Il bruco pettinato come un aspirante presidente degli U.S.A.

megalopygidae

Gli animali possono prendere il nome dalle situazioni di contesto più diverse: possono riprendere quello del loro scopritore (Gazella di Thompson, Aquila di Stellar) trovarsi connotati da un aggettivo che sottolinei il loro aspetto evidentemente maestoso (gufo reale, pinguino imperatore) o di un sentimento che potrebbero suscitare nell’osservatore, mentre tenta di tornare all’automobile lungo un sentiero di montagna (ad esempio, l’Ursus arctos horribilis, che poi sarebbe il temibile orso grizzly). Altre volte, a prestare l’appellativo a una particolare specie ci pensa un’importante personalità pubblica o dello spettacolo, generalmente con l’intento di rendergli in qualche maniera onore: esiste un ragno della botola detto Aptostichus angelinajolieae, così come una particolare mosca dei fiori diffusa in Costa Rica si ritrova denominata Eristalis gatesi, dal cognome del magnate ex-direttore d’azienda Bill Gates. Talvolta, invece, la situazione sfugge chiaramente di mano e sconfina fuori dal reame della logica: l’appellativo dell’attuale presidente uscente Barack Obama si ritrova attribuito ad un pesce, una lucertola estinta, un fungo e un parassita delle anatre, tra le svariate e scollegate altre cose. Sembra dunque che intraprendere una carriera politica fino ai massimi livelli sia un sicuro biglietto per comparire non soltanto sui libri di storia, anche all’interno di quelli di biologia. E forse, non sempre nella maniera in cui sarebbe desiderabile riuscirci.
Quando in tempi non sospetti la coscienza collettiva di Internet vide comparire sotto i propri occhi questa particolare larva di lepidottero, nota in determinati ambienti informali come bruco-gatto o bruco-cane (si scorge una vaga somiglianza col profilo di un grazioso pechinese) iniziò subito la corsa per cercare un nuovo termine metaforico di paragone. Pur sapendo bene che doveva trattarsi di un Megalopygidae, ovvero il bruco di una di quelle falene diffuse in tutto il continente americano ma in particolare negli Stati Uniti del sud-est, il cui addome risulta ovviamente altrettanto ricoperto di escrescenze pilifere color marroncino. Fu tuttavia ben presto chiaro che non ci trovavamo di fronte al solito esponente della specie M. Opercularis, il cui effetto dolorosamente urticante risulta fin troppo noto ai giardinieri ed agli escursionisti d’oltreoceano, così come la sua dimensione relativamente ridotta di un paio di centimetri. Bensì di qualcosa di completamente nuovo e più grande: ovvero il trumpapillar, o in altri termini, il bruco di Donald Trump. In questo caso, almeno, l’associazione risulta essere piuttosto chiara. Più volte è stato infatti messo in evidenza lo stile altamente personale della capigliatura del candidato presidenziale repubblicano, considerata tanto insolita dall’aver fatto pensare da alcuni, per un tempo piuttosto lungo, che potesse trattarsi in effetti di un toupée. Ipotesi clamorosamente smentita verso la metà di settembre, quando l’industriale e politico è comparso in Tv durante il popolare talk show di Jimmy Fallon, permettendo al presentatore di scompigliare giocosamente l’oggetto della pilifera discordia. Una dimostrazione, va pur detto, di encomiabile auto-ironia.
Cosa ne pensi il candidato di questo bruco, invece, non ci è dato di saperlo. Questione in realtà piuttosto delicata proprio perché, come accennavo poco più sopra, questa intera categoria di insetti non è considerata propriamente desiderabile in alcun paese facente parte del suo habitat, in primo luogo per la sua capacità di riprodursi in modo estremamente rapido, divorando le più beneamate piante di qualsivoglia giardino. E poi, dettaglio niente affatto da poco, perché si tratta del bruco più velenoso degli interi Stati Uniti d’America. Proprio questa sarebbe, in effetti, la funzione dei suoi accattivanti “peli” o capelli: nascondere un fitto reticolo di aculei, sottili al punto da risultare quasi invisibili, funzionanti come una miriade di aghi ipodermici. Al cui contatto, viene inoculato attraverso la pelle umana una sostanza nociva la cui specifica composizione, a dire la verità, non è stata ancora mai studiata. Mentre si conoscono, anche fin troppo bene, i suoi effetti: entrare accidentalmente in contatto col trumpapillar o un qualsiasi altro esponente della sua genìa, causa un immediato gonfiore della parte colpita, con la comparsa di una ferita sanguinante dall’aspetto a reticolo, riprendente la disposizione degli aculei della larva. Si tratta generalmente di una situazione non pericolosa per la sopravvivenza di un umano adulto, benché possa giungere a costituire, in effetti, un’emergenza medica mediamente grave. Il dolore è infatti MOLTO intenso, arrivando a ricordare da vicino, secondo testimonianze reperibili online, quello della rottura di un osso. Inoltre dura almeno 10-12 ore, durante le quali sembra estendersi e raggiungere i linfonodi più vicini. Una persona colpita sulla mano, ad esempio, molto presto proverà sofferenza nell’intero braccio fino all’articolazione della spalla. Vi lascio immaginare, dunque, quanti pochi predatori naturali abbia questa creatura, un aspetto di cui tra l’altro riesce ad approfittarsene un piccolo uccello…

cinereous-mourner
Il corrispondente sudamericano del canale It’s Ok to be Smart non soltanto mostra l’habitat del bruco e dell’uccello che gli assomiglia, ma riesce a trovare una strana sacca delle uova di qualche specie d’insetto sconosciuta, anch’essa furbescamente simile al pericoloso piccolo animale.

