Una nube a fungo che si staglia all’orizzonte, oltre i limiti del cielo e del tempo. Fuoco, fiamme, vento e cenere imperversano sopra il confine della Germania dell’Ovest, in prossimità dell’area collinare a nord di Francoforte sul Meno. Nello stretto e vibrante spazio del veicolo a motore, quattro persone condividono l’orribile momento: pilota, addetto al caricamento, artigliere e comandante. Ciascuno fermamente convinto di una cosa: il mondo, ormai è finito. Ma la guerra… Un’altra deflagrazione proveniente dai fianchi dello schieramento, probabilmente dovuta alle armi portatili del nemico occidentale. Piccole atomiche, perché ormai quelle più grosse hanno già portato a termino lo sporco lavoro, venivano scagliate innanzi dal nemico con cannoni a mano, oppure persino l’equivalente moderno delle catapulte medievali, che più volte avevano infranto le alte mura del principato di Rus’. Da cui ogni volta, l’orgoglioso popolo si era ripreso. Dopo ciascuna catastrofica invasione, l’ideale di un paese unito era risorto più forte di prima. Eppure, l’ultimo giorno aveva continuato ad avvicinarsi…C’è soltanto il tempo di un grido: “Reggetevi! Arriva!” Quattro, cinque chilometri percorsi in un istante. L’onda d’urto raggiunge la formazione di carri armati, incuneandosi tra di essi come il vento distruttivo dell’Apocalisse. Gli ultimi T-54/55 rimasti operativi, uno dopo l’altro, si sollevano come foglie nel vento e scompaiono dall’equazione delle forze in gioco. Nel frattempo, il pesante Object 279 simile a una tartaruga aliena, coi suoi quattro cingoli piantati nella neve, viene spostato di parecchi metri da una parte. La sua forma aerodinamica da esattamente 60 tonnellate, in qualche maniera misteriosa, riesce a deviare l’energia e gli consente di restare operativo. La spessa armatura dell’abitacolo, perfettamente impenetrabile dall’esterno persino all’aria, in funzione di un’alta pressione indotta artificialmente, impedisce all’aria radioattiva ed ai veleni i contaminare l’equipaggio. “Ancora vivi?” Fa l’ufficiale in capo. “Да!” rispondono i suoi compatrioti. Con un sospiro di sollievo misto a rassegnazione, quindi, egli fa cenno di rimettere in moto il carro. I pochi superstiti del blocco Ovest aspettano più avanti. Tempo di combattere l’ultima battaglia.
Il fatto che i Russi fossero dei grandi estimatori del concetto dei mezzi corazzati super-pesanti, non era affatto un gran segreto: fin dagli anni ’30 dello scorso secolo, mentre le potenze politiche e militari dei vari paesi del mondo si preparavano alla catastrofica deflagrazione della seconda guerra mondiale, il governo centrale di Mosca si era affidato non ad uno, bensì a quattro dipartimenti di progettazione dei carri armati. Di cui tuttavia, soltanto due contavano davvero: quello di Leningrado, sotto il comando di Zhosif Ya. Kotin e la fabbrica di Khar’kov, comandata da Mikhail I. Koshkin. Ora Kotin era un amico personale di Iosef Stalin, nonché il genero di Kliment Efremovič Vorošilov, generale e politico tra i primi ad essere insigniti del prestigioso titolo di Maresciallo dell’Unione Sovietica. Le sue idee mirate a stupire il nemico ed incutergli timore ad ogni costo, dunque, godevano di un certo peso per definizione. Ed è indubbiamente a questo eclettico ingegnere, che dobbiamo molti degli strani esperimenti che il suo paese schierò sui campi di battaglia di quell’epoca, con spesso trascurabile successo: come il ponderoso T-28, una belva da quasi 29 tonnellate costruita in un tempo in cui difficilmente si arrivava alla metà, e che in mancanza di corazzatura adeguata non poteva in alcun modo resistere all’urto dei nuovi e ben più agili Panzer tedeschi. O l’ancor più improbabile T-35 da 54 tonnellate, con gli stessi problemi ma in più 5 (CINQUE) torrette ed un equipaggio di fino a 14 persone, del quale, incredibile a dirsi, furono costruiti ben 61 esemplari. Continuando ad esagerare, tuttavia, volle il caso che Kotin dovesse alla fine indovinarne una. E fu così nel 1940 che, tra lo stupore generale di molte delle personalità coinvolte, uno dei suoi carri venne effettivamente messo in servizio sulla linea del fronte: era questo il KV-1, denominato dalle iniziali del suo rinomato suocero, ovvero un carro pesante stranamente convenzionale per lui, con singola torretta ed un peso di 43 tonnellate. Risolti gli inevitabili e soliti problemi di corazzatura, propulsione e affidabilità, il carro si dimostro terribile in battaglia: semplicemente non esistevano ancora, in effetti, armi in grado di penetrarlo. E fu così, che si giunse alla realizzazione che per la particolare dottrina bellica dell’Unione Sovietica soggetta alle pressioni provenienti dalla Germania nazista, non ci fosse nulla di meglio che costruire veicoli sempre più grossi, possenti, inarrestabili. Col proseguire dei lunghi anni, la questione finì per sfuggire un po’ di mano.
