Nelle parole di Vakhushti, principe del regno di Kartli e rinomato studioso viaggiatore, nel XVIII secolo Chiatura non era altro che: “Una roccia che si erge nel crepaccio come un pilastro, notevolmente alta. Sopra di essa c’è una chiesa, ma nessuno è più in grado di salirci, né saprebbe come farlo.” E quanto fosse effettivamente antica una simile struttura umana, sopra quella geologica praticamente senza tempo, nessuno saprebbe esattamente dirlo. Esiste però una teoria, secondo cui la lingua, e con essa l’identità nazionale dell’intera Georgia, andrebbero fatte risalire proprio a questo luogo, tra le antiche incisioni in Mrgvlovani (l’alfabeto “tondo”) realizzate su una lastra in pietra calcarea dai pochi, silenziosi monaci che vissero isolati quassù, almeno fino all’epoca delle invasioni Ottomane. Ma era un simbolo legato ad un’importante tradizione, questo monolito alto 40 metri svettante sopra il fiume di Katskhura, uno degli affluenti del vorticoso Q’virila, legato al concetto della vita ultraterrena e della Vera Croce. Così, col trascorrere degli anni, alla sua base sorse una piccola comunità religiosa, che avrebbe attratto, nel 1879, anche il poeta Akaki Tsereteli. Il quale durante un’escursione, per puro caso avrebbe scoperto sopra le montagne circostanti, preziosi depositi di manganese, un elemento usato in molti campi della metallurgia. E fu così, nel giro di appena 16 anni, in questo luogo fu fatta giungere la ferrovia, ed a poca distanza dal pilastro venne costruita in primo luogo una miniera, quindi, tutto attorno, la città.
Ai tempi della Rivoluzione Russa del 1905, Chiatura era un importante centro minerario con almeno 3.700 addetti all’estrazione, che ogni giorno dovevano arrampicarsi sulle ripide pendici del dirupo, per raggiungere le alte aperture che conducevano nel sottosuolo. In quello stesso anno, un giovane idealista in fuga dalle autorità si presentò ai monaci che qui avevano costituito la loro residenza, in un appassionato discorso di 15 minuti che riuscì a convincerli e portarli alla sua causa, al punto da guadagnarsi la nomina ipso facto di sergente maggiore, e la costante protezione di una squadra di milizia popolare soprannominata “guardia rossa”. Il nome di quell’uomo era Joseph Stalin, e questo luogo, per i pochi anni che mancavano alla caduta degli zar, sarebbe diventata la sua prima roccaforte. Per tutta l’epoca del suo dominio, quindi, egli si sarebbe ricordato della piccola città georgiana, dando disposizioni occasionali affinché essa ricevesse molte significative opere pubbliche, il meglio dell’urbanistica moderna, e soprattutto, un particolare servizio di trasporti pubblici, che potremmo definire senza alcun problema unico al mondo: 22 distinte funivie, in grado di risolvere il problema della quotidiana scalata da parte dei minatori. Il progetto non si sarebbe realizzato, ad ogni modo, se non dopo l’epoca della sua morte, quando verso la metà degli anni ’50 venne ultimata l’ultima stazione del servizio, e gli urbanisti del partito, soddisfatti dell’opera svolta, non avrebbero di nuovo fatto rotta verso la distante capitale moscovita.
Così la ruota gira, ed il tempo passa per tutte le cose. Oggi, delle originali cabine volanti ne restano operative esattamente 17. Scrostate nella verniciatura e consumate dalla ruggine, oscillanti nel vento, residuato affine a quello di molti altri luoghi di un’epoca di più significativo ottimismo, battuta dal Sole entusiastico dell’avvenire. La popolazione locale le ha soprannominate “bare di metallo” eppure, questione indubbiamente sorprendente, continua quasi quotidianamente ad usarle, per il semplice fatto che non c’è un modo migliore, allo stato attuale dei fatti, per raggiungere le pendici soprastanti ed andare finalmente a lavorare. Nei caratteristici edifici religiosi circostante, una fervente comunità rinnova costantemente le proprie preghiere. Viene da chiedersi se non sia proprio questa, l’unica ragione per cui è ancora non si verifica l’irreparabile tragedia.