Il cenerino piangente (Laniocera hypopyrra) che nonostante il nome non è un pappagallo ma un passeriforme, nella sua forma adulta non pare avere granché di strano. Si tratta infatti di un uccello lungo appena 15 cm, dalla colorazione di un grigio tetro ed un caratteristico richiamo stridulo che fa: “teyr, teeoweét, teeoweeeét […] (fonte onomatopeica: Field Guide to the Songbirds of South America: The Passerines) mentre egli costituisce, in effetti, un vero maestro del mimetismo batesiano, dal nome del suo primo studioso, il naturalista del XIX secolo Henry Walter Bates. Chi ha visto molti documentari sugli animali, saprà già di cosa stiamo parlando. Determinate specie, come per l’appunto il trumpapillar, rinunciano del tutto a mimetizzarsi, basando piuttosto la propria protezione dai predatori su quello che viene definito richiamo aposematico, ovvero una colorazione, o un aspetto, tanto inusuali da suscitare immediata diffidenza. I potenziali mangiatori della larva pelosa, dunque, comprendono istintivamente che toccarla sarebbe una pessima idea, e la stessa  cosa deve aver fatto, in qualche momento della sua storia evolutiva, il passeriforme cenerino. Basta infatti scrutare per un attimo il suo piccolo nel nido, per notare una somiglianza sorprendente: esso sembra, a tutti gli effetti, un esemplare perfettamente in salute del nostro temutissimo M. Opercularis, soprattutto grazie alle sue piume arruffate e sottili, di una colorazione arancione che non si discosta affatto da quella di determinati trumpapillars. Ma la storia non finisce qui: il giovane uccello è infatti abbastanza furbo da non chiamare mai la madre, a differenza di quanto fatto dalla maggior parte dei passeriformi, ed assume una posa nel nido con la testa nascosta in basso, che gli permette, muovendosi in maniera insettile e disordinata, d’incutere ulteriore timore in qualsiasi possibile aspirante aguzzino. Un travestimento, sotto molti aspetti, pressoché perfetto.

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Il nome scientifico Megalopygidae viene dalla “grande coda” del bruco. Sulla base di questa ricostruzione, gli aculei sembrerebbero trovarsi sui peli stessi, come se fossero foglie di una felce infernale. L’ipotesi di passare una mano sul morbido e attraente animaletto, dunque, diventa niente meno una follia.

In termini tecnici, si dice che l’M. Opercularis sia un lepidottero bivoltino, ovvero che riesce a riprodursi per due volte nel corso di un solo anno. Una volta accumulate le sostanze nutritive sufficienti, dunque, il bruco costruisce la sua pupa, un bozzolo rigido particolarmente resistente. Caratteristica speciale di questa specie è il riuscire a liberarsi di parte del suo manto urticante nel momento della chiusura, disponendolo come ulteriore strato protettivo della capsula esterna. Un aspetto insolito dello stato intermedio della metamorfosi, soprattutto se comparato a quello dei suoi parenti più prossimi, è il mantenersi almeno parzialmente mobile, con vere e proprie finestre che si trovano in corrispondenza degli occhi e segmenti corrispondenti alle future zampe della falena. Inoltre, quando in un simile stato, il bruco espelle i propri escrementi e riesce a gettarli via lontano, eliminando un potenziale indizio attraverso cui potrebbe essere trovato e mangiato. Come molti altri lepidotteri, il trumpapillar può restare in questo stato per l’intero periodo invernale. Al momento della schiusa in primavera, dunque, alla femmina dell’insetto non resteranno che un paio di giorni di vita. Durante i quali, come avvenuto migliaia di generazioni prima di quella attuale, essa dovrà riuscire nella complessa operazione di trovare un compagno ed accoppiarsi, per poi deporre le proprie uova sulla parte inferiore di un ramo o una foglia. Non senza dimenticarsi, ovviamente, di lasciare anche su di esse una scia di peli urticanti, nella speranza di riuscire a scoraggiare un qualsivoglia tentativo sbadato d’insettile infanticidio. Mentre nel frattempo, l’uccello piccolo indossa il parrucchino. E si trattiene dall’emettere il suo stridente richiamo.
Al momento in cui scrivo, è ancora molto difficile immaginare chi sarà ad aggiudicarsi il prossimo mandato della presidenza statunitense. Possiamo tuttavia contare, per lo meno, su una certezza residua: nel corso di quattro anni, otto generazioni di bruchi di Donald Trump nasceranno, cresceranno ed apriranno, alla fine, le loro pelose ali. Ora, se soltanto costoro potessero votare….

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La forma adulta del bruco è detta volgarmente la falena di flanella (flannel moth). È difficile immaginare che essa non mantenga almeno in parte le caratteristiche velenifere del suo bruco.

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