Molti animali assumono significati differenti sulla base del luogo geografico in cui ci si trova e talvolta, non occorre neppure superare lo spazio di un intero continente, perché il concetto della sacralità finisca per imporsi su creature: il Cervus nippon o cervo maculato del Giappone, talvolta definito per antonomasia semplicemente sika (termine derivante da 鹿 – shika, la parola che vuole dire, per l’appunto, cervo) viene considerato in Hokkaido e nell’intero settentrione del suo paese d’appartenenza come una preda di caccia particolarmente pregiata e difficile da catturare, a causa della proverbiale “furbizia”, che lo porta a nascondersi invece di fuggire, evitando di lasciare tracce che possano tradire la sua presenza. Ma basta viaggiare per circa 1500 Km fino ai piedi del monte Wakakusa, ove la 43° regnante del Giappone, divina Imperatrice Genmei, fece fondare nel 710 d.C. la sua nuova capitale, per trovare un parco in cui questi artiodattili trascorrono giornate di serenità apparente, vagheggiando liberi tra la parte più storicamente rilevante dei celebrati e splendidi Sette Templi Buddhisti di Nanto, oltre ad un santuario shintoista che da sempre, in un certo senso, è come se fosse dedicato interamente a loro. Un luogo in cui naturalmente, come dettano le leggi del contemporaneo, i turisti si affollano in un fiume ininterrotto, che li porta inevitabilmente ad interagire con i cervi. Nell’unico modo che questi ultimi sono disposti a rispettare, ovvero offrendogli del cibo, o nello specifico alcuni particolari cracker di riso senbei, acquistabili a pacchi da 10 del costo unitario di 150 yen. Il che è gradevole per i quadrupedi, sicuramente, e divertente pure per gli umani, soprattutto in funzione dell’abitudine di questi animali ad inchinarsi ogniqualvolta una persona si avvicina con il pegno del suo affetto alimentare, esattamente come fanno in segno di rispetto i giapponesi, nelle circostanze sociali spesso (ma non sempre) corrispondenti al nostri stringerci la mano. Mentre la tradizione vuole, in questo caso, che i cervi in questione siano talmente “educati” da effettuare il gesto per ben tre volte prima di ricevere il boccone prelibato, principalmente in funzione della serie di mosse che il turista dovrebbe compiere prima di cedere al suo ospite cornuto: punto primo, mostrargli il cracker sopra la testa. Allora lui la punta verso il basso. Poi metterlo dietro la schiena, per ottenere il secondo convenevole richiesto dalla prassi. Quindi riportare lo snack nella posizione originaria perché lui/lei produca il terzo inchino, poco prima di ricevere la ricompensa meritata. Benché sia consigliabile, prima di procedere, dividere i senbei per lo meno a metà, onde massimizzare il numero d’inchini che si possono ottenere con una singola spesa dei fatidici 150 yen.
Fine della storia? Volendo. Ma se qualcuno avesse il desiderio di conoscere l’origine remota di una tale tradizione, e sopratutto il motivo segreto, nonché vagamente preoccupante, per cui i cervi sika effettuano l’inchino di fronte ai visitatori dei templi di Nara, credo di poter fornire alcuni dati a margine che troverete sorprendenti. Tutto ebbe inizio, secondo la leggenda, in un’epoca di molto anteriore a quella della fondazione di Nara (VIII secolo) quando le vicende mitologiche all’origine del Giappone stesso furono raccolte ed iscritte, su ordine della stessa Imperatrice, in un libro di cronache intitolato Kojiki, ovvero “Le cronache delle vicende antiche”. Ove si parlò della cosiddetta Nippogonia, ovvero la procedura magica attraverso la quale il padre degli Dei, Izanagi, assistito dalla sua consorte Izanami, infisse la lancia nell’Oceano sconfinato, dando l’origine alla terra del Sol Levante e dei samurai. Una storia certamente nota a qualunque nerd/otaku appassionato di manga che si rispetti. Mentre meno conosciuto è il fatto che un simile testo, in effetti, fosse stato scritto da Ō no Yasumaro, un burocrate dello stato appartenente, per l’appunto al clan con forti interessi mercantili degli Ō, famiglia da sempre devota ad una particolare divinità, ovvero il nume tutelare dei viaggi marittimi, associato per qualche ragione ai cervi: Takemikazuchi-no-mikoto, “colui che infonde il coraggio e la dannazione”. Ora come è noto, purtroppo la madre degli dei Izanami morì di parto, quando per un fato inevitabile si ritrovò a dover dare