Musica, potere, sentimento. Verdure che mulinano come dei nunchaku, mentre le lunghe code azzurre si trasformando in fluenti sciarpe da ninja, o in alternativa, i vessilli di colei che ha il fato di salvare il mondo (della musica?) Finché non si capisca più quale sia la ragazza creata al computer, e quale invece quella vera, impegnata in un bizzarro ma fondamentale rituale agricolo di terre assai distanti. Che cosa unisce la polka di Savitaipaleen, danza risalente almeno al XVIII secolo della provincia di Viipuri, al confine tra la Finlandia e la Svezia, con il più famoso sintetizzatore vocale della storia, il software della Yamaha giapponese con un volto delicato, occhi enormi, gonna corta e calze lunghe fino alla zettai ryōiki, la “zona perfetta” nella parte superiore delle gambe? Ovvero Hatsune Miku, la cantante intangibile ma estremamente onnipresente, in grado di guadagnarsi un vasto seguito di fan in patria così come all’estero, sufficiente a comparire in infiniti video musicali, concerti con le proiezioni, pubblicità e videogiochi esclusivamente dedicati a lei. Per non parlare, poi, del merchandising! Mentre chi ha mai visto un pupazzetto della polka. Una action figure, un nendoroid… Sono dunque due esistenze musicali particolarmente ben distinte, queste, che soltanto il mondo di Internet poteva far citare assieme. La cui unione, in modo alquanto suggestivo, da l’origine a un momento di rinascita per la prima totalmente senza precedenti, mentre nel contempo si trasforma in carburante da bruciare per la genesi esplosiva della seconda, verso l’estate del 2006. È un’imprevista commistione di fattori, al cui centro, per buona misura, emerge pure il fusto di un egregio vegetale, l’Allium fistulosum (cipolla cava) altrimenti detto porro negi o porro d’inverno, ingrediente fondamentale di zuppe, involtini, teriyaki e takoyaki, particolarmente legato alla regione di Misoshiru ma famoso nell’intero arcipelago dei samurai.
Prima di prendere in analisi questo particolare aspetto della questione, tuttavia, sarà meglio parlare di una semplice ragazza del liceo della città immaginaria di Karakura (si, con la “r”) coinvolta suo malgrado in una storia complicata. Il suo nome è Orihime Inoue, ed i suoi voti a scuola: esemplari. O almeno lo erano, come da sentita promessa fatta alla sua amata sua zia, finché ella non si ritrovò compagna di classe e involontaria spasimante non corrisposta del giovane sensitivo Ichigo Kurosaki, l’uomo destinato a diventare un guerriero mistico della Soul Society, l’organizzazione sotterranea immaginata dall’autore di manga Tite Kubo. Tutto questo, mentre lei… Beh, non entriamo troppo nei particolari. Ciò sarebbe inappropriato verso chi ancora non ha letto oppure visto l’anime di Bleach. Diciamo soltanto che sotto quella compunta uniforme scolastica, le bluse dai colori pastello, la lunga chioma arancione, battevano un cuore ed una forza spirituale precedentemente insospettati. Per non parlare della capacità di compiere stregonerie di vario tipo… Incluse quelle di uno chef che opera con i fornelli, preparando il lauto pasto degli eroi. Ma non nel modo in cui essi potrebbero sperare. Nient’affatto! Sarebbe poi questa una delle gags giapponesi più ricorrenti, mirata a sovvertire il principale merito dell’ipotetica “donna ideale”: l’abilità con i fornelli, le stoviglie e l’affilata attrezzatura usata dai cuochi ed aspiranti tali dell’Estremo Oriente. Diciamo in parole povere, che se la scelta proposta ad uno molti personaggi dell’epica vicenda fantasy fosse stata tra il morire di fame nel deserto, o consumare un pasto preparato da Orihime, essi ci avrebbero pensato, almeno un minuto o due. Si, lo so, sembra che siamo andati fuori tema… Mentre è invece proprio questo il nesso ultimo della questione! Perché l’amabile fanciulla del manga, che per la cronaca dovrà concludersi proprio alla fine del presente mese, si trovò proprio al centro del ciclone scatenatasi con la nascita di Hatsune Miku, grazie ad un insolito e imprevisto scherzo del destino. Probabilmente avrete già sentito parlare di NicoNico Douga, un portale Internet che potrebbe essere descritto in due parole come lo “YouTube giapponese”. Ma che in realtà si è trasformato ormai da tempo in molto più di questo, con una struttura concepita per suscitare l’interesse dei creativi liberi di ogni provenienza, coloro che normalmente esercitano facoltà di appropriazione in merito ai loro personaggi e mondi fantastici più beneamati. Un luogo in cui il rilascio di ciascuna iterazione dei sintetizzatori software della Yamaha, definiti Vocaloid (ボーカロイド Bōkaroido) aveva fin da subito costituito un’occasione di festa, con il popolo del web che s’industriava per elaborare sul tema estetico di ciascuna mascotte adottata dalla compagnia per dare un volto alle sue voci virtuali. Leon e Lola, le due voci maschili e femminili della versione originaria del software, subito seguiti da Miriam, basata sull’omonima cantante inglese della band Adiemus. E poi Meiko e Kaito, per giungere finalmente ad Hatsune Miku, tutt’ora la più famosa, il cui nome significa letteralmente “prima voce del futuro”. Il cui volto, tuttavia, non fu subito noto al grande pubblico. Che finì per associare quella voce a tutt’altra fanciulla, l’imperfetta cuoca Orihime di Bleach. Grazie a quello che potrebbe essere chiamato un meme, ovvero una di quelle particolari immagini o scenette, perennemente ripetute online, di lei che faceva minacciosamente mulinare il succitato cipollotto, durante un primo tentativo di mostrare il proprio affetto alimentare ad Ichigo. E una musica…
