Lo strale affilatissimo tra un mare di piccole nubi, rosso, giallo oppure di un gradevole color arancio. Ma quel che non ti piace di vedere è proprio lui, simbolo sulla pagine (di carta, dietro all’uomo delle previsioni o ancor più spesso, ultimamente, sullo schermo del tuo cellulare) pittogramma meteorologico che presuppone il “temporale”. Perché la pioggia e il vento, dentro una moderna casa in muratura, non costituiscono pericoli di nessun tipo. Mentre l’elettricità concentrata che scende giù dai cieli, colpendo ed incendiando ciò che trova, bé, ignorarla è un presupposto che richiede assai specifiche risorse. Tra cui un parafulmine, naturalmente, ed anche un certo grado d’incoscienza, che ci mantenga ben lontano dalle nostre origini animali. Bene, adesso immaginate un luogo, in cui se pure qualcuno si preoccupasse di guardare le previsioni del tempo, troverebbe il “temporale” lunedì. Martedì, mercoledì…E via di questo seguito, fino a un’epoca persino successiva all’esaurirsi del petrolio che si trova sotto questo lago di Maracaibo. Siamo alla foce, per esser ancor più precisi, del fiume del Rio Catatumbo, che costituisce la linea di confine tra i due paesi sudamericani della Colombia e del Venezuela. Dove quasi ogni sera, fatto salvo per un paio di periodi ogni decina d’anni, l’elettricità nell’atmosfera trova sfogo, generando una tempesta di fulmini che dura circa 10 ore, durante la quale si verificano fino a 2.800 scariche tonanti. Uno spettacolo, per noi che non ci siamo abituati, semplicemente spaventoso. E un’attrazione straordinaria per turisti: masse di nubi temporalesche che si assembrano a 5 Km sull’orizzonte, non troppo distante dal villaggio sulle palafitte che ha il nome di Congo (una mera coincidenza) dalle cui capanne, colui che è disposto a rinunciare ad alcune tecnologie del nostro tempo, quali ad esempio un gabinetto che non sia soltanto un buco spalancato verso la torbiera infestata dai pescegatti, può osservare lo spettacolo in tutta comodità Si fa per dire! Chi potrebbe mai, davvero, rilassarsi dinnanzi alla furia inconoscibile della Natura?
Ci sono molte leggende sulla tempesta senza fine. La più famosa, nonché spesso citata nella maggior parte degli articoli reperibili online, è contenuta nel poema epico La Dragontea, prodotto nel 1598 dal prolifico scrittore nazionale Lope de Vega. Il quale, narrava in 5856 versi la vicenda umana del suo contemporaneo e nemico indiretto, il corsaro inglese Sir Francis Drake (grande favorito della regina Elisabetta I, e come dicono le voci…) Soltanto per porre costui al termine della sua carriera, tre anni prima del completamento del libro e dopo le grandi vittorie conseguite contro l’Armada spagnola, proprio qui a Maracaibo, mentre era intento a preparare un fallimentare assalto notturno con la sua flottiglia, al fine di valicare le solide mura della città. E benché non ci sia molto di storicamente accreditato nella vicenda, visto come la Relación per la Reale Udienza di Panama, cronistoria usata per basare l’intero racconto, non faccia alcun riferimento esplicito all’assalto in questone, non è effettivamente IMPOSSIBILE che un predone straniero fosse all’oscuro della caratteristica situazione vissuta quotidianamente in questa baia. Che portò il cielo, proprio mentre Drake si avvicinava col favore delle tenebre, ad accendersi d’improvviso come fosse già giorno, costringendolo a ritirarsi mentre le vedette davano l’allarme ed i cannoni già venivano puntati su di lui. Qualcosa di simile successe nuovamente durante la guerra per l’indipendenza del Venezuela del 1823, quando una flotta spagnola che tentava di cogliere di sorpresa la capitale delle sue colonie fu improvvisamente illuminata dalla Provvidenza, dovendo rinunciare all’attacco tanto accuratamente pianificato. A seguito di questo evento, lo stato di Zulia in cui si trova il lago incorporò un piccolo fulmine nel suo emblema, ed arrivò ad includere un’allusione ai fulmini del Catatumbo nell’inno nazionale.
