È una visione rara che tuttavia, quest’anno, pare essersi presentata a più di un sub del tutto impreparato a dargli un senso ed una logica contestuale. Stando al più famoso blog di biologia marina, Deep Sea News, è dal 7 giugno che presso l’arcipelago delle Azzorre, nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico, si stanno ripetendo alcuni avvistamenti di una delle specie animali più rare e strane del pianeta, la creatura così insolita da esser stata definita, in passato, “unicorno di mare”. Un corpo lungo e ruvido, dalla forma tubolare che stringe sul davanti, fino al presentarsi di una “testa” priva di occhi, bocca o altri riconoscibili elementi. E dall’altra parte, un’apertura da cui viene espulsa l’acqua, che l’essere filtra in quantità abbondante per nutrirsi di sostanze planktoniche e minuscole particelle vegetali. Ma volete sapere la cosa più affascinante? Questo semi-tubo, emette luce e pulsa in modo ritmico. A partire dal momento in cui si scelga di toccarlo. I pirosomi del genus Pyrosoma, questo il loro nome ufficiale, sono incapaci di nuotare: non hanno del resto muscoli, arti o pinne di alcun tipo. Semplicemente si lasciano trascinare dalla corrente, aiutandola per quanto possibile attraverso il moto delle ciglia presenti in corrispondenza dei loro organi principali, che spingono con forza il frutto della loro digestione. Acqua pulitissima. E sogni di pianeti inconoscibili per l’uomo. Si fa presto, in effetti, ad immaginare un essere di fantasia e chiamarlo “alieno” mentre lo si usa come elemento di sfondo per le proprie storie o fantasticherie. Ma la vera difficoltà è pensare a un qualche cosa che sia veramente diverso, o in effetti più strano di quello che noi già abbiamo sulla Terra. Che è in se stessa, innumerevoli ambienti ben distinti, ciascuno dotato delle sue caratteristiche ed insoliti abitanti. Perciò a superficie degli oceani, quando la attraversi, non è come un velo sottilissimo e insignificante. Bensì un vero confine, oltre il quale si presenta ai nostri occhi un mondo progressivamente più bizzarro, tanto più si scelga di dirigersi in profondità.
Basta avvicinarsi a questi esseri con intento di studio, dunque, per scoprire come essi non rispondano alle comuni leggi della biologia, non avendo limitazioni teoriche né per quanto concerne le dimensione, né in materia di durata della loro esistenza tra i viventi. Un pirosoma risulta, teoricamente, del tutto immortale. Il dovrebbe far pensare, pressoché immediatamente, a una colonia di cloni, come quella dei pioppi o di altre specie vegetali, che ripetendo all’infinito la stessa serie di cellule ricreano loro stessi una generazione dopo l’altra, letteralmente indisturbati dall’incedere del tempo. Ed un tale aspetto, certamente, si trova a fondamento dell’intera insolita questione, benché ne esistano degli altri validi a distinguerla da simili creature della superficie. La classificazione scientifica pone infatti questi insoliti giganti ben lontani dal regno vegetale, ovvero all’interno del sub-phylum dei tunicati, una categoria che, a differenza di quella dei sifonofori (un altro essere risultante dall’aggregazione evolutiva tra animali un tempo distinti) è parte a pieno titolo del phylum dei chordata, gli animali dotati di una notocorda, o struttura di sostegno affine alla colonna vertebrale. In altri termini, si potrebbe dire che essi siano in qualche misura addirittura più simili a noi di tante altre alternative del loro ambiente. Il che, naturalmente, non si riferisce tanto al grande tubo tramite cui scelgono d’affrontare le peripezie del mondo. Ma ai singoli elementi costituenti di quest’ultimo, gli zooidi lunghi poco più di un millimetro sospesi nella sostanza gelatinosa della “tunica”, ciascuno dotato del fondamentale dispositivo di filtraggio noto come cesta branchiale. E necessariamente intento a risucchiare ed espellere il suo medium di movimento, curandosi di averne assorbito almeno l’equivalente del suo peso per ciascun minuto trascorso. Non c’è specializzazione della cellula, o per meglio dire delle loro equivalenze, in questi placidi navigatori degli abissi. L’unico ruolo a cui devono rispondere i singoli elementi, quindi, diviene il mangiare, mangiare…
Il pirosoma viene definito un tipo di tunicato piuttosto insolito, poiché lo stile di vita semovente che lo caratterizza non è in alcun modo tipico del suo vicinato tassonomico. La maggior parte degli appartenenti allo stesso subphylum, infatti, sono soliti ancorarsi in qualche maniera al fondale, per mettere in pratica la loro opera di filtraggio da una solida base, alla maniera delle spugne di mare o degli anemoni, tanto per citare un paio di esempi. Avrete tuttavia notato, nel nostro video di apertura o in quello appena visionato, l’esistenza di un diverso tipo di essere, in qualche maniera simile alla loro forma quasi senza senso: esso, piuttosto che un tubo, può essere in qualche maniera accomunato a una catena, ovvero un susseguirsi ininterrotto di zooidi considerevolmente più grandi di quelli del pirosoma. Il nome di una simile presenza è salpe, o in gergo scientifico, Salpida. A differenza dei cugini fin qui citati, questi animali praticano la riproduzione sessuale, generando dei figli che iniziano la loro vita in modo indipendente, poi si aggregano una volta raggiunta la maturità sessuale. Che li vedrà sempre in un primo momento, senza la minima possibilità di errore, come appartenenti al sesso femminile. Mentre col trascorrere del tempo, le catene più anziane cambieranno sesso e diventeranno quindi la pontenziale colonia-compagno, utile al proseguimento della specie.
