“Sono qui! Sono qui! Stai parlando di me? Cucù! Cucù!” Intere generazioni di telespettatori, appartenenti alle nazionalità più diverse, sono rimaste nel tempo profondamente affascinate dal particolare tono di voce del naturalista David Attenborough, dalle sue puntuali esposizioni al cospetto di alcune delle creature più incredibili di questo pianeta. Infinite ore di esplorazioni, avventure, momenti televisivi di pura scienza. E dunque ben pochi, fino a quel giorno, si erano permessi di interromperlo. Più volte! Davvero gli scapestrati giovani di oggi….Davvero… Non ci sono più gli uccelli di una volta. Saltellando vistosamente, su di un ramo sopraelevato, il soggetto del problematico contrattempo: un volatile decisamente fuori dal comune. Marrone con la testa per metà gialla, come il cuore di un limone, e l’altra parte verde iridescente. Il becco piccolo e rivolto verso il basso, aperto ritmicamente nelle enunciazioni del suo cacofonico racconto di giornata. Il corpo marrone, graziato dal più eccezionale ciuffo decorativo che la mente di un ornitologo possa immaginare: piume lunghe e sottili a partire dal retro del collo e fino alla metà della schiena, che paiono essere state prelevate precedentemente dalla coda di un uccello due volte più grande. E poi riattaccate, dopo un’appropriata tintura per meglio concordarsi col resto dell’eccezionale livrea, grazie ad un generoso impiego di super-colla. Momentanea umiliazione che spiegherebbe, se non altro, il temperamento dell’inafferrabile piccolo ribelle.
Ma come tutti fin troppo bene sappiamo, non c’è niente in tutto questo che la natura non possa aver già creato da se. E questo, per quanto si riesce a sentire in mezzo all’atroce frastuono, è in realtà un comune Paradisaea apoda della Papua Nuova Guinea, creatura dall’areale ridotto ma molto diffusa, al punto da rientrare nell’invidiabile categoria degli animali a rischio d’estinzione pressoché inesistente. Verrebbe da chiedersi, quindi, perché non sia un abitante comune di centomila gabbiette, alla maniera dei ben più universalmente diffusi pappagalli. Il fatto è che…Avete provato a prenderne uno vivo? Il suo luogo abitativo d’elezione, per quanto concerne la nascita nel nido, il nutrimento, il corteggiamento di una compagna, raramente si trova al di sotto dei 50 metri dal livello del terreno, in prossimità dei rami più alti di una delle foreste tropicali più selvagge e incontaminate del pianeta. L’unico modo di prendere una fenice, come dicevano le antiche leggende, è sempre stata quella di lanciargli una freccia. E come potrete facilmente immaginare, non pochi, nel tempo, si sono impegnati a farlo: talmente diffusa era anzi, fino al sopraggiungere dell’epoca vittoriana, l’usanza di pagare gli indigeni di questi luoghi per far fuori un qualsiasi appartenente delle oltre 40 specie di uccelli del paradiso, che il nome stesso di questo uccello significa in latino: “privo di piedi”. Una strana definizione, derivata principalmente dal fatto che le incolpevoli prede venivano spedite oltreoceano in tale specifica configurazione, dopo che gli arti e le ali erano stati rimossi dai cacciatori locali per farne ornamenti appartenenti alla loro tradizione. Fu dunque creata un’intera teoria in merito al loro stile di vita, basata proprio sull’improbabile idea che essi fossero, per usare un’espressione particolarmente calzante, fatti PROPRIO così. Lo stesso celebre studioso e navigatore italiano Antonio Pigafetta (1492-1531) ipotizzò addirittura che il maschio nidificasse sulla schiena della femmina, senza posarsi mai a terra. E chi ha detto che la fantascienza è un’invenzione risalente soltanto allo scorso secolo…
Del resto, occorre pur comprendere il contesto di un tale fraintendimento. Era l’epoca delle grandi esplorazioni, in cui tutto appariva nuovo e fantastico, del tutto privo di termini di paragone. Gli animali più folli e stravaganti, considerati la prova lungamente attesa dell’ingegno divino, venivano osservati sulla base della loro eccezionale apparenza e lo stesso Linneo, nel XVIII secolo, non poté fare a meno di riprendere la precedente nomenclatura anche perché lui, assai probabilmente, un P. apoda vivo non avrebbe mai avuto l’opportunità di vederlo. A quell’epoca, purtroppo, non c’era la televisione, né i fantastici documentari naturalistici prodotti dalla BBC. E soprattutto mancava ancora, ahimé, la suadente voce dell’uomo che ha dedicato la sua intera vita a divulgare informazioni in merito al mondo che ama di più. Anche se a volte, sembra quasi che esista da sempre…
