L’appiccicosa ondata che devastò la città di Boston

Great Molasses Flood

Nient’altro che un ulteriore sacrificio, di spontaneità e senso di ragionevolezza, verso una ricerca spregiudicata dell’opulenza totalmente fine a se stessa: ciò persegue la scurissima formica, all’occhio e nella mente del Rynchota cicadidae, cantatore alato delle notti di prive di preoccupazioni in merito al futuro. Chi ha mai detto che gli insetti siano poi così diversi da noi? Come nel proverbio e nelle fiabe, nell’infinita varietà di attitudini previste dalla mente umana, esistono i due distinti approcci alle necessità del sopravvivere: accumulare, consumare. Ovvero, essenzialmente, il gesto di coloro che si preoccupano e quello degli altri, invece, che non pensano al domani. Ma in tutto ciò permane una saggezza innata nel regno della Natura, che soltanto a coloro dotati della prima inclinazione, offre la possibilità di costruire un qualcosa di grande e persistente, come la rete sotterranea di un profondo e fresco formicaio. Mentre le frequenti e malcapitate volte in cui le cicale UMANE si mettono ad accumulare…Le conseguenze…Sono…
Arthur Gell è il nome del personaggio responsabile introdotto dal video d’apertura di The Folklorist, citato anche da Wikipedia come principale imputato al processo che venne portato a termine successivamente alla data dell’orribile disastro; un individuo con tuba e piglio dickensiano, per lo meno nella fantasia della succitata ricostruzione dalle forti influenze teatrali, che commise in modo pienamente verificabile, nel corso della sua vita, almeno un grave e deleterio errore: dimenticare la sicurezza, in un contesto in cui l’assenza di quest’ultima avrebbe potuto mettere in modo i presupposti di una grave strage. Cosa che puntualmente e per voler del Fato, di lì a poco capitò. Chi l’avrebbe mai detto! Suo era il mestiere di contabile, per il conto della Purity Distilling Company che l’aveva fatto tesoriere, negli anni immediatamente successivi alla liquidazione dell’azienda ed al suo acquisto da parte della United States Industrial Alcohol Company di Boston, detta generalmente in breve USIA Co. Un passo effettuato, secondo teorie create a posteriori, in previsione dell’imminente entrata in vigore del proibizionismo, un passo legale che ormai in molti si attendevano da parte del Congresso degli Stati Uniti, chiesto a gran voce da intere comunità ecclesiastiche e corposi comitati. Era il 1917, e la prima grande guerra entrava nella sua fase critica, mentre anche i soldati d’America s’imbarcavano infine per i distanti territori degli Imperi Centrali. Ciò, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è molto rilevante al nostro racconto. Perché la principale attività curata dalla Purity, in aggiunta alla distillazione dell’etanolo, era l’importazione di grandi quantità di una particolare sostanza dalle distanti terre d’India, il derivato secondario della lavorazione della canna da zucchero: la melassa. Un liquido marrone, appiccicoso e denso, che trovava collocazione non soltanto nei dolci, nel tè e nel caffè, come ingrediente più salutare e lievemente amarognolo della nostra tipica polverina bianca, o nella bevanda alcolica più rappresentativa dell’intero New England, il caro vecchio Rum, ma anche e soprattutto in qualità d’ingrediente per il munizionamento militare di fanteria, aviazione e marina. Ebbene si: con lo sciroppo estratto dai vegetali oggetto di lavorazione all’interno degli zuccherifici, tramite bollitura e successiva cristallizzazione, può essere utilizzato per creare degli esplosivi. Come avrebbe scoperto suo malgrado la gente di Boston, esattamente due anni dopo la gioiosa acquisizione della Purity da parte della USIA Co.

Great Molasses Flood 2
La Grande Inondazione di Melassa rappresenta senz’ombra di dubbio il più grande disastro industriale nella storia di Boston. In essa persero la vita 21 persone, 150 rimasero ferite ed un’intero quartiere fu letteralmente fatto a pezzi, dall’equivalenza artificiale e terribilmente viscosa di un vero e proprio tsunami.