Le salpe e i pirosomi, ad ogni modo, hanno una notevole capacità in comune: quella di sfruttare con estrema efficacia gli occasionali periodi d’abbondanza dei microrganismi oceanici, ovvero quei momenti, occasionalmente ripetuti, in cui il plankton attraversa una fase cosiddetta di fioritura, per il sopraggiungere di condizioni climatiche particolarmente propizie al suo diffondersi in lungo e in largo. In quel caso, quindi, i tunicati iniziano prontamente a riprodursi con velocità accelerata, soverchiando di molto la capacità di controllo esercitata dai loro principali predatori (pesci di vario tipo, balene, delfini e tartarughe marine). Il che da luogo a dei veri e propri mostri, perché mentre l’animale-catena, per sua natura, ricerca un certo numero di compagni di viaggio e poi si definisce soddisfatto, l’animale-tubo non ha sostanzialmente alcuno spirito di ragionevolezza. E con il suo progressivo riprodursi per partenogenesi, tende a diventare sempre più lungo ed imponente, liberandosi soltanto di una minima parte della propria massa, con la creazione di “germogli” o colonie di avvio, ciascuna dotata di una quantità di zooidi sufficiente alla sopravvivenza. Mentre il corpo principale continua a crescere, raggiungendo dimensioni comparabili a quelle dei più grandi mammiferi marini. I pirosomi maggiori, come quelli che stanno venendo avvistati negli ultimi tempi in prossimità delle Azzorre, possono misurare anche diverse decine di metri, con un diametro in proporzione. Una persona, in effetti, potrebbe facilmente nuotarci dentro. Il che, del resto, è fortemente sconsigliato.
Le informazioni di cui disponiamo in merito alla resistenza dei pirosomi sono piuttosto contrastanti. O ancor più probabilmente, diverse da caso a caso: abbiamo infatti il resoconto di almeno subacqueo citato dalla letteratura scientifica, che azzardandosi a toccare la strana creatura, ha pensato di paragonarla ad un soffice boa di piume di struzzo. È inoltre un fatto noto che esse non si spingano mai in superficie, per evitare la forza delle onde più possenti, che potrebbero facilmente scorporare la malcapitata colonia. Se estratto dall’acqua, inoltre, l’animale non riesce a mantenere la sua forma, ed il tubo collassa immediatamente su se stesso.
Eppure in altri specifici casi, la loro pelle si è rivelata sorprendentemente coriacea. Lo stesso K Gowlett-Holmes, autore del primo video qui riportato, ha raccontato al blog Deep Sea News del caso incontrato dalla sua troupe di immersioni nelle acque della Tasmania, la Eaglehawk Dive, che li portò al ritrovamento di un pirosoma lungo 2 metri, con incastrato al suo interno niente meno che un pinguino minore blu (Eudyptula minor). Pare infatti che l’uccello molto sfortunato, nuotando allegramente per i fatti suoi, avesse inavvertitamente imboccato l’apertura retrostante della colonia di tunicati, ritrovandosi quindi avviluppato dalle sue pareti sul davanti ed ai lati. Nel tentativo quindi di liberarsi, esso aveva iniziato a beccare le pareti del tubo, ottenendo soltanto di incastrarvi il suo becco in maniera pressoché inestricabile. Causando la sua pressoché immediata, nonché inevitabile, dipartita per soffocamento.
Dico, ve lo immaginate? Il terrore di avventurarvi a profondità letteralmente inesplorate, dove per quanto ne sappiamo, potrebbe vivere qualsiasi cosa. Compresa una distesa sterminata di colossali colonie interdipendenti di creature senza nome, non necessariamente propense a fare luce tutto attorno come i loro simili del regno soprastante. Soltanto per scoprire l’invitante ingresso di una caverna. E penetrare quindi al suo interno, torcia alla mano, carichi del sacro spirito dell’avventura. Soltanto per scoprire, impossibilmente, che le pareti si muovono, e già iniziano a piegarsi e contorcersi orribilmente. L’uscita: scomparsa. Il coltello da immersioni: inefficace. Le bollicine d’ossigeno che sfuggono dai bordi del respiratore, mentre la bocca si spalanca in un grido inaudibile ed orribilmente disarticolato…