Che fa: yaa tsi tsup ari dik ari dull an dik ari dill an dits tan dool la dippyduppy dull la roop uttyroopy […] lan doe ya baril las ten lan day a doe la babadeadevadevadevaduv […] E COSÌ VIA, per lo meno nelle particolari strofe che un ignoto appartenente al popolo del web nipponico, pensò bene di fare cantare alla sofisticata nuova prima voce della Yamaha, con il probabile intento di metterla in difficoltà. Se non che, una volta associata la sequela incomprensibile di termini in pseudo-finlandese alla relativa melodia, il risultato fu considerato non soltanto gradevole, ma perfetto per accompagnare l’immagine di Orihime che roteava il negi prelibato. E da lì, apriti cielo… Sarà a questo punto opportuno spendere alcune parole su questo particolare pezzo musicale, molto orecchiabile persino a discapito della sua stessa comprensione. Si tratta nello specifico di una polka di epoca moderna, ispirata alla già citata Savitaipaleen, creata nel 1930 dal compositore finlandese Eino Kettunen. Essa resta particolarmente famosa oggi grazie al gruppo a cappella dei Loituma, la cui versione fu proprio quella presa modello per il meme con Orihime e la voce di Hatsune Miku. La canzone, quando impiega parole intelligibili, parla semplicemente di un giovane che s’innamora ad una festa di una giovane fanciulla, e nonostante il volere della madre scappa via con lei per andare a ballare tutta la notte. Niente di particolarmente originale, dunque. Ma l’aspetto più significativo del pezzo è la sua adattabilità, che l’ha visto attraverso gli anni riproposto in numerose versioni e generi musicali, incluso il Pop e l’Heavy Metal contemporanei, riuscendo a dare i suoi frutti nei contesti culturali più diversi. Eppure nessuno si aspettava, meno che mai i membri della band Loituma, l’improvviso e spropositato aumento di visite sul loro sito web avvenuto verso la fine di luglio del 2006, di cui il membro e portavoce Timo Väänänen si ritrovò a parlare con estremo stupore in un sua intervista col giornale finlandese Helsingin Sanomat: “Dopo approfondite ricerche, posso dire con certezza che non so chi sia questa ragazza, né da dove provenga.” Ma il diavolo era ormai fuori dalla bottiglia, e con esso formidabili occasioni di incremento della popolarità. In breve tempo, la polka di Ievan nella versione a cappella dei Loituma vide una spropositata circolazione online, in modo particolare in Russia, dove diventò molto popolare come suoneria per smartphone. La melodia prese quindi a comparire in diverse pubblicità di grandi aziende internazionali, come sempre estremamente ben disposte a cavalcare l’onda del momento collettivo.
Mentre nel creativo e nativo Giappone, la fantasia dei creatori “non autorizzati” continuava ad espandersi e dilagare ormai fuori controllo, portando ad eccessi estremamente comici nella loro sussistenza fuori dal reame della logica e del mondo della convenzione. Fu persino creata una versione alternativa del personaggio di Hatsune Miku, dalle proporzioni cambiate secondo gli schemi del super deformed, ovvero col testone da neonato e il corpo piccolissimo, che prese il nome di Hachune Miku, il cui unico scopo d’esistenza era cantare e ballare il pezzo reso celebre dall’interpretazione di Orihime con il suo porro pericolosamente vorticante.
Molte parole sono state spese sul ruolo della donna protagonista dei manga fantastici giapponesi, perfettamente esemplificato nella cultura internazionale dalla figura di Sailor Moon. Fanciulle qualche volta trascinate dagli eventi, certe altre dedite a un dovere superiore, che ricevuto il dono di un potere sovrumano dagli Dei o dal Fato scelgono di rispondere alla chiamata e difendere l’umanità. Il modello ispiratore, senza ombra di dubbio, è quello della sacerdotessa shintoista, che doveva all’opportunità di metter su famiglia per curare la venerazione in Terra degli spiriti dell’altro mondo. Un lavoro difficile ma in qualche modo sottilmente sublime, non del tutto privo di soddisfazioni impercettibili ai più. Il che costituisce, in ultima analisi, la più reale forma di stregoneria.
Negli ultimi tempi, creazioni commerciali e multimediali come Madoka Magica (2011), Kill la Kill (2013) e Kuma Miko (2016) sembrano aver dimostrato l’intenzione di distanziarsi da questo stereotipo, con eroine che rifiutano o tentano di rifiutare categoricamente il proprio ruolo, o come nel terzo e più recente dei casi citati, soffrono terribilmente nel tentativo di liberarsene, rinunciando alla loro stessa identità. Una questione tutt’altro che semplice, in grado di riflettere ed esemplificare lo stesso conflitto quotidiano che il Giappone tutt’ora vive, nel cercare un punto d’incontro tra il suo ferreo tradizionalismo e l’essersi trovato all’avanguardia di un’intera generazione del post-modernismo. Molto spesso, personalmente ritengo, senza neanche avere l’opportunità di rifiutarsi. Esattamente come Hatsune ed Orihime, unite senza alcuna chance d’appello in questo improbabile revival delle vecchie tradizioni musicali finlandesi.