Come svegliarsi sotto un mare di stelle, sognando lievi brezze che scompigliano i capelli. E il canto dei grilli distanti, la risacca del tiepido mare… Manca solo il grido dei gabbiani. Serve un attimo per ricordare la ragione: tu ti trovi, se puoi crederci… Nel sottosuolo! E l’acqua più che mai gorgoglia, tutto attorno allo pneumatico sul quale sei caduto addormentato. Dinnanzi a te, la fotocamera sul cavalletto, programmata per scattare una foto ogni 35 secondi; click […] click […] click. Il che riporta in mente la realtà effettiva: queste luci che t’illuminano il buio, non sono quel che sembrano, magnifici astri distanti. Ma qualcosa di molto più prosaico e soprattutto, estremamente VICINO. Allungando la mano, potresti persino toccarli. Questi vermi che strisciano lungo il soffitto, calando ancora il proprio filo appiccicoso… Nell’intramontabile speranza che l’umano, essere spropositato e pronto da mangiare, cada infine nella loro trappola dal fascino splendente.
È la cultura più alta degli autori letterari d’accademia, che allo scontro con il mondo dell’entertainment puro, genera scintille da cui nasce un grande fuoco. Da cui sorgono fenìci d’imprevista geografia: giacché difficilmente JRR Tolkien, veterano di guerra e linguista laureato, avrebbe avuto in mente la Nuova Zelanda, mentre descriveva il mondo immaginifico che l’avrebbe reso, essenzialmente, immortale. Ah, la Terra di Mezzo… C’è la verdeggiante campagna inglese degli scorsi secoli, coi pacifici hobbit che festeggiano e banchettano serenamente. C’è l’Europa continentale del Medioevo, con le sue dispute dinastiche, le guerre combattute a fil di spada. C’è l’Islanda inospitale in pieno inverno, nella terra brulla e vulcanica di Mordor. Certo, con l’aggiunta di un orchetto, oppure due. E poi gli Stati Uniti della distante Valinor, la promessa degli elfi a chi desideri lasciare le tribolazioni degli umani… Dove appare, quindi, l’Oceania? Molto semplice: nei film. Che in se stessi hanno lanciato, dinnanzi al mondo delle luci e l’entusiasmo popolare, una creazione che era il Primo Mobile della corrente fantasy moderna, un tempo la passione irragionevole dei “diversi”. Mentre adesso! Beh, pensate a quanto segue: chi sbarca oggi all’aeroporto di Wellington, il più grande ed importante del paese succitato, non troverà la statua di figure storiche, politiche, filosofi del mondo del passato. Bensì di Gollum, l’essere avido e deforme a causa di un antico male, convenientemente incapsulato nell’oggetto titolare di gioielleria. E inoltrandosi laggiù, nelle due Isole di quel paese, pure gli artropodi cannibali e i draghi e i mostri e gli alberi parlanti. E non sto affatto esagerando (bé, nel primo dei quattro casi citati, a voler essere pignoli) guardate un po’ voi, cosa vi attende nelle celebri caverne di Waitomo ed Aranui, visistate annualmente da molte migliaia di turisti. Non per niente le chiamano “galassie” con un’analogia che ha un puro senso metaforico, come chiaramente esemplificato dal qui presente video di Jordan Poste, l’avventuroso canadese che si è trasferito all’altro capo del mondo con l’amata Jenna, per produrre in modo regolare video e contenuti appassionanti sul paese d’adozione. Giudicate un po’ voi. Il soffitto da lui scelto, che in effetti dovrebbe appartenere a un’altra delle molte caverne nazionali, ad ingresso piacevolmente gratuito ma soprattutto molto meno affollata, appare chiaramente ben delimitata in tutti i suoi confini, grazie al bagliore sprigionato da quel misterioso assembramento di creature mobili, che osservano l’osservatore usando i loro occhi segmentati, e si puliscono le zampe pregustando l’impossibile pranzetto. Certo, non saranno forti e furbi come credono. Ma nel catturar lo sguardo, questi Arachnocampa luminosa, ottengono un certo grado di successo, ciò è difficile negarlo…
