Se ci si ferma un attimo a pensare, diventa chiaro che molte delle forme di vita di maggior successo su questa Terra appartengono al regno dei vegetali. Creature che potranno anche essere biologicamente più semplici di noi, ma non hanno certo le stesse gravose e stratificate esigenze per una sopravvivenza che sia degna di essere chiamata tale: soltanto acqua piovana, Sole, anidride carbonica, vento che trasporti i pollini, spazio per crescere e qualcuno, o qualcosa, che si nutra dei loro frutti e semi, affinché questi vengano trasportati fino ai nuovi luoghi da colonizzare… Incapaci di difendersi, come del resto chiunque altro, dalla marcia inarrestabile dell’uomo sopra la natura, eppure in grado di contare su di un particolare vantaggio, persino in questo! Il fatto di costituire una risorsa dell’ambiente, sostanzialmente, necessaria per la sopravvivenza di tutti noi. Dall’alto della nostra vita ricca di soddisfazioni e riccamente stratificata, non credo ci siano dubbi sul fatto che nessun umano sceglierebbe di fare a cambio con una sequoia o quercia, pur risultando quest’ultime capaci di vivere per molti secoli e vedere il mondo che si trasforma. Ma immaginate adesso la vita di un piccolo bruco, lungo meno di un centimetro, instradato per nascita verso la remota, fondamentale missione di sviluppare la metamorfosi e volare via. Una vita di ardue tribolazioni, alla perenne ricerca di cibo e col pericolo, da un secondo all’altro, di venire ghermito da una vespa, un ragno o un gruppo di formiche. Non c’è dunque davvero niente di strano, dal punto di vista di un tale sventurato essere, nel guardare con invidia ai cespugli verdi che lo ospitano ed esclamare: “Vorrei anche io, un giorno, diventare come loro!” O almeno così potrebbe accadere, se l’insetto uscisse mai da quella casa di cui l’ha natura l’ha omaggiato, la piccola semi-sfera vegetale che una buona parte del mondo conosce ed apprezza, pur senza giungere ad approfondire il dramma della sua provenienza. Il bruco di Cydia deshaisiana, lì dentro, ci è nato. Ma se tutto scorre per il verso il giusto, esso certamente non vi morirà.
Potremmo definirla un’applicazione del principio metodologico del rasoio di Occam, secondo cui: “A parità di fattori la spiegazione più semplice è la migliore.” La cosa salta, per l’appunto, perché dentro c’è la vita animale. Io ho una teoria. Secondo la quale, non sono poi così tanti, nel mondo moderno, a porsi il quesito del come e perché alcuni fagioli esportati dagli stati messicani di Sonora, Sinaloa e Chihuahua sembrino dotati di una mente propria, e una volta avvicinati ad una fonte di calore inizino a rotolare a destra o a manca, senza comunque riuscire a compiere quei balzi spettacolari a cui il loro nome faceva pensare in teoria. Anzi probabilmente, tra l’attuale generazione dei bambini, neppure nei confinanti Stati Uniti o Guatemala sono ancora in molti a trascorrere le proprie giornate rimirando quella scatolina trasparente, probabile regalo di un qualche zio stravagante o un souvenir di viaggio, all’interno della quale i baccelli coi semi della pianta Sebastiania pavoniana sembrano agitarsi occasionalmente, protestando per l’impossibilità di raggiungere il terreno ed iniziare a germogliare. Persino il video soprastante della BBC, probabilmente parte di un documentario, sembra riferirsi a questa particolare esistenza alla stregua di un giocattolo, favorendo la linea di pensiero che poteva tendere a considerarli una fabbricazione artificiale. Che poi, tra l’altro, esiste pure! E consiste di un involucro in plastica reniforme cavo, all’interno del quale una pallina metallica modifica in modo imprevedibile le caratteristiche e la direzione di rotolamento. Ma come spesso capita, l’articolo reale è TUTTA un’altra cosa.
