Il disco sacro con l’immagine del cielo primitivo

nebra-disk
“Forse il singolo ritrovamento archeologico più importante dello scorso secolo” 3.600 anni a questa parte, qualcosa di unico venne sepolto sotto il suolo di Nebra, nella Sassonia-Anhalt della Germania. Da qualche tempo l’UNESCO, in aggiunta al suo celebre catalogo dei beni da considerare patrimoni naturali, storici e intangibili dell’umanità, ha iniziato a compilare una nuova lista, intitolata Memory of the World. Al suo interno, furono gradualmente collocati i principali documenti dotati di forma fisica che rischiavano di scomparire dalla nostra memoria, incluse cronache, registri, bolle di stato, manoscritti di corrispondenza… Per sua stessa imprescindibile natura, un simile repertorio si componeva in origine, salvo alcune meritevoli eccezioni, di pezzi risalenti agli ultimi due secoli o poco più. Difficilmente la carta riesce a preservarsi oltre le generazioni e dunque non è facile, costituendo un tale database, riuscire a renderlo retroattivo. Proprio per questo, è una fortuna che non abbia trovato un utilizzo realmente universale almeno fino al secolo della scienza, e che gli antichi, molto spesso, affidassero le loro conoscenze a materiali maggiormente duraturi. Come il bronzo.
Fu un evento largamente inaspettato, e sotto più di un punto di vista, alquanto deleterio. Era il 1999 quando Henry Westphal e Mario Renner, una coppia di cacciatori di tesori abusivi o tomb raiders che dir si voglia, si apprestavano di nuovo a ritornare a casa senza niente di nuovo da inserire nel datario dei loro ritrovamenti. Quando all’improvviso, uno dei loro metal detector lanciò un suono, abbastanza lungo da giustificare un approfondimento. Pale subito alla mano, scavando freneticamente nel crepuscolo (tutti i manufatti archeologici di questa regione sono legalmente proprietà dello stato) iniziarono a spostare il suolo friabile allo scopo di raggiungere l’oggetto, o gli oggetti, che speravano di aver trovato. Finché finalmente, un sonoro CLANG! Annunciò che l’opera si era conclusa. E le due mani lievemente tremule, introdotte nel pertugio ombroso, non ritornarono alla luce con il più bizzarro che fosse possibile immaginare: un oggetto di forma circolare lievemente frastagliato, con la caratteristica colorazione verde-acqua del bronzo ossidato. Sulla cui superficie, i precedenti proprietari avevano incastonato alcuni simboli d’oro, raffiguranti il disco solare, una luna crescente e una serie di tondini disposti a caso, che parevano alludere a una qualche costellazione, probabilmente quella delle Pleiadi. Westphal e Renner lo misero da parte, quindi continuarono a scavare. Molto più interessante nell’immediato, per loro, si dimostrò essere il resto del contenuto della tomba, inclusivo di due spade, due asce, un cesello e alcuni frammenti di bracciali spiraleggianti nello stile dei proto-celti. Tutto venne subito introdotto nel loro sacco da escursione, incluso lo strano oggetto, che nell’opinione non propriamente informata di uno di loro, fu a quanto pare definito “Il coperchio di un secchio” (in metalli preziosi?) Il giorno immediatamente successivo, incontrandosi con un loro contatto a Colonia, i due vendettero l’intero tesoro per la cifra non trascurabile di 31.000 marchi. La quale non era nulla, in confronto a quanto lievitò il prezzo nel corso dei due anni successivi, durante i quali il disco cambiò proprietario più volte, raggiungendo almeno in un caso la cifra di vendita di un milione di marchi. Finché nel febbraio del 2002, l’archeologo di stato Harald Meller non riuscì ad acquisirne il giusto possesso, grazie a una retata della polizia presso la città Svizzera di Basel, dove il disco stava per essere venduto di nuovo a 700.000 marchi. Una breve indagine permise di risalire ai due accidentali scopritori, che furono subito arrestati.
I quali, nel tentativo di ridurre la propria pena, furono pronti a collaborare raccontando della tomba di Nebra che avevano scoperto quel giorno, e l’origine della catena di commercio che li aveva condotti fino a un simile malcapitato momento. Un pezzetto d’oro originariamente fatto separare dal colpo accidentale della pala fu ritrovato presso il sito archeologico, confermando la loro storia. Con tutti i dati in suo possesso, quindi, il Dr. Meller pubblicò un elenco di mirato a convincere il mondo accademico dell’autenticità del disco, inclusivo delle sue possibili funzioni e di quanto fosse significativo per cambiare la nostra concezione della vita nell’Europa primordiale.

il-cielo-di-bronzo
Su YouTube è possibile reperire una breve conferenza sul disco di Nebra e il solstizio dei Celti tenuta nel 2014 dall’associazione storica Flamulasca di Chiusa di Pesio (CN). L’audio non sarà perfetto, ma il contenuto resta molto interessante.

