C’è stato un tempo, cronologicamente non molto lontano, in cui far percorrere le proprie strade dalle auto-telecamere di una multinazionale sarebbe sembrato un qualche cosa d’indesiderabile, persino svantaggioso. Quando le persone ancora non pensavano “Venite, tanto non ho nulla da nascondere.” Oppure: “Niente di ciò che faccio è inappropriato. Sono un perfetto ingranaggio del sistema del consumo.” Ma cose lievemente irregolari, tipo: “Mia moglie è fuori casa, posso trattenermi qualche ora di più al bar… Mmmh, sarà meglio fermarmi a comprare del tabacco per la pipa. Chissà se servono la carne di cavallo dietro casa? O di balena?” Era meglio? Era peggio? Era (gosh!) praticamente uguale?! Non scherziamo, gente. Ora che siamo lanciati a un folle ritmo verso la superficie del pianeta del Futuro, se spegniamo momentaneamente i retrorazzi e ci affacciamo dall’oblò, quello che scorgiamo è solamente la grigia Terra in fiamme e quel che è stato, mentre l’unica speranza è diventata andare avanti, nel profondo di un cielo assurdamente blu. E rosso. E giallo. E verde. Come il variopinto logo che campeggia innanzi al Sole del motore di ricerca più celebrato ed amato al mondo. Secondo i dati espressamente forniti dal motore di ricerca più celebrato ed amato al mondo. Google che prolifera, Google che ogni cosa vede, Google che determina, coi suoi algoritmi misteriosi (decisioni prese con la logica? Per carità!) l’importanza della gente e delle cose. E dei luoghi, verdeggianti come questo: lo splendido paese sito nel bel mezzo dell’Atlantico, tra Scozia, Norvegia e Islanda. Un rifugio assai remoto, dalle rotte e ahimé, anche dal pensiero dei turisti potenziali. Il che è…Un gran peccato…Non c’è che…Dire. Se si dice quanto segue, tuttavia, dev’esserci un perché: la speranza è l’ultima a morire. Mentre gli eroi conoscono le vie segrete del destino, chiedetelo agli esploratori dell’epoca del gran vichingo Harald “Bluetooth” Gormsson. Persone come Durita Dahl Andreassen, ragazza dei nostri tempi, informatica ed attrice che lavora presso l’ente turistico Visit Faroe Islands, la quale aveva ben pensato, verso l’inizio del maggio scorso, di iniziare chiamare a gran voce l’inclusione del suo paese nel servizio di mappe con foto a 360° più famoso in assoluto, un moderno caposaldo del web, impiegando formule del tipo: “Questo paese è splendido, tutti dovrebbero vederlo!” Oppure: “Perché mai dobbiamo sempre essere l’ultimo remo del drakkar?” [disclaimer: la seconda è una parafrasi spirituale]. Per poi passare a vie di fatto veramente… Interessanti, esemplificate dal piazzare telecamere con cellulari, pannelli solari e GPS su alcune delle pecore della sua beneamata isola di Streymoy, e lasciarle andare in giro a fare quanto di dovuto. Perché pensava, e così ci era stato delineato, che iniziando a fare noi qualche fotografia ruotabile da caricare sul portale, certamente prima o poi la G ci noterà. Non per niente Fær Øer significa, in lingua norrena, esattamente questo: isole delle pecore, senpai.
Noi ci avevamo creduto? Chi può dirlo. Molti fra tutti, è probabile, se n’erano dimenticati. Eppure c’era questo senso di fondo, remoto ma insistente, che l’idea fosse partita da un meritevole sentire. E che se c’era ancora un solo grammo di giustizia in questo vasto oceano, prima o poi, i colleghi d’oltreoceano avrebbero risposto all’appassionato richiamo! Cosa che, il 31 agosto esatto del 2016, si è puntualmente verificata sull’onda di quel profondo sentimento d’amicizia, d’entusiasmo e reciproca stima che corrobora il co-marketing di qualsivoglia tipo. A partire dall’atterraggio di un baldo giovane, con il destriero bimotore di un pesante jet di linea (niente meno poteva bastare) che sceso dal portellone ha salutato Durita come Cristoforo Colombo alla scoperta delle Americhe, porgendogli l’offerta di un solenne uovo in plastica, metallo e vetro. L’unica vera e sola, insostituibile, ormai quasi leggendaria, “sfera di cattura” stradale, ovvero l’apparato necessario per mappare, finalmente, le Isole Faroe. Ed a quel punto…
Ma no, torniamo per un attimo più indietro. Non è che quanto realizzato fino ad ora, sia destinato a finire nel dimenticatoio, anzi! Quello fin qui citato è infatti soltanto il più recente capitolo di questa storia, visto come, ancora nel momento in cui scrivo, spostando Google Maps sulle Isole Faroe, tutto ciò che troviamo sono le foto realizzate dalle pecore di Durita, ovvero Tjornuvik, Hosvik, Dour, Kaldbaksbotnur, Sydradalur e Baaa-bra, l’ultima arrivata che ha ricevuto il nome tramite una competizione sul web, con in palio proprio un itinerario turistico verso questa terra di opportunità naturalistiche di grande rilevanza. In cui tutti sono ben voluti, purché tornino indietro in tempi ragionevoli; per ottenere un visto di soggiorno, infatti, occorre svolgere mansioni di ricerca o professioni giudicate necessarie dal governo indipendente, che soltanto in parte risponde alle direttive della nazione protettrice di Danimarca.
