Dimenticare la bicicletta. Farla letteralmente sparire, sotto di se. Un momento inaspettato, una scena totalmente fuori dagli schemi. Talvolta è proprio l’attesa che crea il sentimento estremo d’entusiasmo, nel momento dell’esecuzione di un qualcosa di spettacolare. Qualche altra invece, il dispiegarsi dei fatti tramite un’ispirazione del momento. Ed è difficile capire, in effetti, quale di queste due vie contrapposte fosse quella percorsa dal ciclista italiano Michael Guerra, durante questa sua impresa che è diventata, negli ultimi giorni, un successo internazionale da molti milioni di visualizzazioni. Ciò che è certo, tuttavia, è l’effetto complessivamente surreale dell’intera sequenza: lui che si avvicina di soppiatto, a bordo della sua bici a scatto fisso (la fixie con un singolo pignone) ad un gruppo di pedalatori più convenzionali, su di un tratto in discesa la cui collocazione geografica resta purtroppo misteriosa, quindi rimuove i piedi e…Li distende parallelamente al suolo, restando in bilico sopra il sellino a pancia in sotto, le braccia tese in avanti per reggersi al manubrio! Già questo sarebbe abbastanza interessante, senza prendere in considerazione l’aspetto ancor più fenomenale della sequenza: il modo in cui dopo pochi secondi, senza ulteriore dispendio d’energia muscolare, egli inizi a sorpassare facilmente il branco. Sarebbe dunque difficile sfatare l’auto-attribuzione effettuata dall’atleta sulla sua pagina Facebook, di autore del video più IGNORANTE dell’estate. In senso assolutamente positivo, sia chiaro, come del resto tanto spesso s’intende in certe pubblicità televisive.
Ma dai?! “La struttura aerodinamica del calabrone non dovrebbe permettergli di volare. Ma esso non lo sa, e quindi…” è un’espressione che potrebbe essere impiegata, nell’epoca degli aforismi digitali, come allusione ad una visione del mondo, o per meglio dire una teoria sull’universo, che per qualche astrusa ragione viene attribuita normalmente ad Alfred Einstein. Il quale non era certo uno studioso d’insetti, come del resto Marilyn Monroe difficilmente potrebbe essere definita una grande filosofa del femminismo, nonostante molti degli aforismi che gli vengono comunemente attribuiti sul web, a torto e qualche volta anche a ragione, in merito all’amore e al ruolo della donna nella società. L’attribuzione realistica delle citazioni non è mai stato un problema per il senso comune: perché fama significa autorevolezza, e una persona che notoriamente ha fatto grandi o significative cose nella vita si ritrova, molto spesso, infusa di un’aura di sapienza trasversale, o per usare un termine più chiaro ed immediato, latente tuttologia. Nel caso di questa affermazione del teorico della relatività, ad ogni modo, ci sono almeno due problemi fondamentali a margine: prima di tutto, che un calabrone (V. crabro) non è altro che una grossa vespa, dunque parlando della sua “struttura aerodinamica” ci staremmo riferendo per inferenza anche ad uno degli insetti più familiari del nostro vivere e sentire quotidiano. E in quel modo, l’astrusa ipotesi colpisce molto meno la fantasia. Chiunque avesse concepito originariamente l’ipotesi, probabilmente stava pensando al bombo terrestre (B. terrestris) un insetto la cui piccola superficie alare ha, in effetti, lasciato perplessi gli entomologi per molti anni. Finché non fu scoperto che la portanza, ovvero la capacità di un corpo di spostare l’aria verso il basso, può talvolta essere il prodotto di caratteristiche fisiche tutt’altro che evidenti. Ma che dire del sentimento che si trova in ultima analisi alla base stessa dell’idea? Che il dimenticarsi della propria condizione o situazione corrente possa, talvolta, portare all’esecuzione di un qualcosa di straordinario…Beh, la storia delle due ruote non è esattamente priva di precedenti in materia. La stessa posizione assunta da Michael, in effetti, potrebbe ricordare molto da vicino quella che è stata a più riprese definita come “La foto più famosa nella storia del motociclismo.” E per chi non avesse chiaro di cosa sto parlando, eccola qui:
Questo è Roland Free detto Rollie, motociclista americano, mentre nel 1948 stabilisce un nuovo record di velocità mondiale correndo sulle inesauribili pianure saline di Bonneville, nello Utah: 241.905 Km/h. In costume da bagno, senza sellino, casco o guanti e con una posizione estremamente comparabile a quella assunta da Michael Guerra a bordo della sua bicicletta diventata celebre sul giro del minuto. Metodologia, in questo caso, assolutamente prevista, visto come essa costituisse da anni una scelta stilistica ben precisa del pilota, che l’aveva impiegata con successo più volte grazie alla sua moto del produttore Vincent costruita su misura, secondo varie teorie a partire da un modello Black Lightning o Black Shadow. Mentre a sorprendere gli spettatori in quel caso ci pensò la sua tenuta (o per essere più precisi, la mancanza di essa) dovuta allo strapparsi della tuta di cuoio durante una precedente prova a “soli” 237 km/h. Da che la scelta di andare avanti, nonostante tutto, guidato dal bisogno di portare a coronamento la sua lunga preparazione, nonostante le spiacevoli avversità del caso.
