Fu il tipico problema di chi “vede le cose dall’alto” sperando di acquisire un valido quadro d’insieme del problema. Quando in realtà, più ti trovi lontano da un oggetto, meno è semplice capirne l’uso. Anche dalla prospettiva chiarificatrice per antonomasia, il volo dell’uccello spaziale. Erano gli anni tra il 1965 ed il ’70 quando i nuovi satelliti spia statunitensi, meri prodotti collaterali dell’obiettivo appena conseguito di arrivare sulla Luna, fotografarono presso una stazione di ricerca sul Mar Caspio un enorme mezzo di trasporto, che definire strano sarebbe stato estremamente riduttivo. L’apparecchio con la forma simile a un aereo, dotato di otto possenti motori montati parallelamente al muso ed altri due sul retro, lasciò gli addetti all’elaborazione delle immagini del tutto basiti. Perché aveva un peso stimato attorno alle 500 tonnellate ed era lungo 92 metri, ovvero poco meno di un campo da football… Quella fondamentale unità di misura statunitense! Eppure, ed è questo il fondamentale nocciolo della questione, le sue ali misuravano appena 37 metri dai rispettivi estremi, risultando quindi palesemente insufficienti a sostenere in volo la massa di un simile gigante. Si pensò, in un primo momento, che si trattasse di un prototipo da completare con ulteriori componenti. Vennero tentate alcune simulazioni, con l’assistenza dei migliori ingegneri disponibili nel blocco occidentale. Ma nonostante l’impegno collettivo, non ci fu alcun modo per simularne prestazioni efficaci in volo. I tentativi di comprenderne il significato, quindi, furono rimandati verso data da destinarsi. Non poteva andare in nessun altro modo. Perché l’ekranoplano, che in seguito sarebbe diventato celebre col nome di “Mostro del Mar Caspio” non era in realtà fatto per staccarsi granché da terra, bensì per navigare sull’acqua, esattamente come una nave. Simile ad essa, in tutto tranne che nella velocità massima: circa 500 Km/h.
Fu un grande e terribile sogno, la possibile risoluzione di un dilemma che in quella generazione militare e politica veniva assai sentito. Come mai avrebbe potuto, una superpotenza moderna, far sbarcare le sue truppe sulle coste della rivale, senza che quest’ultima intercettasse la flotta avvistata con largo anticipo grazie ai satelliti, o bersagliasse con l’assistenza dei radar qualsivoglia aereo da trasporto? Ecco… Il premier Nikita Chruščëv aveva conosciuto, soltanto pochi anni prima, un ingegnere in grado di vendergli l’idea: dozzine, centinaia di carlinghe metalliche iper-veloci, troppo basse sopra la superficie marina per essere rilevate, ciascuna ricolma di dozzine di fieri soldati dell’Armata. Nessuno avrebbe mai potuto contrastare un simile piano d’attacco, se mai esso si fosse rivelato necessario. E come è noto, niente attirava i fondi sovietici più che un apparecchio dal possibile impiego militare. Il dado, quindi, fu tratto. E il mostro si sarebbe risvegliato.
Ma chi era, in effetti, Rostislav Alexeyev? Un tecnico, uno studioso, un appassionato di sport e di volo, celebre per i suoi esperimenti nell’ambito degli aliscafi. Nato a Novozybkov nel 1916 (e quindi all’epoca già quasi cinquantenne) con una notevole capacità di fare il punto sulle situazioni troppo spesso date per scontate. Tanto da riuscire, lui per primo, a comprendere le implicazioni più potenzialmente utili del cosiddetto effetto suolo, ovvero la condizione degli aerei in fase d’atterraggio che sviluppano un’irresistibile tendenza a galleggiare nell’aria, costringendo il pilota a contrastarla con tutte le sue forze, pena il rischio di andare lungo, dovendosi staccare nuovamente dal suolo. O altrettanto facilmente, schiantarsi contro una struttura estremamente inopportuna…
Nota: Il video di apertura non mostra il KM, che finì inabissato per un errore umano nel 1980 e fu giudicato irrecuperabile, ma il Lun, un ekranoplano simile e successivo tutt’ora custodito presso il porto di Kaspiysk. Il mezzo è perfettamente visibile da Google Earth.