Per lungo tempo, partire dalla scoperta di queste caverne da parte del capo aborigeno Tāne Tinorau verso la fine del 1800, gli scienziati hanno considerato questi insetti come dei distanti cugini delle lucciole europee, tra i più famosi coleotteri del mondo. Un fatto che finì per essere smentito in modo assolutamente spettacolare, quando venne fatta la scoperta che le larve luminose appartenevano, nella realtà dei fatti, ad una nuova specie dell’ordine dei ditteri, ovvero lo stesso di mosche, mosconi e zanzare. Riconosciuto quindi l’essere come una parte della famiglia dei Keroplatidae, con membri presenti in tutti i continenti e le condizioni climatiche, si pensò quindi che esso facesse la tipica vita dei moscerini dei funghi, nutrendosi primariamente di materia prossima alla marcescenza. Finché non vennero notati quei lunghi fili verticali e appiccicosi, che partendo dalle regioni della loro irraggiungibile colonia sul soffitto delle caverne, splendevano lievi, illuminati di riflesso dalla luce emessa dagli insetti. Ma a questo punto, vediamo l’origine di un tale insolito fenomeno: gli Arachnocampa, nome la cui origine probabilmente inizia ad essere fin troppo chiaro, sono dotati di organi nell’addome chiamati tubi malpighiani, grossomodo corrispondenti ai reni degli umani. Che nella loro fattispecie, l’evoluzione ha modificato affinché in essi si realizzi una particolare reazione chimica, tra la luciferina che l’insetto secerne e i suoi particolari enzimi, definiti luciferasi, in grado di generare quel bagliore così caratteristico di tante caverne neozelandesi.
Il cui effetto, in ultima analisi, è particolarmente importante per l’insetto. Perché come può trarre in inganno noi poetici e pensanti esseri della natura, tanto più sembrerà un attraente cielo stellato ai numerosi ed imperfetti volatori idrofili dell’ambiente sotterraneo, che non appena raggiunta l’età adulta, punteranno dritti verso l’apparente libertà. Dritti dentro la trappola di queste innumerevoli, piccole, pericolose emule del ragno-mostro Shelob. Ciascuna di loro, infatti, può creare fino a 70 fili della lunghezza di quasi un metro, tali da formare una rete invalicabile attraverso cui non passerà nessuno.
La seconda utilità del metodo d’illuminazione degli Arachnocampa, comunemente detti glowworm o vermi splendenti, è relativo alla riproduzione. Questi esseri infatti, che trascorrono tra i 6 e i 12 mesi strisciando sul pietroso soffitto della loro caverna di nascita, dopo aver compiuto più volte la muta della capsula rigida che protegge la loro testa formano un bozzolo o pupa, della durata di due settimane circa. Quindi, da esso emergono cambiate, con un paio di tozze ali e un rudimentale apparato riproduttivo, che gli permetteranno di raggiungere la femmina e trasmettere il proprio DNA verso la prossima generazione. In questa forma, gli insetti non possono mangiare, e vivranno soltanto pochi giorni. Proprio per tale ragione, è imperativo che la luce di lei serva condurli subito a destinazione, affinché ella possa deporre le sue 100-130 uova, poco prima che sopraggiunga la morte per fame. Il tempo di schiusa affinché i nuovi vermi mettano la testa nel mondo è di appena una ventina di giorni. Così quando a ciò si aggiunge il fatto che simili creature non hanno essenzialmente predatori, diventa facile comprendere come la loro genìa possa continuare a perpetrarsi, ben lontano dalla fastidiosa, nonché superflua luce del Sole. Offrendo uno spettacolo che definire unico al mondo, sarebbe assai probabilmente riduttivo.
E di certo non mancano, tra la ricca selezione di attività offerta dalle guide turistiche della Nuova Zelanda, numerose escursioni in simili luoghi, dalla facilità e dal prezzo assai variabili. Ma forse il modo migliore di sperimentare una simile esperienza è avventurandosi da soli nel profondo, prese le dovute precauzioni, senza particolari aspettative o preconcetti. Per aprir di scatto gli occhi, dinnanzi a un cielo stellato che non vedrà mai sorgere l’alba.
Vedi anche: sito ufficiale delle caverne Waitomo, articolo sul video presso il blog di Jordan Poste, elenco delle caverne visitabili in Nuova Zelanda