Verso la fine della seconda guerra mondiale, la Russia poteva contare sul miglior carro pesante della sua epoca: l’IS-2 (Iosef Stalin-2) versione perfezionata di un progetto originariamente di Zhosif Ya. Kotin, perfettamente in grado di resistere e rispondere al fuoco dei leggendari Tiger tedeschi. Con in più il vantaggio niente affatto trascurabile di essere più affidabili e facili da riparare. C’erano stati, però, anche tutta una serie di esperimenti falliti, spesso estremamente costosi. Come l’iconico KV-2, il cui solo cannone pesava ulteriori 12 tonnellate oltre a quelle del carro, e che per questo non riusciva a muoversi a più di 26 Km/h; lungi dal costituire un mero prototipo, tuttavia, fu prodotto in 334 esemplari, molti dei quali finirono abbandonati o distrutti a lato della strada, a seguito del primo caso in cui il dipartimento aveva necessità di spostarsi. Gli scafi dei KV-1 nel frattempo, dimostratisi obsoleti, avevano trovato reimpiego come base per il cacciacarri SU-152 ed il KV-1S, una versione alleggerita e più maneggevole del carro. Ma non sempre le cose andarono altrettanto “bene”. Perché partire dal 1945, le fabbriche di Leningrado ricevettero l’ordine di perfezionare ulteriormente l’IS, e si imbarcarono nel futile progetto di potenziare un mezzo che sarebbe presto diventato obsoleto: così, con la creazione dei rinomati IS-3 e 4, si ritornò all’epoca ante-guerra, quando l’agilità dei nascenti MBT (carri principali da battaglia, l’evoluzione dei cosiddetti “medi”) dominava i campi di battaglia, mentre la Russia continuava a produrre mostri da 50 e passa tonnellate. Eppure nonostante il presunto svantaggio in caso di un nuovo conflitto, di questi veicoli vennero prodotti migliaia di esemplari, principalmente per l’utilizzo nel corso della parata annuale del Giorno della Vittoria, un’importante ricorrenza che aveva avuto inizio nel 1945. La domanda che venne posta ai dipartimenti competenti, dunque, fu la seguente: “In quale maniera il carro pesante poteva restare attuale?”