Si, ma qual’è l’origine di tutto ciò? Secondo una diffusa credenza locale, i fulmini avrebbero una fonte ben precisa: essi rappresenterebbero le anime dei morti, ed in particolar modo dei bambini, che risalendo verso il paradiso lasciano la Terra in modo tanto fragoroso, senza disdegnare di vegliare per un’ultima volta sulla salute e sul futuro dei propri cari. Proprio a questo farebbe riferimento anche la storia del Cristo Nero, un crocefisso in legno custodito nella cattedrale cittadina, che si dice sia stato almeno in un caso avvolto dalle fiamme restandone illeso. Nulla può arrecare danno ad una fede incrollabile ed antica. Ma benché superflua nell’opinione d’innumerevoli fedeli, esiste anche una spiegazione scientifica dell’intera climatica questione…
I fulmini del Catatumbo sono una preziosa risorsa per l’intero pianeta, che non solo agevola il turismo di questa particolare regione del Venezuela, ma contribuiscono con la loro presenza la processo fotochimico che genera la sostanza dell’ozono (O₃) l’unico scudo contro le pericolose radiazioni della stella al centro del Sistema Solare. L’esistenza di un simile fenomeno, quindi, non è una mera stranezza priva di significato. Bensì una parte fondamentale della condizione ambientale alla base della nostra stessa esistenza, ovvero una condizione di base della vita. La Terra ha questo aspetto, e simili abitanti, soltanto perché in essa vigono le condizioni fisiche che possono permettere la tempesta eterna del Catatumbo.
Al che fa seguito una considerazione che potrebbe forse risultare sorprendente: ad oggi, le schiere di studiosi che hanno tentato di arrivare al nocciolo della questione, non hanno raggiunto un consenso sul perché, in effetti, il cielo del Venezuela non smetta mai di andare a fuoco. La teoria più accreditata parla in modo piuttosto generico della grandi masse d’aria che soffiano sul lago di Maracaibo e le estese pianure circostanti, per incontrare all’improvviso gli alti picchi delle Ande (fino a 3.750 metri nella regione delle Perijá) e sollevarsi, generando un attrito dovuto all’alto coefficiente di umidità. Ciò spiegherebbe, in un sol colpo, la forma verticale delle nubi della tempesta e la continuità dei fulmini, che una volta scatenatisi al calo serale della temperatura, non cessano fino all’insorgere delle prime avvisaglie dell’alba. Una visione alternativa del problema, invece, vedrebbe all’origine del terribile spettacolo i gas di decomposizione della materia biologica contenuta nella palude che circonda il delta del fiume, carica tra l’altro di preziosi depositi di petrolio. Ma forse lo studio più interessante resta quello effettuato tra il 1966 ed il 1970 da Andrew Zavrostky dell’Università delle Ande, che arrivò ad ipotizzare la presenza di alcuni depositi di uranio in corrispondenza dei diversi punti cardine della tempesta, in grado di interagire con la potenzialità elettrica dell’aria anche attraverso il duro suolo.
E tutto sembrava possibile, per giustificare un fenomeno che ci appariva totalmente senza tempo né limitazioni terrene di alcun tipo. Finché nel gennaio del 2010, all’improvviso e per il più lungo periodo registrato nella storia recente, la tempesta eterna si fermò.
Non fu la prima volta che succedeva a memoria d’uomo: l’ultima lunga pausa, durata tre settimane, si era verificata nel 1906, a seguito di un grave terremoto che aveva scosso l’intera costa della Colombia e dell’Ecuador, scatenando anche uno tsunami. E già qui, le domande da porsi sarebbero diverse: quale tipo di collegamento dovrebbe mai esserci tra la furia del cielo e quella della Terra? Esse non dovrebbero neppure essere, da un punto di vista logico, direttamente collegate… In quel caso, comunque, il temporale riprese dopo esattamente tre settimane. Mentre nel 2010, la popolazione locale rimase sulle spine per un tempo molto più lungo, esteso da gennaio a marzo di quell’anno. Sul motivo della lunga eclissi, non ci sono dubbi di sorta: la cessazione del fenomeno ebbe modo di corrispondere ad un periodo di siccità locale, dovuta al passaggio dell’oscillazione periodica del clima dei Mari del Sud dalla situazione calda ed umida del Niño a quella (relativamente) fredda e ben più secca della Niña. Al ritorno della tempesta sembrò dunque, per la prima volta in modo inoppugnabile, che per lo meno l’umidità dei venti giochi una parte importante nella sua impietosa cadenza giornaliera. Mentre il sentimento più diffuso al suo ritorno, come potrete facilmente intuire, fu di un notevole senso di sollievo.
Il che dimostra, ancora una volta, un aspetto fondamentale del carattere umano: che ci si abitua a tutto, anche al frastuono senza fine. E persino la furia degli elementi, alla fine, se perfettamente regolare e concentrata in un solo luogo, tende a diventare l’equivalente di una piacevole ninna-nanna per tutti noi. Finché per gli uomini e le donne, religiosi o meno, il tuono e il fulmine vengono accolti come spiriti di un passato che resta a noi molto vicino. Mentre è il silenzio degli elementi, nel contesto della loro fondamentale indifferenza, a far montare la spiacevole marea del disagio.
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