Chi ha detto che la morte e la sofferenza hanno sempre un aspetto orribile, offrendoci l’opportunità di sfuggire sulla base del nostro istinto innato? Talvolta, ciò che è bello nasconde un terribile segreto. E soltanto chi compie l’errore di toccarlo, potrà conoscere gli abissi più profondi ed atroci del senno di poi. Guardate per esempio, questi magnifici e svettanti fiori biancastri… Ci pensereste due volte, a toccarne il fusto per avvicinarvi e sentirne da vicino l’odore? Eccovi dunque, un avviso di pubblica utilità: non fatelo mai NELLA vostra intera VITA.
Ora, nello specifico non è particolarmente diffuso il caso di persone che, per trascorrere un pomeriggio un po’ diverso, scelgano di camminare lungo il tratto della Strada Statale 50 che collega i paesi di Bellamonte e Paneveggio, sebbene si tratti una parte estremamente gradevole del Trentino e un esempio di paesaggio italiano naturalmente simile al giardino di un lord. Ma l’impiego preferenziale di automobili è un’ottima fortuna, come si può chiaramente desumere da questo video dell’utente Paolippe risalente a un paio di anni fa, in cui egli ci mostrava un aspetto…Lievemente…Problematico di questi rigogliosi prati: la presenza non spiegata e totalmente fuori controllo di una delle piante più pericolose al mondo, la Pànace gigante di Mantegazza (Heracleum m.) che prende il nome dal patriota, darwinista e precursore ottocentesco della fantascienza italiana, Paolo Mantegazza. Un dubbio onore concessogli dagli amici e colleghi scienziati Emile Levier e Stephane Sommier. Basterebbe infatti soltanto sfiorare questi sottili arbusti di fino a 5 metri, lasciando che la linfa che la ricopre entri in contatto con la propria pelle scoperta, per ritrovarsi a gestire il pieno effetto di un terribile veleno. I cui sintomi, piuttosto che includere uno stato temporaneo di paralisi o causare un “semplice” forte dolore, ricercano un metodo più subdolo per farvi pentire di essere nati: spalancare le porte della vostre difese contro i raggi UV, per poi lasciare che sia l’inconsapevole astro solare, ad ustionare orribilmente la parte colpita. L’esperienza personale di chi resta affetto da questa malefica specie vegetale, appartenente alla famiglia delle apiacee, imparentata con il ben più semplice finocchio ed altre piante usate in ambito alimentare, appare spesso degna di essere narrata attorno ad un fuoco acceso per la notte di Halloween, tanto scuote dalle fondamenta la nostra concezione di un mondo in cui tutto dovrebbe tendere in qualche maniera al bene. Davvero, voi non avete idea! Perché per qualche terribile momento, non succede assolutamente nulla.
Più di un povero bambino in Gran Bretagna, paese in cui la pianta originaria del Caucaso è molto diffusa, negli ultimi anni si è avvicinato ed ha preso a giocare col pànace, entrando in contatto col tronco e le foglie. Oppure, ipotesi ancor più atroce: un cane portato a passeggio si era avvicinato, possibilmente senza riportare conseguenze (alcuni animali sono immuni) ma portando nel pelo una quantità esiziale dell’insidiosa linfa. Toccata la pianta o l’animale, trascorsi 20, 30, 40 minuti: fino a lì, zero sintomi. Quindi qualche ora dopo, con un arrossamento improvviso, le mani, braccia e talvolta anche il viso si sono quasi istantaneamente ricoperte di enormi vesciche, richiedendo una rapida corsa all’ospedale più vicino. E sia chiaro che questa condizione rischiosa, che in casi estremi può anche condurre alla cecità e alla morte, non era una reazione allergica, né l’effetto su di un fisico indebolito da altri problemi di salute, ma l’imprescindibile effetto di una concentrazione estrema di furanocumarine fotosensibilizzanti, un tipo di sostanze usate nelle creme abbronzanti fino al 1996. Ma non c’è niente che nutra e protegga la pelle, nell’atroce vendetta della pianta che prende il nome del buon Mantegazza…
Negli ultimi tempi, in Inghilterra sta venendo portata avanti una campagna di sensibilizzazione ed informazione a tappeto, per insegnare alla popolazione generalista a riconoscere l’orrendo pericolo del pànace gigante. Perché il problema di quel paese, che vede la maggior diffusione europea della pianta, è che furono proprio gli esploratori e i mercanti vittoriani, di ritorno dai loro viaggi verso l’Asia Centrale, a scegliere d’adornare i loro giardini in patria con la svettante, ed affascinante pianta trovata nelle vaste e silenziose pianure. Ma loro non potevano, o volevano, comprendere ciò che stavano facendo. L’odierno timore di certi paesi particolarmente chiusi all’introduzione di piante o animali provenienti dall’estero, in effetti, nasce probabilmente da esperienze moderne simile a questa, in cui l’ecosistema può essere spiacevolmente modificato da una specie troppo adattabile, troppo prolifica…Che poi sia anche pericolosa per l’uomo, è un significativo valore aggiunto.