Probabilmente ne avrete già sentito parlare: quando una superficie laminare genera portanza, grazie al flusso dell’aria che essa devia verso il basso, nell’estremità di essa vengono a crearsi alcuni vortici, che riducono sensibilmente la resistenza e quindi aumentano l’efficienza inevitabile delle ali. Inoltre il flusso atmosferico compresso, che viene a trovarsi negli ultimi minuti di un comune volo proprio sotto la carlinga, genera una sorta di cuscino d’aria, dal funzionamento non troppo diverso da quello di un hovercraft. Ciò che Alexeyev, ufficiale del dipartimento ingegneristico di stato, ebbe la capacità di concepire, fu dunque un sostanziale aereo in costante fase di atterraggio (o decollo che dir si voglia) in grado di sfrecciare a gran velocità consumando una quantità di carburante trascurabile rispetto alle comuni alternative, purché rimanesse ad un altitudine tra i 5 e i 10 metri. Esso fu definito ekranoplano, dalla parole экран – schermo e план- aereo) con riferimento alla sua capacità di creare uno “schermo” d’aria grazie al quale proseguire fluttuando verso l’obiettivo. In pochi anni, la versione più massiccia dell’eclettico velivolo, chiamata in patria solamente KM (Корабль-макет, scafo sperimentale) sarebbe stata finalmente vista dagli americani…
Il KM era stato concepito come mezzo di trasporto sui lunghi tragitti e potenziale soccorso in situazioni d’emergenza. Pur essendo ufficialmente integrato nella marina, perché in effetti farlo volare sopra la terra ferma alla sua quota risibile sarebbe stato orribilmente pericoloso, i piloti incaricati di effettuare i test venivano tutti dall’aeronautica, donando al mezzo un eclettismo amministrativo che andava di pari passo con la sua funzionalità mista, a metà tra quella di un hovercraft ed un trasporto volante. Il mezzo fu inaugurato, per la cronaca, con il lancio della bottiglia, perché la sua immagine fosse associata a quella di un’imbarcazione. Alexeyev e Chruščëv, che a quanto si narra erano veri e propri spiriti affini, furono subito entusiasti delle funzionalità del loro prototipo, ed insieme decisero di ampliare i fondi ad esso dedicati. E fu così che si giunse, nel 1972, alla creazione molto più flessibile ed oggettivamente di maggior successo degli A-90 Orlyonok, ekranoplani dalle dimensioni di “soli” 58 metri e dotati, al posto dei 10 motori a reazione del mostro fin qui citato, di soli due turbofan per la fase di decollo e una turboelica nella parte posteriore da usarsi durante il tragitto, incidentalmente la più potente mai costruita fino ad allora. L’intera parte anteriore degli Orlyonok era montata su un sistema a cerniera, che permetteva di aprirne il muso lateralmente per uno sbarco rapido delle truppe sotto il fuoco nemico, o in alternativa utile a caricare sull’ekranoplano piccoli blindati ed altri mezzi militari di terra. Apparve chiaro, in quel momento, che se veramente l’idea doveva avere successo, non sarebbe avvenuto grazie a mostri spropositati come il KM, ma con dispositivi più agili e di facile impiego. Nonostante l’idea originaria fosse stata di produrne 120, alla fine ne furono messi in servizio soltanto 4, di cui uno subì nel 1974 un grave incidente, che gli avversari politici della classe al potere tentarono di sfruttare per screditare l’opera di Alexeyev.
Per un certo tempo, dunque, l’idea delle imbarcazioni-aereo venne accantonata, finché l’inasprirsi delle tensioni dovute alla guerra fredda non indusse il premier Leonìd Il’ìč Brèžnev, successore di Chruščëv, a richiamare l’ormai anziano ingegnere, affinché egli mettesse in opera un ulteriore dispositivo in aggiunta all’ampio catalogo dei bombardieri tattici già disponibili, che fosse in grado di raggiungere le coste americane in breve tempo e, qualora necessario, colpire l’entroterra con dei missili a testata nucleare. L’impressionante velivolo l’avete visto in apertura, e sarebbe stato il suo capolavoro: fu chiamato il Lun (falco).
L’ekranoplano, il cui peso ritornava ad oltre 400 mostruose tonnellate ma per ragioni totalmente differenti, era dotato di 8 turbogetti nella sua parte anteriore, ivi collocati affinché l’aria che essi spostassero finisse sotto la carlinga, amplificando così l’effetto suolo per far sollevare il titano da terra. La sua massiccia carlinga era stipata, questa volta, di armi: 6 lanciamissili anti-nave ad angolo fisso montati a coppie, in grado di scagliare la furia dell’atomo verso qualunque bersaglio sito a fino 250 Km di distanza. Il mezzo aveva un’autonomia di 3.000 Km, una velocità massima stimata di 550 Km/h e poteva restare in mare per ben 5 giorni. In caso di guerra atomica totale, dunque, avrebbe costituito un asset dalla notevole importanza strategica, se pure in quei frangenti fosse ancor esistito un comando centrale. L’idea piacque molto al governo sovietico, al punto che nel 1989, a seguito del tragico incidente del sottomarino nucleare K-278 Komsomolec (in cui morirono 42 persone) furono stanziati i fondi per la produzione di un secondo Lun, denominato Spasatel, che avrebbe avuto le funzionalità di soccorso marittimo e di un vero e proprio ospedale viaggiante. Ma il crollo dell’URSS nel 1992 pose immediatamente termine all’ambiziosa idea. Mentre l’alter-ego distruttivo del primo Lun, fortunatamente, non sarebbe mai stato usato, ed oggi giace coperto dalla ruggine dimenticato, presso una base militare sulle coste del Mar Caspio.
Perciò perché VOLARE, quando si può NAVIGARE, essenzialmente alla stessa identica velocità… Allontanarsi dal suolo che ci sostiene o l’acqua che ci nutre porta tutta una serie d’innegabili vantaggi, tra cui l’opportunità di assaporare il panorama! Ma se davvero si vuole massimizzare l’efficienza di uno spostamento da un luogo all’altro, non c’è davvero alcuna valida ragione per perseguire l’inutile elevazione perpendicolare. Da qualche parte, in fondo al Caspio, giace ancora il relitto del mostro più grande che quel Mare abbia mai conosciuto. Prima o poi, potremmo essere proprio noi a risvegliarlo!?
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