Come forse fece il bombo primordiale, prima di essere ingiustamente trasformato in un calabrone; ma il punto fondamentale, occorre sottolinearlo, è questo: il corpo umano non è aerodinamico. Tutt’al più, lievemente idrodinamico, magari in forza dei nostri remoti antenati marini. E dobbiamo arrenderci all’idea che costruirci attorno un abitacolo, in senso cosmico e assoluto, possa permetterci di andare più veloci. Ma ciò non toglie che esistano dei metodi, o per meglio dire configurazioni, in cui la nostra sgradita resistenza all’aria può essere minimizzata, portando a notevoli vantaggi rispetto agli altri concorrenti in gara. Che poi conduce irrimediabilmente alla complessa discussione, estremamente frequente in molti degli sport basati sulle prestazioni umane, in merito fatto che sia giusto concedere o meno all’atleta il diritto di avere un’idea nuova, piuttosto che eseguire pedissequamente quanto fatto da generazioni prima di lui. Quando cessa l’IGNORANZA, può ancora esistere una competizione giusta e bilanciata? In campo ciclistico, porsi questa domanda non può che condurre concettualmente alla drammatica vicenda personale di Douglas Graeme Obree “lo scozzese volante” che tra il 1993 e il 1997 diventò il signore indiscusso dei velodromi, superando più volte il record assoluto di velocità e portandolo fino a 51,84 Km/h, dopo aver vinto ripetutamente i campionati britannici e del mondo. Soltanto per vedersi privato, nel 1995, di molti degli onori acquisiti, in forza di una presunta irregolarità della sua tecnica e postura totalmente fuori dagli schemi.
Dunque è inevitabile giungere alla conclusione di come, nel caso moderno di Guerra con la sua fixie, l’apparente acrobazia fosse tutt’altro che un’operazione azzardata e priva di senso, quanto piuttosto l’esecuzione di una manovra di funzionalità comprovata, benché molto rischiosa. In particolare, l’averla eseguita su strada merita un encomio a parte, per l’evidente sprezzo del pericolo e la capacità di non temere la ruvidità dell’asfalto. Nel caso specifico della bicicletta a scatto fisso, tra l’altro, c’è anche un altro elemento da considerare: in questa tipologia di mezzo, priva del meccanismo della ruota libera che permette di andare avanti per inerzia, c’è sempre una corrispondenza diretta tra il movimento dei pedali e quello della ruota posteriore. Proprio in funzione di questo, alcuni utilizzatori tra cui i celebri, spericolati fattorini di New York, scelgono di rimuovere addirittura i freni, facendo affidamento sulla possibilità di bloccare semplicemente il moto delle gambe. In campo agonistico tuttavia ciò significa che, nel momento in cui una discesa permette di accelerare oltre la propria andatura massima in piano, il ritmo della propria pedalata diventa in effetti un limite per il mezzo, che può e addirittura dovrebbe, in determinate condizioni, essere rimosso. Ben lo sapevano i partecipanti al Giro di Francia tra gli anni tra la fondazione tra il 1903 de 1906, che potevano usare da regolamento soltanto questo tipo di bicicletta. E pensate pure che i rapporti multipli non sarebbero stati ammessi in gara che 30 anni dopo quella remota data! Tre decadi di dure pedalate, senza alcun ausilio tecnologico prestazionale. Notate pure, del resto, la semplicità con cui il ciclista rallenta leggermente appoggiando un piede sulla ruota posteriore, quindi riporta i piedi in posizione senza un attimo di esitazione. Non è certo la prima volta che si trovava a fare qualcosa di simile. Non per niente ancora ai giorni nostri, ci sono ciclisti professionisti che scelgono di allenarsi con le fixie, proprio perché esse permetterebbero di acquisire doti di resistenza, e riflessi, superiori alla convenzione.
Oggi, probabilmente, nessun giudice accetterebbe la posizione assunta da Guerra in una gara di portata internazionale. Ma è davvero giusto rallentare il progresso tecnico, nel nome della concezione più “pura” di uno sport? Se l’avessero fatto all’inizio del secolo scorso, chissà dove saremmo noi adesso! Probabilmente, ancora sul primo versante del Monte Zoncolan in Friuli… Ad aspettare che qualcuno, spinto innanzi dalla forza di un superumano del pianeta Krypton, riuscisse finalmente a portare a termine la più ripida tratta del Giro. Anche l’ignoranza può essere una forza, se la si sfrutta nel modo corretto. I bombi, però, non sono stupidi.