Sarà importante far notare, a questo punto, che i fagioli salterini messicani non sono affatto dei fagioli, ovvero appartenenti alla classe di quei grandi semi carnosi che vengono chiamati collettivamente dei legumi. Si tratta piuttosto del frutto di un arbusto appartenente al genere delle euforbie, piante caratterizzate da una linfa biancastra e velenosa, il cui principale impiego storico per mano umana fu quello di rendere ancor più letali le frecce dei popoli Seri ed Apache. Nel frattempo all’altro capo del mondo, la corteccia di una specie d’euforbia dai semi altrettanto animati veniva semplicemente intinta nell’acqua stagnante, ottenendo l’immediata morte e venuta a galla di una grande quantità di pesce buon oda mangiare. Cosa che, per la cronaca, può anche essere fatta con il suddetto baccello, benché il gusto sia generalmente ritenuto piuttosto amaro e soprattutto, ogni qualvolta si dovesse decidere di consumarlo, si possa andare incontro alla sorpresa più o meno gradita di mordere il bruco. Ed è proprio questo essere da sempre poco rilevante dal punto di vista economico ed alimentare ad aver spinto, nel 1921, il giovanissimo Joaquín Hernández della città di Álamo, ad organizzarsi per la raccolta sistematica, e la spedizione all’estero, di una grande quantità di queste curiose concrezioni di due diverse forme di vita. Ottenendo, narra la leggenda del luogo, un successo commerciale che fu fin da subito davvero straordinario. Tanto che ad oggi, in determinate circostanze, la città più importante dello stato di Sonora viene definita “la capitale mondiale dei fagioli salterini.” Una qualifica senz’altro degna di fare l’invidia di molte famose metropoli europee.
Non sarebbe tuttavia opportuno pensare altro che questo: i fagioli salteranno, solamente finché ben tenuti e soprattutto, purché non vengano sottoposti ad uno stress termico che non superi la loro limitata capacità di sopportazione. In natura, una volta deposto l’uovo che diventerà larva all’interno del baccello, esso resterà all’interno del suo nascondiglio per il tempo di un’intero inverno, fino al sopraggiungere della nuova primavera. Nei paesi dal clima più freddo, ciò potrebbe richiede anche un tempo più lungo. Durante questo lungo periodo, un proprietario responsabile di fagioli dovrà curarsi di ravvivarli periodicamente nell’acqua depurata dal cloro, simulando le occasionali grandi piogge monsoniche dell’area Messicana. Il piccolo frutto non dovrà mai essere però del tutto sommerso: il suo abitante non ha certo le branchie. La reazione del bruco di far rotolare via il fagiolo, per chi non l’avesse ancora intuito, è motivata dal bisogno di quest’ultimo di allontanarsi da eccessive fonti di calore. Può ad esempio capitare, in natura, che il pezzo di baccello cada rotolando fino a un’area battuta duramente dal Sole di mezzogiorno. In tale condizione, l’insetto non potrebbe sopravvivere che qualche minuto, mentre l’alta temperatura lo prosciuga delle sue limitate risorse d’acqua, causandone la morte pressoché immediata. Occorre quindi far saltare il fagiolo con moderazione. Un altro tipo di interazione possibile con il suo occupante, potenzialmente molto meno nociva ma comunque non proprio gradevole per la creaturina, potrebbe essere quella di praticare attentamente un minuscolo foro nel fagiolo, onde osservarne attentamente l’inquilino. Almeno per quel tempo che esso impiegherà per fabbricare un nuovo tappo con le sue fibre simili alla seta, valido a proteggerlo da sguardi indiscreti. A tal punto esso valuta la privacy e sopratutto, la relativa segretezza della sua esistenza.
Raggiunto il momento di trasformarsi in pupa, quindi, la larva marrone farà un qualcosa di ancor più sorprendente: ricaverà essa stessa una sorta di botola di forma esattamente circolare nella sua casa, che quindi verrà chiusa con la tela. Dal momento successivo alla sua seconda metamorfosi infatti, l’insetto sarà privo di organi boccali, risultando quindi incapace di aprirsi la via fino all’azzurro cielo. Verso la possibilità, più o meno remota, di accoppiarsi e rinnovare l’eterno ciclo vitale. Raggiunta tale condizione, la Cydia deshaisiana non potrà che sopravvivere per qualche altro giorno, prima di morire inevitabilmente di fame. Ciò è scritto nel grande libro del fato, e neppure l’affetto sincero di colui che aveva acquistato i fagioli potrà mai prolungare la sopravvivenza materiale del suo occupante. Tanto varrà a quel punto, dunque, lasciarlo volare via. Qualunque altro approccio, senz’ombra di dubbio, costituirebbe un’ingiustificata crudeltà.
Giocare con la natura non è necessariamente, inevitabilmente sbagliato. Gli insetti si riproducono in quantità spropositata, tanto che custodire lontano dai suoi simili una manciata di bruchi non dovrebbe portare ad alcuni tipo di conseguenza deleteria. Resta tuttavia estremamente importante, nel fare omaggio ad un bambino di questa curiosità biologica proveniente da Oltreoceano, spiegargli che si tratta di una cosa viva e meritevole di un certo grado di rispetto. Altrimenti, l’unico tipo di lezione che potrebbe trarne sarà estremamente diseducativa.