse decidere di continuare la sua corsa, egli scoprirà di essere saldamente assicurato al suo catturatore, da una lunga ed elasticizzata fune, ancorata alla pesantissima Tahoe. Ed a quel punto, non potrà far altro che spegnere il motore, e lasciar progredire ulteriormente la sua condizione disperata, in un modo o nell’altro…
“Troppo bello per essere vero” ha risposto in coro il pubblico del Web, come suo solito, iniziando ad elencare i presunti errori di progettazione dell’arma, che per inciso può vantare ad oggi ben otto anni di ricerca e sviluppo, prima di essere stata presentata per la prima volta al pubblico la scorsa estate. Innanzi tutto, nella scena dimostrativa viene presentata una situazione per così dire ideale, di una strada dritta e livellata, con un bersaglio che procede in linea retta e non prova in alcun modo ad evitare di essere preso in trappola. Il che, d’altra parte, potrebbe corrispondere a un primo momento dell’impiego del Grappler sul quale quest’ultimo fosse disinformato, cogliendo totalmente di sorpresa il fuggitivo che mai si sarebbe aspettato un attacco tanto inusuale. Mentre se l’apparato dovesse diventare uno standard ampiamente diffuso, è altamente probabile che le cose inizierebbero a farsi più complicate. E che dire della manutenzione? Le funi in nylon di alta gradazione, come quelle usate per l’alpinismo e il bungee jumping, hanno una data di scadenza piuttosto breve, oltre la quale perdono elasticità e resistenza. Il consenso di alcuni utenti stimerebbe il tempo massimo di sostituzione del componente primario a non più di un anno, incrementando certamente i costi di utilizzo. C’è poi un’altra preoccupazione, relativa all’effetto su una determinata classe di veicoli: i moderni SUV, come il Tahoe stesso, sempre più spesso dotati del differenziale. Un sistema di gestione dell’assale posteriore che prevede, nel caso di blocco di una delle due ruote, l’immediato azionamento del freno in opposizione, congelando di fatto l’intero retrotreno dell’autoveicolo. Situazione che, qualcuno ipotizza, non potrebbe che portare all’immediata perdita di controllo, con conseguenze fin troppo facilmente immaginabili. Tanto che, in merito a quest’ultima preoccupazione, Stock ha realizzato un ulteriore video dimostrativo (riportato qui sopra) in cui ci mostra esattamente l’opposto: in condizioni ideali, l’auto dotata di quel particolare sistema non fa altro che bloccarsi ancora più velocemente, con modalità sostanzialmente indistinguibili da un’immediato guasto del motore.
Eppure, l’intera sequenza continua a sembrare l’estratto di un film di James Bond, non propriamente adattabile alle problematiche del mondo reale. Che succede, ad esempio, se l’auto in fuga frena improvvisamente, lasciandosi tamponare e rompendo del tutto il meccanismo? Per comprendere a pieno il genio di questa invenzione, dunque, occorre mettere l’intera situazione in prospettiva. Il che significa, sostanzialmente, esaminare la (pessima) alternativa.
Oggigiorno, le procedure della polizia degli Stati Uniti tendono a scoraggiare del tutto gli inseguimenti, per quanto possibile. Si preferisce in genere identificare il veicolo, per continuare l’indagine con altri metodi, meno pericolosi. Esistono tuttavia dei casi, inevitabili, in cui si giudica che il fuggitivo costituisca un rischio immediato per la popolazione. In quel caso, l’unica scelta è intervenire. Con un metodo, messo famosamente in pratica per la prima volta dalla polizia di Fairfax e che prende il nome di manovra P.I.T. (Precision Immobilization Technique, o Push It Tough, spingila forte) mutuato dalle prime corse irregolari della formula Nascar, oggi rigorosamente e giustamente vietato in pista. Il quale consiste nell’affiancare la parte posteriore del veicolo inseguito e sterzare bruscamente, causando la perdita di aderenza dei suoi pneumatici posteriori. Se tutto è stato effettuato correttamente, a quel punto l’auto finirà in testacoda, permettendo ad altre volanti d’intervenire e tentare di bloccarla definitivamente. Vi lascio immaginare le possibili conseguenze: per quanto ben eseguita, una simile manovra non è dissimile da un incidente, e resta sempre possibile che vada per il verso sbagliato, coinvolgendo passanti o altri autisti del tutto inconsapevoli della situazione giudicata disperata. Esistono, poi, gli errori. Un articolo della rivista USA Today riporta la stima di 5.000 vittime collaterali negli inseguimenti della polizia nei soli Stati Uniti a partire dal 1979, e questo senza neanche prendere in considerazione la cifra di “diverse decine di migliaia” di feriti. Tanto che in Inghilterra è stato messo a punto un approccio alternativo, il T.P.A.C. (Tactical Pursuit And Containment) che consiste nel sorpassare il veicolo e bloccarlo con una letterale “scatola” di mezzi d’inseguimento, con un pericolo in teoria molto minore. Il che ci riporta al problema di apertura: quale poliziotto oserebbe mai mettersi davanti al fuggitivo, in un paese d’oltreoceano in cui le armi da fuoco sono diffuse quasi quanto i cellulari? Il sistema della ragnatela di questo inventore americano, quindi, assume un significato molto interessante. Perché esso include il meglio di entrambi i mondi: permette di fermare il criminale senza esporsi eccessivamente, né mandarlo fuori controllo nel mezzo di un incrocio potenzialmente trafficato. Inoltre, nel momento della verità, l’estensione della corda in nylon permetterà di mantenere distanza tra i veicoli, dando il tempo ai poliziotti di reagire ad una potenziale controffensiva armata.
Al momento, il sistema Grappler non è ancora in produzione, e Mr. Stock sta attualmente lavorando con svariati dipartimenti di polizia americani per determinare la portata del primo ciclo produttivo, e di conseguenza, il prezzo unitario dell’apparato. Il suo futuro finanziario, ad ogni modo, appare illuminato dalla luce del successo commerciale.