A rispondere verso la metà degli anni ’50, per quanto ci è dato di sapere, fu l’ingegnere L. Troyanov, facente parte del personale della stessa fabbrica di Leningrado che aveva eseguito gli eclettici ordini dell’ormai leggendario Kotin. La sua nuova visione era qualcosa di quasi totalmente rivoluzionario: un carro armato dotato non di due, bensì quattro cingoli. Questo gli avrebbe permesso, nel momento della verità, di poter contare su una pressione al suolo comparativamente trascurabile rispetto al suo peso, librandosi letteralmente (ehm…Quasi) sopra il fango e la neve, ancor più dei suoi fratelli minori. Ma il suo progetto, denominato Object 279, vedeva l’impiego di molte altre soluzioni assolutamente avveniristiche per quella, e in effetti qualsiasi altra epoca. In primo luogo, il carro era molto compatto e basso sopra il suolo, raggiungendo appena i 2,6 metri, laddove il Conqueror inglese, miglior carro pesante della sua era, non riusciva a scendere sotto i 3,3, offrendo un profilo molto più alto e vulnerabile agli artiglieri nemici. La sua armatura, inoltre, era estremamente spessa ed ingegnosa. Dovete considerare a tal proposito che in quegli anni non era stata ancora inventata la soluzione tecnica delle protezioni attive, con strati di esplosivo attentamente posizionati per respingere la forza penetrante delle nuove munizioni sabot ad espansione, e per questo, qualsiasi carro era estremamente vulnerabile ai suoi simili. Lo strumento migliore per contrastare il pericolo, dunque, diventava impiegare placche protettive che fossero il più possibile inclinate, al fine di deviare i colpi. Ed in questo, il nostro carro armato era totalmente fuori parametro: basta un solo sguardo alla sua forma insolita per rendersene conto. Viene in effetti ipotizzato, dal video di apertura creato dalla compagnia di videogiochi simulativi Wargaming, che la sua penetrazione e conseguente annientamento risulterebbero difficili persino con armi dotate di munizionamento moderno.
Il sombrero viaggiante, o l’UFO di terra che dir si voglia, poteva anche contare un enorme motore diesel da 1.000 cavalli, in grado di fargli raggiungere i 55 Km/h. Una velocità quasi del tutto inaudita per questa classe di mezzi. Il sistema dei quattro cingoli, completo di una complicata trasmissione progettata ad-hoc, rallentava il processo di rotazione, rendendolo più lento di quello degli altri carri contemporanei. Non si trattava, dunque, di un veicolo particolarmente maneggevole. Dal punto di vista dell’armamento, Troyanov non si era (ovviamente) risparmiato: il carro montava un cannone da 130 mm del tipo M-65, dotato di un caricatore automatico in grado di sparare 5-7 colpi al minuto. Prestazioni comparabili a quelle di un veicolo moderno. Era presente inoltre una mitragliatrice 14.5 x 114 mm in configurazione coassiale, ed entrambe le armi erano stabilizzate con un dispositivo del modello Groza. Ma il punto principale dell’insolito carro armato, nonché la ragione stessa della sua esistenza, era il suo pacchetto di protezione CBRN (chemical, biological, radiological, and nuclear) le cui specifiche potenzialità restano largamente sconosciute tutt’ora, ma che gli avrebbe consentito, nell’idea dei progettisti, di sopravvivere facilmente all’esplosione vicina di una bomba nucleare. Già, ma quanto vicina? Questo non possiamo davvero saperlo. Per fortuna?
L’Object 279, dopo il completamento ben riuscito del progetto, non fu mai effettivamente prodotto in serie. Questo perché il premier Nikita Chruščёv, in carica dal 1953, era un fermo sostenitore dei carri dotati di sistemi d’arma missilistici, come l’IT-1. Inoltre, la progressiva crescente inutilità dei veicoli corazzati pesanti stava diventando sempre più palese, in forza dei successi ottenuti dagli M-48 Patton ed M24 Chaffee americani durante la guerra in Corea. Del resto, di lì a pochi anni la Germania Ovest avrebbe prodotto il fulmineo e devastante Leopard 1. E da quel giorno, nulla sarebbe più stato lo stesso.
Vecchi scheletri di dinosauri semi-sepolti dentro cupe pozze di catrame, mentre l’acqua bollente di un alto geyser marca il confine tra la terra e il cielo: questo è il mondo da cui proveniamo, esseri senzienti eppure stranamente auto-distruttivi. E c’è stato un tempo, un’epoca lunga e glaciale, in cui sembrava che questo fosse anche il nostro futuro. Poi si consumò l’acciaio, ruggine nel vento, ed ebbe inizio la stagione del denaro. Ma la Ruota del Tempo, come diceva qualcuno, gira, e gira…