La trasferta lavorativa è faticosa. Per certi versi, addirittura innaturale. Perché ti pone in un limbo intermedio, tra lo svago e la tua professione, durante il quale non rispondi ad alcuna delle tue necessità. La sveglia che suona troppo presto, un rapido caffè, una corsa in bagno per lavarsi i denti. La scelta dei vestiti e poi, col freddo del mattino che ti entra nelle ossa, la discesa fino al luogo in cui si trova l’auto, coi vetri che si appannano per il gradiente di temperatura. Un gran sospiro, il mezzo giro della chiave, ed il ricordo di quell’entusiasmo ormai perduto: “QUESTO è ciò che voglio fare. 30, 40 Km da casa? Dopo una settimana o due, mi sembreranno la metà. Quindi molto presto smetterò persino di pensarci!” È una cosa fantastica, la mente umana. Perché assume nuovi ritmi sulla base delle tue necessità. Ma dalla ripetizione può nascere la noia. Ed a quel punto è il corpo, a risentirne. Sono certo che in molti l’abbiano provata, quella sensazione di essere un navigatore dello spazio siderale. Che al principio di ogni giorno, nella sua cabina di comando, supera Marte, Giove, Saturno, verso la luna di Titania, alla ricerca dell’ufficio che orbita il pianeta Urano. Perché fuori dalla tua cabina non c’è nulla, meno che mai l’ossigeno, e ogni altro veicolo è un nemico alieno sul semaforo, che tenta di rallentarti in qualche modo. Certo, a tutto ci si abitua. Ma quel tutto, successivamente, non può che avere un prezzo. I cui interessi, da quel giorno fino alla pensione (se sei molto fortunato) bene o male pagherai. A meno che…
È la fondamentale verità che un giorno riuscirai a far emergere dalla foschia del tempo, se sarai davvero fortunato: mentre ti sposti da casa a lavoro, è la solitudine il tuo segno zodiacale. Più completamente ed assolutamente di quanto ti sia mai capitato nell’intera vita passata, presente e futura. E anche se dovrai guidare, per il resto, sarai LIBERO dagli altrui preconcetti, ASSOLTO dai problemi, leggero, leggiadro, aerodinamico. Con coda rigida e un bel paio di alettoni. Con la cloche meccanica e una generica strumentazione di base. Come Frantisek Hadrava, l’operaio di una fabbrica metallurgica della Repubblica Ceca, che lavorando presso il comune di Zdikov, ma vivendo in aperta campagna, doveva ogni giorno percorrere una strada lunga 16 Km, richiedente un tempo approssimativo di 14 minuti. Non proprio lunghissima, diciamo la verità. Ma si sa che la sofferenza interiore, come il dolore fisico, è del tutto soggettiva. Così non sarebbe meglio, forse, mettercene solo la metà? Fast-forward un paio di anni. L’uomo esce di casa, per la prima volta da parecchio tempo, col sorriso. Il Sole è alto in cielo, le nubi rade e l’aria limpida più di quanto sembri esserlo stato da generazioni. Hadrava apre la porta della sua rimessa e tira fuori Vampira. Questo il nome del velivolo in questione, in grado di raggiungere i 146 Km/h consumando 6 soli litri di carburante l’ora. Il tutto con un costo dichiarato di appena 3.700 euro.