La fenomenale bellezza e l’inesauribile varietà degli uccelli della Papua Nuova Guinea è stata oggetto di studio attraverso i secoli, portando al rinnovarsi di alcune significative domande. Quali sono i limiti dell’evoluzione? Perché soltanto in questo luogo si è sviluppato un simile florilegio di penne, apparentemente prive di confini visuali di sorta? In che modo, dal momento della nascita fino a quello della tardiva maturità sessuale (in certe specie sono necessari fino a 7 anni) ciascun uccello apprende i passi della sua personale danza di accoppiamento, radicalmente diversa da quella di ogni suo parente biologico vicino o distante?
Prima di entrare nel merito delle singole suddivisioni della famiglia Paradisaeidae, appartenente al gigantesco ordine dei passeriformi, sarà opportuno parlare della della macro-divisione informale che si trova grossomodo al centro di questa genìa di uccelli. Esistono infatti, essenzialmente due tipi di volatile paradisiaco: da una parte quello primariamente frugivoro, ovvero che si nutre quasi esclusivamente della grande varietà di prodotti vegetali disponibili nel nebbioso ambiente di sua provenienza, dove l’umidità supera spesso il 90% ed ogni pianta cresce potendo contare su uno spropositato rigoglio. Questi uccelli sono socievoli, vivono in gruppo sulle cime degli alberi ed organizzano spettacolari lek, ovvero rituali in cui i maschi si sfidano nel fare il massimo chiasso possibile, accoppiandosi quindi con più femmine in rapida sequenza. Questa è la categoria a cui appartiene il P. apodia, adorabile disturbatore di Sir Attenborough. In netta contrapposizione, invece, si trovano gli uccelli del paradiso insettivori, che devono battere quotidianamente la parte intermedia del sottobosco, o persino scendere a terra, nella ricerca delle loro prede preferite tra il letto di foglie morte e le tane di fameliche formiche. Tali uccelli sono generalmente solitari e territoriali, e quando scelgono una compagna, se la fanno bastare e la difendono almeno per il resto della stagione degli accoppiamenti, arrivando a collaborare nella delicata creazione del nido. Ciò avviene, ad esempio, nel caso dei Manucodia crestariccia, robusti volatori dai riflessi blu elettrici e la dimensione approssimativa di un merlo. E poi ci sono, naturalmente, tutte le infinite, meravigliose vie di mezzo…
I Parotia, dalle sbarazzine sei piume che si irradiano a raggiera dalla vivace testa, danzano a terra, trasformandosi in un paralume ed imitando le movenze di un’impossibile ballerina. L’uccello fucile di Victoria, dal canto suo (Ptiloris victoriae) spalanca le ali a formare l’immagine quasi araldica, mentre fa muovere ritmicamente il suo collo da destra a sinistra e produce un suono con la forma specifica delle sue piume. La macchia azzurra presente sulla gola, a quel punto, diventa l’esca a cui nessuna potrà resistere, neppure la più esigente delle signore. L’Astrapia mayeri, lungo appena 32 cm, è invece caratterizzato da una vistosa coda a nastro che può misurare fino a un metro, usata come un magnete per gli sguardi mentre si agita e saltella tra i rami. Si ritiene che un simile sviluppo evolutivo, tanto propenso a restare impigliato nella vegetazione o venire afferrato al volo, sarebbe stato semplicemente impossibile in presenza di un qualsivoglia predatore, condizione che invece si verifica nella pacifica Nuova Guinea. Altre specie, tra cui il piccolo Paradisaea rudolphi o il raro Paradisaea decora (rispettivamente, u.d.p. blu ed u.d.p. di Goldie) arrivano ad effettuare la propria danza e il richiamo appesi a testa in giù da un ramo, presumibilmente per dare il modo e tempo alla partner di studiarli a distanza ridotta.