Mentre qualche panorama, ovviamente, non è che la punta di un iceberg che sprofonda tra le onde di un oceano di scoperte. La stessa Durita, per dare una dimensione più profonda alla sua opera, ha realizzato alcune sequenze ruotabili a 360° mediante l’impiego di videocamere Theta S, nell’attesa di ricevere da Google l’assistenza richiesta a più riprese. È interessante notare come, nell’impiego di un sistema simile di documentazione, diventi potenzialmente indispensabile lasciare che le pecore vaghino con ragionevole indipendenza. La presenza di un accompagnatore umano a pochi metri dalla pecora, infatti, diventerebbe un peso ben visibile sull’atmosfera, venendo inevitabilmente inquadrato nella scena. Così l’autrice aveva scelto una soluzione di compromesso, con una lunga corda facente funzioni di guinzaglio, mentre lei correva dietro al quadrupede cercando di restare bassa sul terreno. Non che gli sia riuscito (era impossibile) di nascondere del tutto la sua presenza, che tuttavia si è rivelata assolutamente necessaria nei diversi casi, purtroppo a quanto pare inevitabili, in cui la telecamera si è staccata dall’apparato ed è caduta a terra. In un altro caso, Durita ha scelto di montare lo stesso dispositivo su una delle imbarcazioni che fanno il giro turistico dell’isola, ottenendo alcune riprese marine dal notevole grado di fascino potenziale, benché rovinate almeno in parte dalla bassa risoluzione su cui poteva fare affidamento. Ma i piccoli incidenti di percorso, a questo punto, sono privi di significato. Per quella che è diventata una campagna pubblicitaria dal successo internazionale, il cui valore su carta è stato stimato, da un punto di vista puramente teorico, attorno ai 30-35 milioni di dollari. Ma la realtà è che ci sono cose che non possono essere comprate. Come la spontaneità.
Vedi l’esempio di una campagna pubblicitaria stranamente simile a quella delle Isole Faroe nonché partita attorno allo stesso periodo, messa in atto dalla Norvegia, dal titolo decisamente più “professionale” di #Sheepwithaview (hashtag: pecoraconvista). Il cui concetto di base, relativo all’inviare un gruppo di cinque pecore in diverse location di uno dei paesi più famosi del grande Nord, è talmente simile a quello di Durita da far sospettare che una parte abbia copiato l’altra. Faccenda in merito alla quale assolutamente non mi pronuncio, anche perché è oggettivamente difficile comprendere chi si sia tradito per primo annunciando pubblicamente la sua iniziativa. Poi del resto, le invenzioni in parallelo restano pur sempre possibili: la storia della scienza ne è letteralmente costellata. L’impostazione in questo caso è tra l’altro molto differente: sparito è il richiamo spontaneo della ragazza con l’accento particolare, totalmente assente la modestia quasi comica con cui si ammette la propria carenza di mezzi e metodologie alternative. Qui tutto è attentamente calibrato, persino spettacolare: alta definizione, riprese impeccabili, filtri video ed HDR in post-processing degni di un film supereroistico della Marvel. A ciascun animale è stato assegnato addirittura un improbabile ruolo, con la pecora Erik che ama navigare a vela tra le isole meridionali, Heidi (ma quelle non erano caprette?) che gira per musei nelle grandi città, mentre Frida, l’avventuriera, preferisce le escursioni in mezzo alla natura… C’è addirittura Kari, la “pecora da spiaggia” per cui il massimo della vita è osservare da lontano, sdraiata sotto il sole, i ragazzi attraenti che si tuffano per praticare il surf (!!) Non è chiaro esattamente quale sia il tipo di reazione che simili dati dovrebbero suscitare in noi. Forse un latente senso d’identificazione con l’ovino nascosto nel profondo del nostro cuore? Forse il Pascoli potrebbe aiutarci.
Il turismo, sotto ogni punto di vista, è importante. Ed un paese dei tempi moderni che voglia essere pienamente soddisfatto della sua economia, semplicemente, non può farne in alcun modo a meno. Proprio per questo, tutti devono sfruttare quel che hanno. Nell’ambito delle attrazioni, e soprattutto, delle idee. L’originalità non serve a nulla, se tutto il gregge ti supera per transitare altrove. Almeno questo, le pecore (più o meno digitali) lo sanno MOLTO bene.