È un insolito scenario, questo presentato dall’omonimo autore del seguitissimo Bill’s Channel, canale di YouTube dedicato ad ogni aspetto del regno della pesca. Vi compare Steve Townson, discendente degli indiani Arawak, mentre mette in pratica tra le turbolente acque del Rio delle Amazzoni il metodo di pesca preferito dai suoi antenati: individuare con lo sguardo, quindi trafiggere grazie all’impiego di una freccia creata artigianalmente, uno dei pesci più al tempo stesso amati ed odiati di quella regione geografica: 60 cm di bestia color della ruggine, mediamente rappresentativa della sua genìa. Benché sia chiaro: differenti varietà possono raggiungere, senza troppa fatica, anche il metro di lunghezza ed i 30 Kg di peso. Però loro, dopo tutto, che colpa ne hanno? Tutto quello che serve è UN singolo caso sfortunato, la fame di UN minuto, UN attimo di distrazione, UN momento in cui ci si dimentica delle caratteristiche naturali della propria dieta, andando a mordere le pregiate proprietà personali di un essere umano di sesso maschile: e BAM, tutti prendono a chiamarti “pesce tagliatore di testicoli”. Reputazione rovinata! Che poi voglio dire, se la natura non avesse voluto che li mangiassi, non li avrebbe fatti della grandezza precisa delle tue fauci sminuzzatrici. E non li avrebbe resi così straordinariamente simili, nella forma e nel modo in cui oscillano appetitosi nella corrente, alle bacche d’albero che consumi nel resto della tua settimana. L’anno è lungo, ci sono molte stagioni. Non puoi sempre mangiare verdura. In definitiva, e per scagionare l’autore scaglioso della mutilazione, vogliamo anche porci la fondamentale domanda? Perché mai la presunta vittima faceva il bagno nel fiume della giungla tropicale, tra gli esponenti faunistici di uno degli ambienti più notoramente selvaggi del pianeta, completamente nudo… Se te lo sei andato a cercare, dopo non venirti a lamentare. Poteva pure capitarti una visita dell’altro rinomato Serrasalminae, quello che si dice conosca il segreto per fagocitare una mucca intera in due soli minuti. Ti sarebbe rimasto soltanto lo scheletro, altro che palle.
L’avrete senz’altro visto nei vostri incubi, o nell’alternativa più prossima che sussiste nel regno dell’informazione: il terribile tabloid su modello inglese. Decine, dozzine d’articoli, che avvisano i bagnanti naturisti di rimandare le loro abluzioni all’anno prossimo, perché “il terrore dei mari del Sud (America)” è stato incautamente introdotto, da acquaristi decisamente incauti, tra le specie native di questo o di quel paese. Negli ultimi anni, è stato un continuo. Pacu, questo è il suo nome, avvistati tra le acque britanniche, in Danimarca, nel New Jersey, a Parigi. Persino, tra giugno e luglio scorsi, nelle frigide acque del lago Michigan, grande quasi tre volte la Sicilia, dove molti abitanti locali e turisti hanno riportato degli avvistamenti dell’implacabile masticatore, generalmente coronati da gridolini isterici e gambe immediatamente accavallate onde meglio proteggere quel che si ha di più caro.
Iniziamo, quindi, a ridurre il presunto pericolo della questione: esistono soltanto due casi, per di più non pienamente documentati, di aggressione testicolare subita ad opera di uno qualsiasi degli otto generi ittici annoverati in maniera informale nel gruppo dei pacu, e nello specifico ai danni di due pescatori della Papua Nuova Guinea, paese in cui il pesce è stato introdotto intenzionalmente, per il suo essere estremamente adatto all’allevamento con finalità alimentari. Il fatto è che proprio alla storia dei due presunti malcapitati, morti per dissanguamento a seguito del furto anatomico subìto, venne dedicato nel 2011 un celebre episodio della serie televisiva River Monsters, del pescatore Jeremy Wade, il quale al termine del video-racconto non poté fare a meno di ammettere che si, è TEORICAMENTE possibile che uno di questi pesci mangi i testicoli di un umano. Si tratta dopo tutto di predatori opportunisti, in grado di fagocitare occasionalmente la carne di altri esseri viventi. Benché la loro sia composta in massima parte, generalmente, di frutta, bacche e semi.
