Ogni grande eroe ha conosciuto umili origini, della fama non ancora acquisita se non della mancanza stessa di armi, alleati e bagagli. Il progressivo accrescimento delle proprie capacità belliche è una scala che va percorsa dal fondo alla cima, attraverso la pratica, gli errori e le battaglie dagli esiti indesiderati. Sono ben pochi i personaggi, tuttavia, che nel corso della loro carriera possono raggiungere a una tale vetta di sapienza, forza e decisione, da venire elevati con plebiscito popolare al rango di essere supremo, ovvero, una completa ed assoluta divinità. Fra questa ristretta categoria, l’individuo più famoso resta senz’altro l’onorato Guan Di (l’Imperatore Guan) che, trovandosi insignito di un simile rango postumo soltanto molti secoli dopo aver cessato il suo combattere e formare strategie, era ancora noto ai tempi della la fine della dinastia degli Han (200 d.C. ca.) con il nome mortale di Guan Yu. Ed è forse, proprio in questa forma che voi avete avuto modo di conoscerlo, attraverso manga, cinema e videogiochi: sarebbe difficile, del resto, scambiarlo per qualcun altro. La lunga barba fluente, le sopracciglia folte, l’abito verde sopra l’armatura di metallo, il cappello da studioso, portato con fierezza al posto degli elmi che caratterizzano la raffigurazione dei suoi pari ed avversari, condottieri di un’epoca di caos e devastazioni. Forse la più terribilmente significativa nell’intera storia della Cina. Caratterizzata dalla presenza di un uomo che, nel corso della sua intera vita, restò sempre eccezionalmente fedele ai suoi valori, riuscendo a non tradire mai le aspettative del suo fratello maggiore acquisito, il benevole governante degli Shu Han, nonché giusto erede dell’intero impero della Cina, Liu Bei. Né abbandonò mai il terzo membro del celebre Giuramento del Giardino dei Peschi, lo sciocco ma fortissimo generale, Zhang Fei. Finché un attacco a tradimento da parte del presunto alleato Lu Meng, avvenuto durante il governatorato che il grande Guan aveva ricevuto della provincia di Jing (l’odierna Hubei) non lo privò dei suoi fedeli soldati ed ogni speranza di ricongiungersi ai fratelli, costringendolo ad arrendersi a malincuore, per venire giustiziato senza un grammo pietà dai soldati del regno di Wu. La leggenda vuole, tuttavia, che egli morì in piedi, e che persino la sua testa, inviata in un tardivo tentativo di scaricare le responsabilità al signore della guerra Cao Cao del regno di Wei, avesse ancora la capacità di spalancare gli occhi e fissarlo con astio, tanto che quest’ultimo, da tempo sofferente di crisi epilettiche piuttosto gravi, nell’aprire la scatola in cui essa era contenuta cadde improvvisamente a terra, come fosse stato colpito da una freccia. Si narra poi di come, una volta ripresosi, egli fece seppellire il macabro resto con tutti gli onori tributati ad un guerriero d’alto rango, ricordando anche la maniera in cui, per un singolo fugace splendido momento, quell’uomo senza pari fosse stato al suo stesso servizio, assistendolo in forza del suo naturale senso di lealtà.
Nessuno poteva dimenticare Guan Yu. Neppure, a quanto pare, gli eredi distanti di quello stesso popolo di Jing, che a distanza di quasi dieci secoli ha deciso, forse anche in forza del surplus di manodopera che ormai da tempo condiziona le scelte politiche di parti intere della Cina, di mettere in atto il progetto di una nuova grande statua del guerriero, disegnata da niente meno che l’artista di fama Han Meilin, autore, tra le altre cose, delle due mascotte usate per Olimpiadi di Pechino del 2008. L’impressionante risultato, inaugurato pochi giorni fa assieme alla nuova area pubblica di un intero parco dedicato al dio-generale, lo raffigura in una situazione piuttosto atipica, mentre guarda verso l’orizzonte dal ponte di un’imbarcazione stilizzata, che probabilmente allude alla fondamentale battaglia di Chi Bi, la più grande dell’intera epoca dei Tre Regni in cui egli giocò un ruolo fondamentale. Il suo mantello, caratterizzato da una strana forma geometrica che sembra ricordare in qualche modo l’estetica del modernismo, parte da una voluta e si estende dietro il corpo del guerriero, che dal canto suo impugna la famosa alabarda del tipo guandao che brandì in vita, la temutissima qīng lóng yǎn yuè dāo: Lama a Mezzaluna del Drago Verde. Egli appare, sotto tutti i punti di vista, pronto a balzare tra il popolo ed i suoi nemici, per difendere ancora una volta la gente più povera e indifesa della Cina.