Si ma cosa aveva fatto, esattamente, di tanto terribile Arthur Gell? (o Jell che dir si voglia, lo spelling è stranamente variabile in base alla fonte utilizzata). Niente di eccezionalmente insolito, a pensarci. Egli aveva supervisionato l’edificazione di un serbatoio. Collocato presso un terreno di proprietà dell’azienda, con l’ingresso su Commercial Street e posizionato in cima alla collina di Copp’s, dove si trovava la maggior concentrazione d’immigrati italiani di Boston assieme ad altre fasce di popolazione non ancora politicizzate, e dunque impossibilitate a montare delle proteste di natura significativa. Esso fu, dunque, una struttura veramente enorme, con 27 metri di diametro e 15 di altezza, in grado di contenere fino a due milioni e mezzo di galloni del succitato fluido, d’importanza primaria per le industrie gastronomica e bellica degli interi Stati Uniti. Ma costui non era un ingegnere o un tecnico, ed a lui piaceva l’idea, tra l’altro, di ottimizzare le spese. Una combinazione estremamente pericolosa. Il permesso che egli si fece fornire dalla città di Boston fu dunque relativo alla sola edificazione delle fondamenta, un escamotage davvero semplice che gli permise, in quell’epoca di poche leggi e regolamenti, di evitare l’eccessivo controllo da parte di ispettori al soldo del governo. Ciò che lui fece, dunque, fu iniziare un’operazione di risparmio straordinaria: furono impiegate rivettature di minore qualità e acciaio della metà più sottile di quello ideale, per di più privo di un’adeguata componente chimica di manganese. Quel serbatoio costituiva, dunque, una vera bomba ad orologeria. Ed erano in molti a saperlo: gli impiegati della compagnia, che fecero più volte degli esposti alla proprietà, e anche i bambini della zona, che periodicamente dovevano essere scacciati via, perché si usavano intrufolarsi fino alla base del serbatoio, per gustare avidamente con dei bastoncini la melassa che da esso fuoriusciva pressoché in continuazione. Che immagine davvero inquietante… Negli anni immediatamente successivi al 1917, dunque, l’intero serbatoio fu dipinto di marrone, affinché la gente non notasse più le strisce del fluido che colava copioso dalle sue fiancate piene di spaventose crepe.

Great Molasses Flood Song
Il disastro si è trasformato negli anni, soprattutto in funzione della sua natura insolita e dell’associazione con un qualcosa di normalmente gradevole, in un’aneddoto irrinunciabile in qualsiasi cronistoria urbana bostoniana che si rispetti. Nel caso qui mostrato, il cantante country Jonathan Jay Babcock ha scelto di farne l’oggetto di un’orecchiabile canzone.

Finché il 15 gennaio del 1919, nel pieno del gelido inverno del settentrione statunitense, non arrivò il momento più temuto. A seguito della consegna del carico da parte di un enorme cargo proveniente dall’Europa, il serbatoio della Purity era stato riempito praticamente fino al soffitto, con oltre 14.000 tonnellate del prezioso fluido, che non a caso era stato considerato esattamente un secolo prima da John Adams, il secondo presidente degli Stati Uniti: “Un ingrediente essenziale dell’indipendenza americana”. Caso volle, tuttavia, che proprio quella mattina il clima andasse incontro ad un radicale mutamento, con un brusco innalzarsi della temperatura locale di quasi 10 gradi, che la portò ad esattamente 4,4 sopra lo zero. Ciò che avvenne, dunque, fu un’improvviso e turbinoso mescolarsi del fluido proveniente da fuori, più freddo, con quello relativamente tiepido già contenuto nello spazio deputato. Ciò fu alla base di un improvviso accelerarsi del processo di fermentazione, che generò copiose quantità di diossido di carbonio, tali da aumentare a dismisura la pressione nel serbatoio. Il quale, come potrete facilmente immaginare a questo punto, non resse.
Erano le 12:30, quando i veterani di guerra con residenza nel quartiere vennero istantaneamente riportati con la mente all’epoca delle loro dolorose campagne in terra straniera: ciò che si udì nell’aria, infatti, era simile al fuoco concentrato di dozzine di mitragliatrici. Derivante, in effetti, da niente meno che gli innumerevoli bulloni e rivetti del serbatoio, che stavano partendo a razzo in ogni direzione. Quindi, le pesanti e taglienti lamiere che costituivano le sue pareti esterne si lacerarono, partendo letteralmente in ogni direzione. Subito seguite, come da prassi assolutamente scientifica, da un’ondata di litri e litri e litri di quel fluido viscoso che era contenuto all’interno della struttura, che iniziò a procedere con sicurezza verso una delle aree più popolose dell’intera città di Boston.

Molasses Flood Plaque
Dopo l’Apocalisse, il serbatoio non venne mai ricostruito. Oggi al suo posto c’è un parco giochi con una placca fatta installare dalla Bostonian Society, finalizzata a commemorare e far conoscere l’evento (Via)