Gli studi sulla datazione al radiocarbonio, effettuati per associazione su un pezzo di corteccia ritrovato su una delle due spade della tomba, collocano l’intero repertorio all’ultimo periodo della cultura di Unetice (2300–1600 a.C.) avente l’origine nei territori dell’odierna Bohemia. Il disco è grosso modo coévo all’epoca in cui le civiltà di una buona parte del mondo iniziavano a lasciare testimonianze durature delle loro osservazioni celesti, inclusi gli osservatori ed i complessi di strutture nello stile dell’inglese Stonehenge. Ma è importante notare, in merito a questo, come non tutti gli agglomerati di quell’epoca potessero costruire l’equivalente di una tale cattedrale del neolitico, devolvendo le risorse e l’impegno di un’intera parte della comunità, potenzialmente per periodi molto lunghi della loro storia. Il disco di Nebra costituiva, dunque, la versione più pratica e persino portatile di un simile meccanismo, mirato a comprendere il movimento degli astri sopra i campi coltivati. In altri termini, esso costituiva probabilmente un rudimentale calendario, con la funzione di identificare per alcuni dei primi agricoltori i giorni adatti a piantare i loro preziosi semi. L’oggetto, nel corso dei circa due secoli in cui fu probabilmente utilizzato prima di essere sepolto, venne modificato più volte, come è stato possibile comprendere dalla composizione lievemente differente dei metalli utilizzati. In origine, esso raffigurava soltanto le stelle fisse, il tondo d’oro (probabilmente raffigurante il Sole, ma secondo alcuni, la Luna piena) ed uno stadio crescente dell’astro notturno principale, stranamente successivo a quello della Luna del tutto nuova. Quindi, in un momento successivo, vennero aggiunti due archi lungo il perimetro del disco, nell’opinione di Meller funzionali all’identificazione di specifiche, fondamentali date: gli equinozi a marzo e a settembre, il solstizio d’inverno a dicembre e quello d’estate a giugno. E questo nel seguente modo: l’utilizzatore, druido, saggio o sacerdote che fosse, si sarebbe posizionato sulla collina del Mittelberg, non così lontano dal luogo del ritrovamento. Quindi avrebbe disposto il disco in orizzontale, ed avrebbe allineato entrambi gli archi con il principale elemento del paesaggio visibile da quella posizione, nient’altro che il monte Brocken, il singolo massiccio più alto della Germania. A quel punto, osservando le corrispondenze sul disco di dove il Sole sembrava sorgere e tramontare, egli avrebbe saputo esattamente in che periodo dell’anno si trovava. Una conoscenza d’importanza niente meno che fondamentale, in una civiltà in cui non esistevano altri metodi per tenere conto del passaggio del tempo. In un momento ancora successivo e per ragioni largamente ignote, nella parte inferiore del disco venne posizionato un altro arco d’oro, non più parallelo al perimetro, soprannominato dagli studiosi la barca del Sole. La sua funzione era probabilmente di natura religiosa, e simboleggiava un qualche tipo di rituale o divinità.

sonnenobservatorium-goseck
La soluzione dei giganteschi monoliti di Stonehenge era in realtà più unica che rara nell’antichità. Simili osservatori, generalmente, venivano costruiti con strutture deperibili, come il cerchio di cui è stata trovata traccia a Goseck, non così lontano dal luogo di ritrovamento del disco di Nebra.

Lanciato come un proiettile attraverso la distesa inesauribile dei millenni, l’oggetto ritrovato dai due tombaroli ha permesso di arrivare a comprendere ulteriormente la portata dell’ingegno primitivo, che non era in alcun modo inferiore a quello degli uomini moderni. Semplicemente, poteva contare su un bagaglio meno esteso di conoscenze pregresse. Giunto al caso del mondo contemporaneo, quindi, il disco è diventato subito l’oggetto di curiose disquisizioni. Quasi subito, i cultori delle conoscenze alternative vi hanno identificato l’ennesima prova di una visita o contatto con gli extraterrestri. I due stessi scopritori, Westphal e Renner, ritrattarono le loro dichiarazioni nel corso del processo, arrivando a giurare che l’oggetto fosse un falso. Ciò gli avrebbe permesso, infatti, di sfuggire alla condanna per sottrazione di un bene archeologico di tale immensa portata. Ma il proposito fallì, e i due vennero condannati rispettivamente a 6 e 12 mesi.
La particolare disposizione dell’immagine astrale sul disco, inoltre, presentò una problematica inaspettata: essa era infatti riconoscibile, ed istintivamente attraente come il logo di un’odierna compagnia. Molti commercianti della regione, una volta meditato sull’idea, iniziarono immediatamente a raffigurarla sui loro souvenir e magliette per turisti, nonostante il reperto fosse di proprietà esclusiva dell’Ente Regionale per la Conservazione dei Beni e l’Archeologia. Harald Meller, nella veste di legale rappresentante, fece causa più volte presso il tribunale di Magdeburgo all’azienda Piper, principale riproduttrice dell’immagine in serie, riuscendo a vincere in almeno un caso. Ma la questione resta tutt’ora aperta, ed ogni volta che si torna in tribunale ricorre la tesi dell’avvocato della difesa Jorg Nabert, il quale afferma: “Il disco era un oggetto di culto già nella Preistoria, dunque è allora che esso venne pubblicato. La legge sul diritto d’autore, in funzione di questo, determina che l’esclusiva degli autori è ormai scaduta da tempo.” Il che, diciamolo, non fa una piega. Creare il monopolio di fatto in merito a un’immagine tanto antica della nostra stessa volta celeste, senza dubbio, creerebbe un precedente quanto mento problematico. L’osservazione delle stelle è già abbastanza complessa così com’è.

Lascia un commento