Sarebbe un errore, tuttavia, limitarsi a definire Guan Yu come un protettore di coloro che impugnano le armi con intento guerresco, alla maniera dell’Ares greco o dell’Odino degli uomini del Nord; egli fu considerato soprattutto, sin dall’epoca della sua divinizzazione avvenuta durante la dinastia dei Sui (581–618) come un simbolo dei servitori che restano fedeli nonostante le avversità, ed accettano le scelte del loro signore con assoluta e imprescindibile integrità. Per la religione taoista, il grande guerriero era un immortale nello spirito se non nel corpo, che ritornò più volte ad assistere i giusti generali delle dinastie successive, comparendogli in sogno o addirittura nell’infuriare della battaglia, per sussurrare nelle loro orecchie le più funzionali e valide strategie. Nell’opinione dei buddhisti invece, egli è il Bodhisattva Sangharama, un santo rimasto tra gli uomini comuni per assisterli e condurli verso l’illuminazione. Per giustificare la sua conversione alla non-violenza dopo un’intera vita di dure battaglie, si racconta che egli fosse apparso una notte sulla cima della collina di Yuquan tre secoli dopo la sua morte, per chiede a Zhiyi, un grande maestro Zen che lì si trovava in meditazione, di insegnargli le regole e i precetti del dharma. Da quel giorno, quindi, il fiero generale avrebbe combattuto solamente per difendere i templi e gli altri luoghi di fede con la sua alabarda, senza mai arrecare un danno ad altri esseri viventi. Entro ragionevoli limiti di sopportazione, sia chiaro.
Stiamo pur sempre parlando, dopo tutto, oltre che di un grande condottiero, del probabile secondo miglior combattente individuale dell’intero periodo dei Tre Regni. C’era infatti stato, durante la presa di potere e conquista della capitale Luoyang del 190 d.C. da parte del signore della guerra Dong Zhuo, qualcuno di superiore persino a lui: il figlio adottivo dell’usurpatore di breve durata, Lu Bu, un giovane e selvaggio generale che si diceva avesse ucciso il suo stesso padre, prima di sottrargli le armi ed il cavallo leggendario, l’inarrestabile ed enorme Lepre Rossa. Tanto forte in battaglia, che persino l’intera coalizione messa insieme dal nobile di corte di Yuan Shao, inclusiva di molti dei guerrieri che sarebbero stati nemici reciproci di lì a poco, temeva affrontarlo a viso aperto. Finché il maggiore dei tre fratelli del giuramento del giardino dei peschi, Liu Bei, non scese in campo assieme a Guan Yu e Zhang Fei, scegliendo di affrontare quest’uomo terribile con il vantaggio del 3 contro 1, durante la catartica battaglia del passo di Hulao. E…Vincere, ovviamente. Altrimenti, che eroi sarebbero stati? Mettendo in fuga colui che era stato ritenuto invincibile, e rimandando il confronto finale ad un momento successivo, che alla fine non sarebbe mai giunto. Lu Bu si era infatti innamorato di una donna, la splendida Diao Chan, e scappò via con lei. Ma fu proprio quello, il momento in cui i più celebri generali della Cina si accorsero di chi era il secondo fratello del trio, un uomo proveniente dal popolo e che si era guadagnato da vivere, in precedenza, intrecciando sandali ed offrendo lezioni ai bambini.
Successivamente ad un simile evento, al fama di Guan Yu sarebbe soltanto aumentata. Nel successivo confronto tra Yuan Shao e il suo precedente sottoposto Cao Cao, che si era ribellato attorno al 200 d.C, l’esercito della coalizione si trovo bloccato presso la città di Boma, ad opera dell’abile generale Yan Liang. In quell’occasione, offrendosi di nuovo come campione, il futuro dio rifiutò una coppa di vino riscaldato, che gli era stata offerta prima di scendere in battaglia: “Sarò di ritorno prima che la bevanda si raffreddi.” Egli affermò. Quindi cavalcando fuori dalle porte della fortezza, gettò scompiglio tra le fila del nemico, riconobbe il parasole del comandante e in un solo rapido passaggio, gli tagliò la testa. Fatto ritorno al cospetto di Yuan Shao, quindi, la gettò ai suoi piedi. E bevve, quietamente soddisfatto.