Tra le ipotesi più accreditate in merito all’origine di simili complessi rituali di accoppiamento, la più maggiormente accreditata è che si tratti di un artificio per proteggere la femmina dall’accoppiamento forzato, permettendo ad essa di avere voce in capitolo sulla futura propagazione del proprio codice genetico. Anche se vista l’estrema promiscuità di alcune di queste creature, viene da chiedersi quanto ciò abbia effettivamente importanza.
All’estremo opposto dello spettro si trova invece l’udp. superbo (Lophorina superba) un piccolo passero da 26 cm. Che al momento di attrarre una compagna, crea un’arena a terra per esibirsi con bacche e piccoli rametti, quindi spalanca le sue ali a formare la ragionevole approssimazione di un’assurda antenna radar ellissoidale, o in altri termini la cresta di un mitico basilisco. La femmina, quindi, diventa talmente attenta e puntigliosa nel giudicare la qualità di un tale exploit, che talvolta arriva a scartare anche 20 potenziali partner prima di decidere di aver trovato quello giusto. Ed è soltanto allora, che la natura potrà seguire finalmente il suo agognato corso.
È uno straordinario esempio di adattamento alle particolari esigenze di un ambiente in cui si affollano specie diverse, ma geneticamente vicine e molto spesso, persino compatibili. Nel quale è semplicemente fondamentale che le femmine, nel momento in cui devono concedersi a un compagno, riescano a riconoscere a colpo d’occhio quali siano quelli più adatti, ovvero dotati di geni il più possibile in linea coi propri. Nonostante i molti accorgimenti, l’ibridazione resta infatti possibile, e in più casi naturalisti di molte nazionalità diverse hanno riportato la scoperta di nuove specie, che si sono invece poi rivelate semplici incroci tra uccelli del paradiso già noti. Basta una rapida consultazione della lunga pagina di Wikipedia sull’argomento dà l’idea di quanto sia in effetti frequente, e ben documentato, un tale fenomeno all’origine di creature sempre più insolite e prive di termini di paragone.
Il paradiso, come l’inferno, è un concetto estremamente soggettivo: c’è chi afferma che possa esistere soltanto nell’aldilà, al momento della ricompensa per la propria pace spirituale ed il senso di fede in una presenza superiore che regola e definisce il mondo. Per altri, invece, esso va ricercato nel corso della propria breve vita sulla Terra, che nonostante i molti problemi di un tale pianeta, sporco, caotico e rumoroso, riesce talvolta a regalarci notevoli soddisfazioni. Un uccello, dal canto suo, non giunge a porsi simili domande. Chiamatelo, se volete… Il vantaggio di vivere intensamente l’oggi! Senza memoria, oppure pensare a quello che purtroppo, verrà. Una condizione che in alcun modo, potrà mai coesistere con la mente umana. Ed è per questo che saper ascoltare diventa importante.
Al che diventa importante chiedersi, in merito alla nostra scena d’apertura col buon Attenborough: chi stava interrompendo chi? Chi stava parlando per primo? Chi-chi? Ri-Chi? “Cucù, cucuù…” Ma la risposta si perde nel vento, tra il delicato fruscìo delle foglie e gli schiamazzi di quel rompiscatole alato…