L’edificio è così alto da sembrare quasi sottile: un ago acuminato, che si erge dall’area del più grande parco residenziale e commerciale della città per dominare con la sua eleganza leggiadra gli altri già colossali titani, e gettare la sua ombra fin quasi alle propaggini delle sabbiose dune dell’omonimo emirato di Dubai. Ma niente potrebbe essere meno reale di questa prima impressione: con i 175 metri di larghezza alla sua base triangolare, che si stringono man mano che si sale secondo i canoni di un’antica progressione architettonica del Medio Oriente, il Burj Khalifa (Torre del Califfo) pesa all’incirca 450.000 tonnellate, di cui la decima parte è costituita già soltanto dalle impressionanti fondamenta con 192 pali indistruttibili piantati per 50 metri nel terreno, completi di trattamento chimico per contrastare la corrosione. Ma è soltanto a 829 metri d’altezza dal suolo, ove svetta la famosa sommità appuntita del palazzo, che si compie la vera magia. Paracadutisti, maestri della tuta alare, uomini razzo, scalatori pazzi, Tom Cruise precariamente in equilibrio per girare l’ennesimo film della serie Mission: Impossible… Sembra quasi, e perché mai non dovrebbe capitare, che la capacità di polarizzare gli sguardi posseduta dalla struttura più alta mai costruita dall’uomo (con ampio margine, sia chiaro!) sia pari solamente all’attrattiva che essa costituisce per chiunque abbia il desiderio stranamente comprensibile di mettere in pericolo la propria vita, lasciando iscritto il nome negli annali di coloro che hanno reso grandi questi luoghi. Ma forse il più scaltro a farlo negli ultimi anni tra i membri di un simile club esclusivo è stato proprio il celebre falconiere Jacques-Olivier Travers, tra i teorici dell’iniziativa del 2006 per la conservazione del patrimonio faunistico d’Europa denominata le Ali della Libertà, nonché proprietario del parco turistico Les Aigles du Léman, sito in Alta Savoia con più di 150 uccelli, spettacoli più volti al giorno e seminari divulgativi sui molti metodi per guadagnarsi la fiducia di un rapace. Furbo, perché invece di compiere l’impresa volante di persona, fin lassù ci si è fatto trasportare assieme all’aquila imperiale Darshan, poco dopo avergli legato sopra una videocamera del peso approssimativo di 300 grammi, la Sony Action Cam Mini, ed essendosi premurato di aver chiuso l’animale dentro una scatola oscura, onde evitare spiacevoli incidenti ai danni propri e dei tecnici, addetti alla pulizia vetri/manutenzione del suo entourage d’occasione, per cui questa scalata non era altro che una pagina di vita quotidiana. Raggiunto l’apice più estremo, quindi, egli ha aperto il pacco e sollevato il braccio, per accogliere una delle ultime rappresentanti della specie Aquila heliaca, pronta a precipitarsi al suo comando dall’altezza di un record destinato ad entrare nel prestigioso libro del Guinness dei Primati: il più alto volo di un uccello mai registrato a partire da una struttura artificiale.
E che volo, gente, quale balzo memorabile nonché davvero straordinario! Grazie a Darshan che, pur essendo nato in cattività, ben conosce ormai il comportamento ed il flusso del vento, per planare con semplicità sopra ogni transitoria corrente ascensionale, prolungando il più possibile la durata dell’esperienza. Ed il merito? Tutto suo, di Travers, che ha saputo essere l’inventore, all’età di soli 24 anni, un nuovo metodo per addestrare questi animali, completamente diverso da quello precedentemente usato dello Hacking (togliere i piccoli dalle cure della madre, per poi farli crescere all’interno di nidi artificiali) Ovvero volare lui stesso, in prima persona, mediante l’impiego di varie tipologie d’ultraleggeri, assieme alle sue più amate beniamine. Confidando che il desiderio di stargli dietro, unito alle innate funzionalità dell’istinto, sarebbero bastate a suscitare lo spunto per un apprendimento più dinamico e naturale. Operazione che, almeno a giudicare dai suoi video reperibili online, sembrerebbe più che mai riuscita…