Non a caso, ce ne sono diverse, tutto attorno all’imponente pilastro naturale di pietra calcarea: la più architettonicamente rilevante ed antico resta senz’altro la chiesa della Natività del Salvatore, costruito nel periodo che si estende tra il 988 ed il 1014. La struttura è a pianta ottagonale su tre livelli, con un inscrizione di dedica a “Tskhovreba, figlia di Ioann, Duca dei Duchi” e pregevoli bassorilievi, andati purtroppo in parte rovinati durante un restauro del 1854. Secondo la leggenda, c’è stata un’epoca in cui dal tetto dell’edificio partiva un’impossibile catena lunga 1 Km e mezzo, con l’altro capo saldamente assicurato alla chiesetta sulla cima del pilastro degli stiliti. Una simile visione, in qualche maniera, avrebbe potuto anticipare quella delle odierne funivie, benché risultando molto meno utile nei fatti.
Altro luogo degno di nota nella città di Chiatura, risalente al XII secolo, è il monastero di Mghvimevi, un complesso scavato nella roccia della montagna, fino a 35 metri di profondità. Nella parte orientale della caverna si trova una basilica, seggio formale di uno degli arcivescovi più importanti dell’intera Georgia. Ma le attrazioni principali per i pochi viaggiatori che si spingono fino questo luogo remoto restano, nei fatti, di natura prosaica e decisamente mondana. Particolarmente rinomata è l’esperienza offerta a tutti gli scalatori ed alpinisti che volessero affrontare le pareti rocciose che circondano la valle, come del resto quella vissuta da tutti coloro, persino più coraggiosi, che decidono di “fare a Roma come i romani” e rischiano di salire a bordo delle rugginose funivie. La loro impresa, quindi, si trasforma quasi immediatamente in leggenda…
Dopo la caduta dell’URSS, le miniere di Chiatura rimasero per lungo tempo non operative, mentre il vicino impianto di lavorazione di Zestaponi riceveva la sua manganese da altri giacimenti siti nei dintorni per il resto largamente disabitati. Di pari passo, molte delle cabine semoventi collocate alla base della miniera cessarono le loro operazioni, attendendo una rinascita che forse non sarebbe ma giunta. La città, a partire dal 1989, perse circa un terzo della sua popolazione di 30.000 persone. Interi complessi di appartamenti rimasero deserti, con ancora all’interno le proprietà lasciate indietro dai loro precedenti abitanti caduti nell’indigenza finanziaria. Finché nel 2005, l’azienda straniera dal nome di Georgian American Alloys non acquistò entrambi gli stabilimenti, creando i nuovi presupposti per una rinascita di questi luoghi, che oggi stanno funzionando di nuovo a regime, benché affidandosi tutt’ora alle dismesse, derelitte funivie, spesso mantenute in condizioni operative da tecnici autodidatti e, nelle parole dello stesso ente responsabile: “La Grazia di Dio”. Il che, come potrete facilmente presumere, causa occasionalmente non pochi problemi. Nel 2008 la fune che collegava presso una delle linee la cabina ascendente a quella discendente, necessaria per condurre innanzi la prima grazie al peso della seconda, si tranciò di netto, lasciando bloccati i 12 passeggeri all’interno dello stretto ambiente sospeso a molti metri da terra. Fortuna (o Provvidenza) volle che almeno in quel caso, il freno automatico funzionò. Ma in assenza di mezzi adeguati di soccorso, i malcapitati rimasero bloccati per un periodo di 12 lunghissime ore, mentre si aspettava l’arrivo di specialisti del recupero con una cabina di salvataggio dalla vicina città di Tbilisi. Secondo quanto narrato dal quotidiano The Atlantic, per lo meno, tutte le vittime furono ricompensate e ricevettero anche una consulenza psichiatrica a spese del governo. Un epilogo molto umano, se non proprio ideale nei fatti.
Il futuro, dunque, appare incerto. Barcollante nel vento dell’ombrosa valle, come gli angusti arnesi di un periodo ormai dimenticato. Riuscirà Chiatura a risalire le pendici della sua voragine, aggrappandosi a una comunque significativa rilevanza storica ed alla ricchezza ritrovata della manganese? Oppure un nuovo, e più terribile incidente, costringerà i minatori ad uno stato di sciopero permanente, con conseguente crollo del sistema odierno delle cose? Finché qualcuno, da qualche parte, con le risorse ed il potere necessario, non decida finalmente di rimettere in sesto il sogno molto-meno-celebre di Stalin, relativo ad un centro abitato in cui l’asse verticale potesse diventare importante quanto quello dello scorrere dei fiumi… Il pilastro di pietra, silenziosamente osserva. Inconsapevole di avere un’ospite sulla svettante sommità.