Mini canguri che vivono sul tetto della foresta

Tree Kangaroo

Molto prima che esistessero i telefonini, precedentemente all’invenzione della realtà aumentata e della localizzazione GPS, ma che dico, persino prima ancora che l’umanità muovesse i suoi primi passi eretti lungo l’ardua marcia dell’evoluzione, già c’era in questo mondo una creatura che voleva “Catch’em, catch’em all!” Era un incubo vivente, tutta artigli, il becco acuminato, i muscoli possenti, le corna, le zanne, gli aculei lungo il dorso e sulla coda. Enorme e rapida, o strisciante, silenziosa. Lieve sull’ali e rapida su zampe, rotolante oppure anfibia quando ritenuto necessario. Sapete di chi sto parlando, vero? Il super-predatore, l’essere supremo di ciascun ambiente naturale. Di cui nulla, o nessuno, poteva fare a meno di considerare la presenza. Meno che tutti, il pademelon (genus Thylogale) piccolo mammifero marsupiale del Queensland, del Nuovo Galles e della Nuova Guinea, un soffice peluche ballonzolante dalle orecchie a punta, il peso di una decina di chilogrammi, ovvero giusto quanto basta per portare un cacciatore a sazietà. Per non parlare degli splendidi cappelli, scaldamani o mantelli, che un aspirante commerciante tessile poteva creare dal suo grigio pelo. Una vera ottima creatura. C’è stato un tempo in cui, presso le isole di Aru, essa veniva chiamato philander, ovverosia l’amica dell’uomo, per i molti modi in cui poteva essergli utile, ovviamente, morendo. Non che avesse avuto, neanche in precedenza, questa innata vocazione all’auto-annientamento, ma semplicemente, un animale tanto tenero ed inerme, così privo di risorse difensive, non poteva fare altro che perire ed accettare il suo destino. A meno che… Rivoluzione, mutazione, cambiamento! Successe dunque verso il periodo dell’Eocene (56-33,9 milioni di anni fa) che il vasto continente di Oceania stesse andando incontro ad un periodo di secchezza precedentemente sconosciuto. E che così, tutti i migliori Pokèmon del circondario avessero l’unica scelta possibile di ritirarsi verso l’entroterra, dentro all’umido ed ombroso ambiente della tipica foresta tropicale. Un ambiente che si offriva a un’interpretazione estremamente vantaggiosa… Salire? Balzare in alto, allontanarsi dallo sguardo carico di bramosìa dei molti famelici abitanti di quest’altro inferno in Terra. Così nacquero i primi Petrogale, un tipo di pademelon che poteva brucare indifferentemente da un più vasto catalogo di vegetali, ponendo quindi la sua residenza sulla cima delle alture, più lontano dal pericolo e dai predatori. Tra questi ultimi, quindi, alcune specie iniziarono a imparare il modo di salire sopra gli alberi, mettendosi ulteriormente al sicuro. Una di esse, il P. Persephone (in realtà non più un pademelon, ma un wallaby) iniziò quindi a preferire la sicurezza dei più alti tronchi, mentre la progressiva segregazione del suo habitat, con il progressivo ridursi delle foreste a seguito dei mutamenti climatici della Preistoria, lo portò a un ulteriore specializzazione. Ed è da lui, passando per la specie di piccolo canguro nota come Bohra, che ebbe modo di evolversi l’attuale genus dei Dendrolagus, comunemente detti tree kangaroos per la rarità con cui è possibile vederne uno all’altezza del suolo, distante dalle fronde che costituiscono la sua residenza, cibo e metodo spontaneo di camuffamento.
Per farsi a questo punto un’idea più precisa di ciò di cui stiamo parlando, ritengo, non c’è modo migliore che osservare il video sopra riportato dello zoo di Saint Louis, in cui la giovane madre-canguro Kasbeth mangia serenamente del bambù, mentre la piccola Nokopo, figlia unica, allunga la manina dalla sacca in cui rimarrà fino all’età di 41 settimane, nel tentativo di accaparrarsi una seconda porzione del soddisfacente cibo. Le due appartengono alla specie di Matschie, una di quelle più rare e maggiormente a rischio di estinzione. Così la prima impressione che si potrebbe avere, nel prendere atto di una tale scena, è quella di trovarsi innanzi a un vero e proprio animale di fantasia…

Tree Kangaroo 2
Persino questa consumata naturalista non può fare a meno di definire i più graziosi animali della Papua Nuova Guinea come dei “peluche viventi” che qualcuno, accidentalmente, sembrerebbe aver “lanciato sugli alberi”. Il peso di un maschio adulto si aggira tra i 9 e gli 11 Kg.

