In quel giorno memorabile fu chiaro a tutti fin da subito che c’era stato un forte vento, tra le fronzute recinzioni della Base di Ricerca di Chengdu per l’Accoppiamento dei Panda (BDRCPLAP?) O in altri termini, che stava per giungere un tifone, carico di nubi delle alterne circostanze. Perché ogni drammatica volta, in ciascun singolo caso, in cui le foglie secche finivano nell’area riservata agli animali, a ciò faceva seguito un’astrusa e incomprensibile battaglia. Con Mei, la responsabile di questo particolare aspetto della loro custodia, che scendeva nell’arena in mezzo ai suoi adorabili protetti, due giovani esemplari di Ailuropoda melanoleuca, localmente detti “orsi-gatto giganti” (dàxióngmāo) oppure “orsi del bambù” (zhúxióng) con lo stesso recipiente usato per portargli il loro vegetale preferito, con la scopa e un grosso portarifiuti di metallo e poi tentare, strenuamente, di rettificare il senso di disordine che da fastidio al capo dell’istituto, ai colleghi guardiani, al gruppo dei visitatori. Da fastidio a tutti, tranne a loro. I panda. Che dinnanzi alle montagne che si stagliano sull’orizzonte, suggestione di una vita libera che non faranno mai, sembrano quasi aver giurato l’uno all’altro: “Io, mi divertirò tutto il possibile, finché sarò in possesso dei miei giorni migliori. E tu? E tu?” Ciò che segue è ormai leggenda, nell’ambiente professionale degli ammaestratori di panda, così come tra gli osservatori da lontano, passanti casuali del vasto e labirintico catalogo dei video con i cuccioli sul web. Immaginate per comparazione uno scoiattolo, che tenti di radunare tre ghiande in un prato mentre un passero le becca per sentirne l’ottimo sapore. Il roditore riuscirà a ad avvicinarne un paio, per poterle poi nascondere fino alla fine dell’inverno. Poi si affretterà verso la terza, spostata via da un colpo dell’uccello dispettoso. Ma recuperata quella, con suo sommo dispiacere, scoprirà che lo stesso fato è ormai toccato alle altre due, finite a una distanza di diverse paia di decine di centimetri, costringendolo a ripetere tutto da capo. E così via.
In questi giorni in cui il futuro dei panda giganti appare più lungo e prosperoso che mai, visto l’aumento di popolazione consentito dallo sforzo di installazioni come quella di Chengdu, torna nuovamente attuale un chiarimento relativo a questo animale così giustamente amato, di cui quasi nessuno, tuttavia, conosce le reali specifiche comportamentali: se fossimo persone completamente insensibili, potremmo affermare che il più celebrato orso della Cina sia a tutti gli effetti un rompiscatole viziato. Ma la giusta maniera per esprimersi in materia, perché valida a comprendere il fondamentale nesso dell’intera questione, è che in gioventù esso possiede in se un’incommensurabile desiderio di comprendere e capire il mondo. Il che significa, esattamente come accade per noi umani, giocare. Facendo fruttare gli strumenti di cui l’evoluzione l’ha dotato, tra cui l’osso sesamoide attaccato ai tendini di ciascuna zampa, ingrossato per svolgere in qualche misura le funzioni di un vero e proprio pollice, con la funzionalità teorica di agguantare i germogli di bambù. Ma che funziona altrettanto bene per afferrare il bordo di una cesta di fibre intrecciate, come pure il manico di una scopa e i portarifiuti. Così, prima ghianda: la guardiana sorride, stacca l’orsacchiotto dal recipiente, mentre nel frattempo un altro gli si aggrappa ad un gamba. Seconda ghianda: Mei sorride, spinge via quel malandrino, mentre già il fratello sta agguantando gli altri attrezzi, con l’unica finalità apparente di gettarli a terra. Terza ghianda: Mei sorride, sconsolata. Ma come chi lavora con i panda già saprà molto bene, tutto questo non è ancora nulla, rispetto a quello che può far succedere il più amato dei divoratori seriali di piante…
Siamo abituati a considerare il panda gigante come un erbivoro, primariamente in forza della sua sofisticata dentatura, in grado di sminuzzare qualsiasi parte del bambù con una pressione misurata sui 2603,47 newton, ovvero cinque volte quella di un umano. Per poi metabolizzarla grazie ai particolari batteri presenti nel suo stomaco. Mentre la realtà è che stiamo parlando, a tutti effetti, di un animale onnivoro che preferisce la verdura. Ma può altrettanto facilmente decidere di nutrirsi, in determinate occasioni o in periodi di scarsità, anche di topi ed altri piccoli mammiferi, che agguanta con colpo rapido delle sue affabili manone. Persino l’eventualità di attacchi ai danni degli umani non è totalmente priva di documentazioni. Forse anche per questo, quando il panda quasi adulto si mette in testa qualche cosa, nessuno può (oppure osa) resistergli, e dopo qualche bonario tentativo di fargli cambiare idea, lo lascia sperimentare le conseguenze della sua follia. Come si dice: “Sei grande e grosso…”