Osservate, ad ulteriore riprova di quanto appena affermato, quest’altra impresa del grande falconiere risalente alla fine del 2009, con protagonista stavolta l’aquila di mare testabianca (Haliaeetus leucocephalus) Sherkan, all’epoca in grado di costituire una delle sue conquiste, e traguardi d’addestramento, maggiormente significativi. L’impostazione particolare apparve fin da subito alle telecamere, mentre il protagonista umano, assieme ai suoi compagni per quell’occasione Bertrand Roche (guida alpina) e Cyril Constantin (pilota collaudatore) oltre ai fotografi Keno e Riethauser, si affollavano attorno a quello che poteva essere soltanto una cosa: la resistente stoffa di un paramotore, l’equivalente dotato di propulsore autonomo del tipico sistema usato per lanciarsi dalla sommità di una montagna. Parapendio quello, che non sarebbe certo bastato per compiere la lunga traversata di 20 Km, dalla sommità del Monte Bianco (4810 metri, il punto più alto d’Europa) fino alla località sciistica sulle Alpi Francesi a Chamonix, assieme a una creatura che pur non essendo selvatica, in simili straordinari luoghi poteva in qualsiasi momento percepire il richiamo irresistibile della natura. A tal punto, era degna di nota, la fiducia assoluta e reciproca tra l’uomo e l’animale. E valida, in almeno un paio di occasioni, a far sostare l’aquila sul braccio del suo padrone in volo, in almeno due casi in cui la sottigliezza dell’aria d’alta quota, vista l’elevazione di oltre 4.000 metri, stava facendo stancare le piumose ali, rischiando di richiedere una problematica sosta a terra. Finché alla fine, tra gli sguardi rapiti del pubblico in attesa, uomo ed aquila non atterrarono assieme dinnanzi alle vette dei Grandes Jorasses, in uno scroscio d’applausi spontaneo e fragoroso. Così fu chiaro in quel momento, se non prima, che la scommessa era stata vinta, e le aquile potevano imparare il volo dagli umani. Per poi convivere con loro, alla pari.
Non che un simile traguardo sia stato raggiunto senza qualche incidente di percorso. A luglio di quello stesso anno, infatti, il nome di Jacques-Olivier Travers era già comparso sui giornali per il fallimento di un’altra impresa, che doveva insignirlo del titolo di primo attraversatore con parapendio della Manica, ad essere per di più accompagnato dalla sua aquila, la sempre fedele Sherkan. Che tuttavia in quel caso, si era spaventata forse per il rumore delle pale dell’elicottero di partenza, ed aveva improvvidamente deciso di far ritorno verso le candide scogliere di Dover. Ma gli exploit più notevoli del suo padrone, senza alcuna ombra di dubbio, restano quelli compiuti sopra il cielo grigiastro delle più grandi e celebri città.
Eccolo così di nuovo a Parigi, la capitale della pietra e delle luci. Il contrasto con l’avveniristico cemento di Dubai è notevole, così come la modalità del volo di Victor, aquila dalla coda bianca (Haliaeetus albicilla) scelta per la sua propensione al volo orizzontale. Niente picchiate vertiginose, tranne quella finale per tornare sopra il braccio dell’addestratore. E tutto sembra procedere in modo certamente meno adrenalinico, eppure comparabilmente appassionante. A tal punto, il volo individuale affascina le nostre menti! Particolarmente notevole tra l’altro, in ciascuna di queste avventure, risulta la capacità dimostrata dall’uccello di turno nel ritrovare Travers, che generalmente tenta di rendersi altamente visibile grazie alla tenuta di uno sgargiante color arancione. Questo perché gli uccelli tutti, ma i rapaci in particolare, dispongono di una doppia concentrazione di fotorecettori sulla retina, l’area anatomica detta fovea. Ed è per questo concessa loro la capacità, inclinando la testa prima da un lato e poi dall’altro, di tenere a fuoco due distanze differenti, avvicinando letteralmente l’inquadratura di ciò che necessità di essere approfondito ulteriormente. Quindi è così, che trovano la loro preda! O ancor meglio, colui che, per ragioni imperscrutabili, persiste nel fornirgli da mangiare tra mattino e sera. Ma l’istinto resta sempre potente. E i più attenti tra di voi l’avranno già notato all’opera, nel primo di video di Dubai, verso il finale: quando uno scattante chihuahua in mezzo al pubblico, all’avvistamento del mostro artigliato in picchiata, corre a ripararsi tra le gambe della sua padrona. Il terrore non conosce limitazioni di contesto, e se l’aquila fosse stata ancor più grande dei suoi circa due metri d’apertura alare, sono pronto a scommetterci, molti tra il pubblico avrebbero assunto simili comportamenti. Difficile ignorare il senso di minaccia che si emana, da quella che resta tutt’ora imperatrice incontrastata dei cieli.
Da visitare: il sito ufficiale dell’organizzazione le Ali della Libertà; quello del parco faunistico fondato ed amministrato da Jacques Jacques-Olivier Travers in Alta Savoia.