Legno sopratutto. Qualche parte in alluminio. Il duro acciaio del motore radiale, commercializzato dalla Verner, azienda cecoslovacca fondata nel 1993. Mentre la carlinga dell’aereo pare, sotto tutti gli aspetti rilevanti, un prodotto dell’azienda statunitense Mini-Max, specializzata nella produzione di ultraleggeri a motore con controllo a tre assi (ovvero a tutti gli effetti, aerei da turismo in miniatura). Questo sembra ma in effetti non lo è: tutto ciò che vedete, qui, è stato prodotto in casa dal solo ed unico pilota. E se questa non è una vera garanzia di qualità… Ascolta: dopo tutto, è tanto folle come idea? Ci affidiamo ogni giorno, come autisti ma anche in qualità di passeggeri del trasporto pubblico, all’opera di grandi compagnie, che dalle loro catene di montaggio sfornano una quantità suprema di veicoli. Pur essendo composte, innegabilmente, da esseri umani. Perché mai uno soltanto di noi, con un tempo a lungo termine a disposizione, non dovrebbe riuscire a garantire lo stesso livello di qualità? Considerate pure, che non stiamo certo parlando di un assoluto principiante del settore, anzi…
Basta infatti andare un po’ più a fondo nella storia personale di Frantisek Hadrava, seguendo il filo dei molti articoli scritti su di lui nei siti dei giornali internazionali sul finire di agosto 2016, per scoprire che il Vampira non costituisce affatto il suo primo aeroplano autocostruito. Egli aveva infatti, nel 2014, messo assieme una fedele replica di uno dei velivoli più iconici del mondo, niente meno che il Fokker Dr.I, triplano risalente all’epoca della prima guerra mondiale. Reso celebre da niente meno che lui, Manfred von Richthofen, il temuto Barone Rosso che morì a soli 26 anni nel 1918, dopo aver abbattuto 80 aerei decollati da piste nemiche, un risultato che sarebbe rimasto insuperato per quasi 50 anni, con gli spaventosi risultati conseguiti durante il secondo conflitto mondiale da parte dell’altro tedesco Erich Hartmann, detto il Diavolo Nero. Ma il più celebre sarebbe rimasto l’insigne predecessore degli albori dell’aeronautica, venendo per di più associato nella cultura popolare a questo insolito aeroplano, nonostante lui l’avesse pilotato unicamente verso l’ultima parte della carriera. Mentre per molto più tempo si era affidato di preferenza agli Albatros, la serie dei prevedibili biplani usati in maggior numero dalle forze aeree dell’allora neonata Luftwaffe. Mentre diciamolo chiaramente, per usare un simile velivolo, specialmente oggi, ci vuole coraggio. I Fokker erano e restano infatti aerei estremamente instabili, con problemi di vibrazioni delle ali e dei controlli. Inoltre, cosa non da poco, tendevano a cappottarsi in fase di atterraggio, catapultando in avanti il pilota nel suo abitacolo particolarmente stretto, per portare spesso a lesioni piuttosto gravi. Lo stesso Richthofen, in effetti, si rifiutò di volare con il triplano finché questo non fu migliorato con l’aggiunta di un rinforzo e una zavorra per le ali. Poi una volta incorporate tali modifiche, diventò un maestro nello sfruttare la sua capacità di virata estremamente stretta, in grado di cogliere di sorpresa anche i più abili avversari.
Perciò, è una pura e semplice realtà, in quel caso non stavamo esattamente parlando dell’equivalente volante di un’utilitaria, quanto piuttosto di un pezzo di ricostruzione storica fine a se stesso, del tutto inadatto all’uso quotidiano. Ma non è difficile immaginare l’autore, tra un volo di prova e l’altro, che concepisce l’idea per aumentare il tempo da dedicare alle sue passioni…
Come sempre capita, le critiche online non si sono fatte aspettare. Il più diffuso dei commenti, oggettivamente difficile da screditare, è che il tempo che Hadrava impiega per il controllo pre-volo, l’atterraggio ed il trascinamento manuale del veicolo (dal peso di poco superiore ai 200 Kg) dal campo di fronte l’azienda al parcheggio superi molto facilmente i 7 minuti “risparmiati” sull’arrivo. Altrettanto pregna, è l’osservazione di come l’aeromobile, una volta posizionato, con le sue ali finisca per occupare facilmente 3 o 4 posti auto, causando non pochi problemi agli incolpevoli colleghi. Almeno in questo caso, tuttavia, presumo che i critici non abbiano mai lavorato in una fabbrica durante un periodo di recessione: conoscendo gli ampi spazi vuoti, dentro e fuori, coi piazzali che diventano l’approssimazione ragionevole di una reale pista di atterraggio!
Ma il punto fondamentale resta questo: esiste una sola persona a questo mondo, che pensa che il trascorrere del tempo sia un fattore oggettivo? Lo stesso Einstein, per illustrare la relatività (oggi non più una teoria) scherzò famosamente sul fatto che 10 minuti trascorsi a parlare con una ragazza sembrassero, il 100% delle volte, molto più brevi che lo stesso tempo trascorso seduti sopra una stufa bollente. E diciamoci la verità: andare al lavoro volando? Roba da farti desiderare che quei 7 minuti non trascorrano MAI. Quindi se c’è la capacità, la possibilità, se si è disposti a correre il rischio (anche soltanto di restare bloccati lì nel caso si alzi il vento verso l’ora di tornare indietro) se c’è lo spazio nel parcheggio…Sarebbe assurdo rinunciare all’opportunità. I costi, dopo tutto, non sono eccessivamente proibitivi: anche gli originali Mini-Max americani, quando comprati in kit da montare, non costano tanto più di 5/6.000 dollari, motore escluso.
Per il futuro, Hadrava ha già in mente un terzo progetto: la costruzione di una replica del Deperdussin Monocoque, il celebre aereo da competizione francese del 1910 progettato da Louis Béchereau. Il quale, considerata la velocità massima di ben 210 Km/h, potrebbe concedergli l’opportunità di risparmiare un altro paio di minuti…