Né del resto, questa fu la sua maggiore impresa. Famoso è stato anche il caso dei cinque posti di guardia, e dei sei generali, che Guan Yu sfidò successivamente alla battaglia di Boma quando, nonostante le premesse, l’esercito Cao Cao vinse il confronto finale, le forze di Liu Bei furono disperse ai quattro venti ed il secondo fratello venne sfortunatamente catturato, assieme alla famiglia del suo signore. Non desiderando tuttavia giustiziarlo, per la grande stima che aveva di lui, il futuro fondatore del regno di Wei fece di tutto per ingraziarselo, tributandogli numerosi doni e trattandolo come un gran signore. In riconoscenza di questo, Guan giurò di servirlo, a patto che gli fosse stato permesso di tornare dai suoi fratelli non appena fossero giunte informazioni sulla loro posizione. Successivamente, il dio guerriero assistette Cao Cao in battaglia, sconfiggendo alcuni generali di larga fama al servizio di Yuan Shao. Mantenuta quindi la sua parola, rifiutò ulteriori doni, e ad un certo punto decise che sapeva abbastanza sulla posizione di Liu Bei. Allora prese tutte le mogli di quest’ultimo, le fece caricare su un carro e partì verso le frontiere del regno, determinato a non fermarsi dinnanzi a chicchessia. Gli ufficiali posizionati lungo il tragitto da Cao Cao, a quel punto, che oggettivamente non avevano ricevuto alcuna notizia sull’evolversi degli eventi, tentarono l’uno dopo l’altro di sbarrargli la strada. Cadendo senza alcuna difficoltà di fronte alla possenza della sua lama. Finché nell’ultimo capitolo della vicenda, mentre Guan si apprestava a combattere contro il rinomato guerriero con un occhio solo Xiahou Dun, il messaggero del signore del regno non raggiunse finalmente la scena del combattimento, portando i documenti che avrebbero permesso allo stimato sottoposto di lasciare il servizio del sovrano. Mai e poi mai, Cao Cao si sarebbe sognato di offendere un guerriero tanto valido e fiero. In un episodio successivo della guerra dei Tre Regni, in riconoscenza di questo, Guan Yu gli avrebbe risparmiato la vita.
Un uomo senza compromessi, quasi del tutto privo di difetti. Con la possibile esclusione, spesso rimarcata, dell’orgoglio, che lo portò nell’ultimo periodo della sua vita a sottovalutare l’abile generale dei Wu, Lu Meng. Che così poté coglierlo impreparato, poco tempo dopo una gloriosa vittoria contro gli Wei, nella conquista del castello di Fancheng. Occasione durante la quale Guan Yu era stato colpito ad una spalla da una freccia, secondo alcune versioni della storia avvelenata, e successivamente operato dal leggendario medico Hua Tuo, senza nessun tipo di anestesia per suo specifico volere, mentre si concentrava su una partita a scacchi con suo figlio, Guan Ping. Fu quindi una tremenda perdita, per l’epoca ed il mondo intero, quando entrambi costoro furono successivamente presi prigionieri ed uccisi. Mentre il caotico periodo successivo alla caduta della dinastia Han entrava nel suo momento più nero, e lo stesso Liu Bei, ignorando i consiglieri più fidati tra cui il leggendario viceré Zhuge Liang, s’imbarcava in una fallimentare campagna per vendicarlo.
Così l’epilogo della storia fu…Sorprendente. Perché gli stessi regni di Wei e di Wu, seguendo lo sfortunato destino di Shu-Han, svanirono anche loro nella polvere, lasciando il passo ad un nuovo potere, nato da quello che restava degli eredi inefficaci dello stesso Cao Cao: la fazione di Sima Yi, grande stratega che, dopo aver protetto gli Wei dalla furbizia e dalla furia di Zhuge Liang in tre diverse occasioni, gli sopravvisse alla fine, e diede l’inizio alla dinastia dei Jin. Dimostrando come spesso capiti, e del resto lo dice anche il proverbio, che tra i tre litiganti, il quarto riesca a prevalere. Benché sia poi qualcuno di totalmente diverso, e infinitamente meritevole, a restare impresso nei cuori e nelle menti della gente.