Vedi ad esempio questo secondo video, proveniente dallo zoo giapponese di Adventure Park, presso la cittadina di Shirayama, nel meridione della grande isola di Honshu. La situazione è indubbiamente strana, o quanto meno inusuale: due impiegate del parco, riconoscibili dal cappellino di ordinanza con la testa di panda, sono apparentemente intente a persuadere il loro protetto a non rotolare già da un declivio nella loro recinzione, finendo all’interno di un generoso canale di scolo. Operazione purtroppo fallita, ed a cui deve fare seguito un faticoso, ma indubbiamente necessario tentativo di recupero; da là sotto, il panda non riusciva a vederlo quasi nessuno. Ciò avrebbe fatto calare gli incassi dello zoo di almeno il 70/80%. Sarebbe lecito chiedersi, a questo punto, cosa ci faccia un panda, animale notoriamente cinese, tra i confini di un paese che non gode esattamente di una reciproca stima con quest’ultima. La situazione è in realtà altamente motivata: a partire dalla metà degli anni ’70 infatti, la Repubblica Popolare Cinese è stata l’unica praticante di un approccio assai particolare alla diplomazia, inviando panda in dono a molti dei paesi con cui aveva contenziosi in sospeso, come una sorta di compensazione simbolica, nonché utile allo scopo di fondo: assicurare la salvezza di questo magnifico animale, trasformatosi nel simbolo del paese stesso. Il panda è infatti un fossile vivente (ultimo rappresentante di un particolare clade, o ramo dell’albero dell’evoluzione) ed una specie ormai completamente dipendente dallo sforzo di conservazione umano, a seguito della drastica riduzione del suo ambiente naturale. Ciò significa che spedirne alcuni esemplari in giro per il mondo, fino al totale attuale che attualmente è situato ben oltre i 40, può aumentare le probabilità di un accoppiamento ben riuscito, oltre a garantire la fondamentale diversificazione del codice genetico degli animali.
Celebre è del resto la questione, relativa a quanto effettivamente complesso sia far riprodurre i panda giganti in cattività. Con la femmina che va in calore soltanto una volta l’anno, tra marzo e maggio, per un periodo esatto di due o tre giorni. E il maschio che in cattività perde ogni istinto alla riproduzione, necessitando l’impiego del sildenafil, la sostanza nota con il nome commerciale di Viagra. Soluzione che si è rivelata estremamente vincente visto il rateo di riproduzione raggiunto nei tempi odierne, che prevede la nascita di un cucciolo per coppia fertile ogni due anni: può sembrare poco, ma considerate che è pari a quella dell’orso nero americano. Anche se di quelli, ce ne sono molti, MOLTI di più.
Il fatto è che i panda, sotto molti punti di vista, sembrano impiegare soluzioni di sopravvivenza tutt’altro che efficienti: la loro stessa dieta primaria, che prevede l’assunzione quasi esclusiva del bambù, li porta a doversi nutrire di continuo, data la scarsa capacità nutritiva di questa pianta. Si stima che un panda adulto debba mangiarne fino a 14 Kg in un solo giorno! Inoltre, come è noto, il vegetale in questione presenta la caratteristica di un ciclo di fioritura e riproduzione lunghissimo, ma perfettamente sincronizzato e regolare, che potrebbe lasciare i panda totalmente privi di cibo in particolari periodi situati a distanza di decine d’anni. Proprio per questo, gli adorabili ursidi bianchi e neri devono necessariamente vivere in luoghi in cui sono presenti almeno due specie differenti di bambù. Il che ha portato gli esemplari selvatici rimasti, negli ultimi anni, a ritirarsi sempre più verso le alture dei picchi montani in cui vivono da sempre, per sfuggire agli effetti del disboscamento umano. Ma dei recenti studi effettuati sul DNA, riportati anche dall’Enciclopedia Britannica, hanno dimostrato come la popolazione di questi animali possa essere stata sottovalutata in precedenza con la stima tradizionale dei 1.000 individui, mentre a quanto pare ce ne sono anche tre volte tanti.
Il paleontologo ed evoluzionista statunitense Stephen Jay Gould (1941-2002) affermò nel suo famoso saggio Il pollice del panda (1980) che non esista a questo mondo una migliore prova dell’evoluzione, che le imperfette condizioni di alcune specie che occupano il nostro stesso pianeta. Come esemplificato dalla condizione dell’adorabile orso a macchie, che pur richiedendo un dito opponibile per afferrare il cibo non è mai riuscito a procurarselo. Mentre per il resto, risulta tanto specializzato anche in maniera illogica, da poter sopravvivere soltanto in determinate condizioni ambientali, climatiche e situazionali. Questo perché la natura, a quanto ci è dato di capire, non pianifica. Mentre se davvero c’è una mente che agisce per un fondamentale ed universale bene dell’universo, questa dovrà necessariamente farlo per vie misteriose. Il che, dal punto di vista funzionale ed effettivo, è esattamente la stessa cosa.
Ma finché le foglie continueranno a cadere nel recinto dei cuccioli di panda, qualcuno dovrà pur andare a mettere ordine in un tale caos. Percorrendo la Via, e la verità fondamentale, di chi apprezza ciò che è infuso di una grazia trascendente. Non è forse questo, dopo tutto, l’amore?