Ma la vera escalation del terrore collettivo c’è stata, per un fraintendimento, al volgere del 2013, quando un singolo esemplare di pacu venne avvistato presso il canale di Øresund, al confine tra la Svezia e la Danimarca, e un consulente del Museo di Storia Naturale di Copenaghen, tale Henrik Carl, ebbe ad annunciare con intento scherzoso alla stampa nazionale che: “Un pacu affamato morde [tutto quello che trova] e i testicoli sono della grandezza PERFETTA per solleticargli il palato…” Costui si è in seguito scusato, in diverse interviste, per l’aver causato questa sorta di isteria collettiva, fatta rimbalzare entusiasticamente da un titolo cubitale di giornale all’altro, che certo non deve aver portato una grande fortuna ad un pesce tutt’altro che nocivo, anzi! Specie nel suo ambiente naturale, questo essere ha una funzione primaria per l’ecosistema, simile a quella normalmente ricoperta dagli uccelli. Costui infatti, fagocitando i semi delle piante soprastanti, procede quindi a portarli in giro per diversi chilometri. Molto più di quanto siano propensi a fare, in tutti i paesi del mondo i defecatori a flusso continuo dalle aggraziate piume caudali. Tutto questo riuscendo ad avere, anche in funzione della loro notoria rapidità di spostamento, un effetto di dispersione della flora notevolmente efficace.
Il loro problema di più vecchia data, tuttavia, resta la pesca eccessiva in patria, dovuta in massima parte ad un sapore descritto come assolutamente delizioso. Aspetto noto agli occidentali fin dall’epoca in cui il già ex-presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt ne parlò nel 1914, all’interno del suo resoconto di viaggio, Through the Brazilian Wilderness dove li descriveva come pesci dalla massa ingente, gradevoli al gusto e non troppo complessi da catturare.
E tutto ciò non era neppure remotamente paragonabile al largo ventaglio di problematiche derivate dall’enorme industria costruita oggi sull’esportazione dei pacu vivi, come animali decorativi per gli acquari, nonostante essi presentino comunque un certo grado di aggressività. Il concetto di una creatura del tutto simile all’orribile e temutissimo piranha, ma teoricamente priva delle sua continua fame di carne, risulta infatti estremamente apprezzabile per chi colleziona esseri pinnuti da ammirare dal divano del salotto di casa propria. Stiamo inoltre parlando di un pesce estremamente adattabile, che non richiede attenzioni particolari alla quantità di ossigeno ed al pH dell’acqua in cui viene fatto soggiornare. Ma i pacu, a differenza dei loro ben più voraci cugini, crescono e continuano a crescere, indipendentemente dalla grandezza della vasca d’acqua a disposizione. I loro proprietari, quindi, mossi a compassione dalla condizione dell’amato animale domestico, talvolta decidono di andare a liberarlo in gran segreto nel bacino idrico più vicino, affinché esso possa disporre di almeno una possibilità di sopravvivenza. Il che diventa potenzialmente lesìvo, quando un singolo proprietario, o due successivi, rilasciano almeno un maschio e una femmina. Dando il via ad una nuova colonizzazione, ed ulteriori titoli allarmanti sull’arrivo del “tagliatore di testicoli” nell’ennesimo, un tempo tranquillo angolo del nostro mondo.
Voi, dunque, che cosa fareste avvistando dalla spiaggia sabbiosa della vostra località d’acqua dolce preferita, la macchia indistinta di un pacu alla ricerca di noci? Non tendereste forse l’arco dei vostri antenati, vibrando la freccia preventiva che potrà permettervi di rendere onore alla vostra virilità? È una mera questione di sopravvivenza (teorica) della specie. Il fatto che poi sia sempre effettivamente (nei fatti) anche l’ora di accendere il barbecue, difficile negarlo: costituisce un ulteriore valore aggiunto dell’intera questione. Da raccontare un giorno ai nostri ipotetici figli, integrità delle nuts permettendo.