Le orecchie da orso, il muso a punta di una volpe o di un tasso, la lunga coda simile a quella di una scimmia, gli artigli per arrampicarsi nello stile del koala. Alla stessa maniera Pikachu & company, il Dendrolagus ci appare come una varia commistione di creature totalmente differenti tra di loro, creata per affascinarci ad opera di un qualche eclettico creativo d’altri tempi. Ma c’è una logica in questa follia, in effetti ben radicata nello stile di vita e ciò che vengono chiamati a fare regolarmente questi buffi ma agili animali. Per prenderne atto, può risultare utile la visione di questo secondo video, creato con il patrocinio del National Geographic, in cui la Dr. Lisa Dabek, direttrice del Programma Statunitense per la Conservazione dei Canguri Arboricoli, si recava nella foresta della Papua per tentare qualcosa di mai fatto prima: dotare alcuni esemplari di Dendrolagus matschiei (gli stessi dello zoo di Saint Louis) di una telecamera di ripresa in prima persona, per offrirci una prospettiva totalmente nuova sulla vita estremamente privata di queste creature, che normalmente si trovano ben lontane dallo sguardo degli studiosi. Così per prenderne alcuni, ella ha scelto di rivolgersi a figure professionali assai specifiche, ovvero quelle degli stessi cacciatori locali che, fino all’entrata in vigore delle nuove leggi sulla conservazione, avevano fatto strage di questi ormai rari e preziosi animali. La prima cosa a risultare sorprendente, quindi, è il metodo impiegato per catturarli il tempo necessario a posizionare l’elettronica di bordo: senza fare ricorso a pericolosi dardi tranquillanti, gli animali vengono spaventati da un membro del team, con la finalità di fargli tentare una precipitosa fuga. Manovra che i Matschie compiono, normalmente, lanciandosi a terra ed iniziando a correre a perdifiato. Indipendentemente dall’altezza a cui erano in un dato momento! Questi animali, con il cucciolo oppure senza, possono infatti facilmente balzare da un’altezza di fino a 18 metri senza riportare, incredibilmente, alcun danno. Non è esattamente chiaro come ci riescano, benché alcuni studi ipotizzino che la particolare posizione non aerodinamica da loro assunta durante l’operazione gli permetta di smorzare la rapidità di discesa. Ma è a quel punto che gli scaltri umani, ben più intelligenti e cooperativi di qualsiasi serpente o diavoletto tasmaniano, tagliano la strada al fuggitivo e riescono generalmente a prenderlo, teneramente s’intenda, fra le proprie forti e grandi braccia.

Tree Kangaroo 3
Questi cuccioli rimasti orfani, sotto la tutela della scienziata Margit Cianelli, appartengono alla specie del canguro arboricolo di Lumholtz (Dendrolagus lumholtzi) una delle poche native del Nord dell’Australia. La loro propensione a correre ed aggrapparsi a qualsiasi cosa ricorda quella del petauro dello zucchero, un altro marsupiale che talvolta viene fatto crescere in ambienti domestici, per le ragioni più diverse. In inglese, il termine usato per riferirsi ad un piccolo di marsupiale è joey.

E questo non è che un singolo esempio del tipo di agilità e della ricchezza di risorse cinetiche di cui dispongono questi animali soltanto all’apparenza goffi e sgraziati, per la loro vaga somiglianza con la forma di una pera. La coda di cui dispongono infatti, benché non prensile come quella dei lemuri, ha un peso perfettamente equilibrato con quello del resto del corpo, permettendogli di tenersi in equilibrio in ogni situazione. Mentre le forti zampe posteriori, che gli permettono di spiccare i balzi tipici di questa classe di creature, incontrano gli artigli acuminati e resistenti di quelle anteriori, funzionali ad effettuare qualsivoglia lunga, per quanto difficile, scalata. Nel frattempo il loro stomaco, dalla conformazione simile a quello dei mammiferi ruminanti più vicini a noi (ex. cavallo, mucca) gli permette di far fermentare la materia vegetale e digerirla con calma, grazie all’azione di particolari batteri simbiotici che sminuzzano le foglie e l’erba. A differenza dei più temuti super-predatori della storia, un Dendrolagus non riuscirà mai a morire di fame. Il che non significa, del resto, che la sua vita sia priva di pericoli di alcun tipo. Diverse specie di questo simpatico ed inusuale animale, infatti, tra cui il già citato Matschie ma anche il Goodfellow che tanto gli assomiglia, per non parlare degli ancor più rari mantello-dorato (Dendrolagus pulcherrimus) del Dingiso e del Tenkile, sono ormai purtroppo prossimi all’estinzione. Tra le cause citate, quelle usuali dello sfruttamento eccessivo del territorio, dei mutamenti climatici e della caccia scriteriata, portata spesso avanti da popolazioni che ne avevano bisogno per la semplice sopravvivenza. Inoltre, come per buona parte del resto della fauna d’Oceania, l’introduzione di specie non endemiche come il cane ed il gatto ha portato all’annientamento progressivo delle povere piccole creature. Persino il coniglio, con la sua capacità di occupare la stessa nicchia ecologica in maniera più efficiente, può risultare un concorrente pericoloso per queste creature. Oggi, il principale sforzo internazionale conservarli a beneficio dei posteri è portato avanti dal già citato Programma di Conservazione, che ha avuto origine in Papua Nuova Guinea, ed oggi trova la sua principale sede operativa presso lo zoo di Woodland Park, a Seattle. Nel caso specifico dei canguri arboricoli, che si riproducono molto facilmente in cattività, un simile approccio sta facendo molto per prolungare, e possibilmente stabilizzare a lungo termine, la loro sempre più difficoltosa sopravvivenza.
Quando si tratta di animali australiani, l’addestratore moderno di mostriciattoli virtuali non sa esattamente come comportarsi. Ciò perché lanciare un qualsiasi tipo di sfera, normalmente, non sortisce l’effetto desiderato; a meno di trovarsi dinnanzi ad un cane, che possibilmente la riporterà felice al suo padrone. Ma un piccolo canguro come questi è naturalmente superiore a tali inezie. Egli esiste per esistere, senza pagare pegno al grande e più famelico addomesticatore. Così balza  dalla sera alla mattina, per poi balzare ancora, fino all’esaurirsi delle batterie. Nessuno scambio al centro Pokèmon, per quanto vantaggioso, potrà mai sostituirlo…

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