Heracleum mantegazzianum, per usare finalmente il nome scientifico per esteso, è purtroppo una pianta straordinariamente adattabile e resistente. In primo luogo perché, come tutte le altre apiacee (anche dette ombrellifere) produce una quantità spropositata di semi: fino a 100.000 l’anno, che propagandosi per un raggio di 50-100 metri grazie alla forza del vento, restano pronti a germogliare per un periodo di 7 anni. Il che significa che qualsiasi attività di estirpazione, se condotta soltanto a breve termine, non sortirà in alcun modo l’effetto desiderato. Inoltre la sua radice a fittone centrale contiene tutto il necessario per la sopravvivenza ed una nuova fioritura della pianta; il che significa, come fa notare anche l’italiano Paolippe nel nostro video di apertura, che reciderla all’altezza del terreno non sortirà assolutamente l’effetto desiderato. Gli addetti al disboscamento inglesi e di altri paesi ben conoscono, in effetti, la virulenza con cui questo arbusto può propagarsi lungo l’intero banco di un fiume o un torrente, togliendo la luce ed uccidendo gradualmente le altre piante grazie all’estensione della sua ombrella (termine tecnico per la particolare infiorescenza). Come loro ben sanno, esistono soltanto due metodi per liberarsene definitivamente.
Nell’intero Regno Unito, il sistema preferenziale per liberarsi della mantegazzianum non prevede affatto l’immediato abbattimento, con conseguente spargimento dei semi, bensì l’impiego ripetuto nel tempo di vari tipi di erbicidi, tra cui 2,4-D, TBA ed MCPA. Una volta assassinato il fusto, quindi, e sperando di non aver compromesso anche altre piante innocenti, si estirpano molto attentamente le radici, previa dotazione di tute protettive complete e guanti adeguatamente spessi. L’approccio cosiddetto svizzero, invece, è molto più diretto: esso consiste nel tagliare la radice a una profondità di 10-15 cm al momento della fioritura, quindi bruciare la parte rimanente della pianta. È ovvio che in questo caso, il rischio di vittime collaterali cresce esponenzialmente. Ma come si dice, a mali estremi…
Le conseguenze di restare affetti dal veleno della pànace, del resto, non sono affatto semplici da superare. In primo luogo perché la zona colpita resta sensibile alla luce solare per un periodo di fino a tre anni. Il che significa che le vittime, una volta recuperata faticosamente la propria salute, dovranno continuare a mantenere coperta la pelle lesionata con estrema attenzione. Più di una persona, dimenticando il pericolo o pensando di essere guarita, a distanza di molti mesi è uscita in un pomeriggio limpido e si è vista ricomparire le stesse orrende vesciche dell’epoca dell’incidente. Inoltre, non è affatto raro che a sèguito dell’evento resti una cicatrice permanente. Sarebbe in effetti difficile, come afferma anche l’inglese John Robertson, trovare una singola caratteristica positiva della pianta.
Paolo Mantegazza, nel suo romanzo del 1897, L’anno 3000 – Sogno (che guada caso non si studia mai a scuola) narrava di un ipotetico futuro in cui l’umanità, superati i limiti dell’istinto e i supposti mali del socialismo, sarebbe vissuta in una sorta di falsa utopia, in cui un governo mondiale con sede nella città immaginaria di Andropoli, sita ai piedi dell’Himalaya, avrebbe eliminato del tutto il concetto di guerra. In uno dei primi capitoli, i due protagonisti Paolo e Maria in navigazione con una sorta di idroplano nel golfo di La Spezia osservano le corazzate di un trascorso conflitto bellico, constatando con sollievo il tragitto di dolorosa crescita, finalmente portato a termine dall’umana società. “Tuttavia” afferma l’autore, per bocca del giovane consorte: “Esistono ancora i gobbi, i pazzi, i delinquenti, le malattie… Ed è per questo, che ogni matrimonio deve essere approvato dal governo, affinché si realizzi soltanto l’unione genetica tra gli individui meritevoli di procreare.” Beh, l’intento sarà stato soltanto satirico… Nevvero? Altrimenti che cosa mai avrebbe dovuto fare, l’ipotetico malfattore per nascita, in una società tanto ostile? Strana giustapposizione, a distanza di tre quarti di secolo: nella canzone del 1971 del gruppo britannico dei Genesis The Return Of The Giant Hogweed, dedicata proprio alla pànace gigante, si parla della tremenda pianta ribelle che offesa per il trattamento subìto, si vendica e distrugge l’umanità. L’annientamento senza esclusione di colpi non porta mai niente di buono. Ma quando c’è di mezzo la natura, può talvolta trovare un qualche grado di giustizia ultraterrena…