Probabilmente avrete sentito ripetere, prima o poi, il diffuso modo di dire “lento ed appiccicoso come la melassa”. Stiamo infatti parlando di un fluido di natura non newtoniana, ovvero che cambia le sue caratteristiche sulla base della forze e sollecitazioni che si trova a subire. Versatene un barattolo in un piatto, ed assisterete a una colata lenta e cadenzata, al confronto della quale il contenuto di una bottiglia di ketchup potrebbe sembrarvi fluido olio. Mentre a volte bastano, del resto, un paio di colpetti ben assestati sul retro del recipiente, per iniziare quel mutamento di condizioni che causa una fuoriuscita rapida e pressoché totale del suo dolce, dolce contenuto. Ora, teoricamente nel caso di Boston potevano succedere entrambe le cose. Chi mai aveva avuto l’occasione di testare il comportamento di un simile ammasso di ambrosia zuccherina? Ma a quanto pare, il peso complessivo del materiale, di concerto con l’onda d’urto iniziale, furono sufficienti a scatenare una letterale cascata in grado di muoversi alla velocità di 56 Km/h, che tutto travolse e distrusse lungo il suo cammino. I primi innocenti a pagarne lo scotto furono alcuni bambini, che si trovavano in un’area rurale leggermente a valle per raccogliere della legna. Uno di loro fu ritrovato solamente settimane dopo, incastrato sotto ad un vagone a centinaia di metri di stanza. Quindi la melassa raggiunse i supporti di un viadotto della nuova ferrovia cittadina, che vennero immediatamente sradicati, come stuzzicadenti sul passaggio di una valanga. L’ondata, neppure leggermente rallentata, proseguì poi verso la stazione dei pompieri locale, che venne completamente rasa al suolo. Stessa sorte toccò alle scuderie adiacenti, che a quell’epoca costituivano ancora un importante luogo di supporto ai trasporti ed agli scambi commerciali. Testimonianze riportate dal Boston Globe di allora parlano di dozzine di animali, intrappolati come mosche nella colla, che nitrivano selvaggiamente prima di essere sommersi ed esalare l’ultimo respiro. Stessa sorte tocco a molti cani ed ahimé, umani. Qualche tempo fa, incidentalmente, la rivista Scientific American pubblicò online un articolo che parlava delle problematiche inerenti a questo disastro, ed in particolare della sostanziale impossibilità di salvarsi nuotando nella melassa. La densità di questo fluido infatti è tale, o in altri termini, il suo numero di Reynolds tanto alto, da non permettere alle bracciate umane di sortire alcun effetto. Nel momento in cui braccia o gambe dovessero essere riportate in posizione neutrale, dunque, tutta l’energia spesa sarebbe stata immediatamente trasmessa in un movimento in senso inverso, riportando essenzialmente il malcapitato al punto di partenza. E fu così che molti perirono, nonostante la loro preparazione fisica e prontezza di riflessi: la melassa, semplicemente, non lasciava scampo. Subito dopo l’esaurirsi dell’ondata, giunsero i soccorsi, guidati da circa un centinaio di cadetti provenienti dalla nave scuola USS Nantucket, che si trovava di stanza nel porto cittadino. Quindi anche la polizia di Boston e la Croce Rossa fecero la loro parte, per recuperare i feriti ed iniziare le complesse operazioni di pulitura della città. La sostanza appiccicosa si era infatti insinuata ovunque e, trasportata in giro con le scarpe ed i vestiti di chiunque vi fosse venuto a contatto, si stava già diffondendo a macchia d’olio per l’intera città. Il 17 gennaio, nel corso del frenetico lavorìo, le campane delle chiese presero a suonare a festa: il Congresso aveva ratificato la legge sul proibizionismo, preannunciando la fine di un’intera epoca, e l’inizio di un’altra, che dal canto suo, non sarebbe stata certo priva di problemi. Successivamente al disastro, la USIA fu immediatamente citata in giudizio, da una delle prime class action nella storia del Massachusetts ed in effetti, dell’intero New England. Un tentativo iniziale di attribuire le colpe del disastro all’azione degli anarchici italiani, in una sorta di cupo preambolo alla futura vicenda newyorkese di Sacco e Vanzetti, non sortì l’effetto desiderato, ed alla fine gli inquirenti dimostrarono che il serbatoio era stato costruito in modo inadeguato. I capi d’imputazione erano più di 100, e l’azienda fu costretta a pagare una cifra stimata tra i 500.000 ed il milione di dollari di allora. Ogni famiglia di una vittima ricevette 7.000 dollari di compenso.
Del destino del tesoriere Arthur Gell o Jell, purtroppo, le imperfette cronache internettiane non offrono alcun indizio rilevante. Mentre molto diffusa è la storia sull’odore di melassa che per molti anni successivamente all’evento, avrebbe ancora aleggiato nelle calde giornate d’estate, trapelando dall’asfalto stesso intriso di quel fluido dolcemente distruttivo. Alcuni vecchi palazzi, addirittura, mostrerebbero tutt’ora un segno scuro all’altezza degli occhi, che si dice testimoni il punto che a suo tempo fu raggiunto dall’ondata. Quanto è nota, tuttavia, questa triste vicenda? Quanto presente nella coscienza comune, la sua morale di fondo, così tremendamente attuale persino oggi, ad oltre un secolo di distanza? Il fatto è che nessuno vorrebbe essere piccolo ed all’apparenza insignificante, come una formica. Ma cantare la propria gioia sopra il palcoscenico di un’elegante vita, splendida e selvaggia, per lo meno all’apparenza…

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