i natali, assieme a tutti gli altri esseri sovrannaturali di questo mondo, anche a Kagutsuchi il maledetto, nume incandescente del fuoco stesso. Venuto a sapere della terribile notizia, quindi, suo marito Izanagi fu pervaso da una furia incontenibile, ed impugnata la spada Ame-no-ohabari decapitò immediatamente il figlio indesiderato. Ma poiché la Terra non ha aveva ancora ricevuto tutti gli Dei di cui aveva bisogno, dal sangue del malcapitato, per un prodigio straordinario, nacquero altri 16 kami (spiriti del mondo) tra cui, guarda caso, Takemikazuchi-no-mikoto. Un essere dal futuro fulgido, che avrebbe partecipato alla conquista delle Terre di Mezzo dal parte del clan regnante di Yamato, sconfiggendo la divinità locale Takeminakata in quello che sarebbe stato poi considerato il primo incontro di sumo della storia. E che avrebbe ricevuto un grande tempio a Kashima, nell’odierna prefettura di Ibaraki. Gli Dei tuttavia, come è loro prerogativa, sono grandi viaggiatori, e si dice che in un giorno imprecisato questo sovrano del cielo fosse salito in groppa al suo cervo bianco gigante, per recarsi presso la capitale meridionale di Nanto (l’odierna Nara) al fine di recare la buona notizia agli uomini rispettosi di quelle terre: proprio lì sarebbe sorto un altro santuario, il Kasuga-taisha, dedicato a lui ed a tutti i suoi divini fratelli. Quindi se ne andò, volando via. Mentre la sua mitica cavalcatura dalle corna ramificate, accoppiandosi coi cervi locali, diede l’origine ad un immortale progenie…
Chiunque abbia mai visitato il parco di Nara, o ne abbia approfondito le caratteristiche attraverso una breve ricerca online, ben sa che i cervi maculati sono lungi dal costituire l’unica attrattiva locale. L’area è infatti dominata, figurativamente ed anche sulla base dell’ingombro architettonico effettivo, dal gigantesco tempio del Todai-ji, fatto costruire nel 728 d.C. dall’Imperatore Shōmu. Un individuo che era, a differenza della sua antenata fin qui citata, un fervente seguace della nuova disciplina proveniente da Occidente, secondo cui il nobile indiano noto come Śākyamuni, raggiungendo per primo l’Illuminazione, era riuscito a trasformarsi nella prima manifestazione ultra-terrena del Buddha Gautama. Un modo nuovo di concepire la mistica e la religione, che per la prima volta in queste terre introduceva il concetto di una vita successiva alla propria dipartita, in cui tutto quello che si era fatto in vita sarebbe stato in qualche modo ricompensato, o se le circostanze lo richiedevano, punito con severità esemplare. Il sovrano dunque incaricò, con giustificato senso del dovere, il grande monaco Gyoki di recarsi a comunione con le divinità elencate nel Kojiki, i grandi figli di Izanagi, Izanami, del sangue di Kagutsuchi e della spada Ame-no-ohabari, presso il principale luogo di culto del paese, il tempio di Ise dedicato alla dea del Sole Amaterasu-ō-mi-kami. Egli quindi, compiuto il suo pellegrinaggio, si inchinò di fronte alle sacre reliquie e pronunciò queste parole: “O divina, è tuo parere che l’insegnamento del Buddha possa essere riconciliato con il culto più antico del Giappone, dedito a tutti gli Dei del Cielo e della Terra? O dovremmo piuttosto rinnegare gli stranieri, chiuderci in noi stessi e rimanere eternamente ciò che siamo?” Silenzio. Il fato stesso sembrò trasalire per un attimo, mentre l’uomo saggio, grazie alla forza del suo spirito e della sua mente, riuscì ad udire una flebile ma significativa risposta. Che nessuno, mai, conoscerà.
Fatto sta che lui e l’Imperatore furono evidentemente soddisfatti, visto come l’anno successivo, per un editto letteralmente senza precedenti, l’intero popolo del Giappone ricevette l’incarico di partecipare alla costruzione del più grande tempio che il mondo avesse mai conosciuto, infondendo in esso tutta la propria sapienza, riempiendolo delle migliori opere d’arte e facendone il quartier generale di tutte le scuole d’insegnamento buddhista nel paese, che qui avrebbero avuto un ufficio di riferimento, con tanto di biblioteca e figure prestigiose di rappresentanza. La struttura principale, costruita per contenere una statua bronzea dalle proporzioni ciclopiche di Buddha stesso, era alta 57 metri, abbastanza da costituire all’epoca il secondo edificio più alto del mondo dopo le piramidi egiziane. Ha 112.589 tegole dal peso complessivo di 1.200 tonnellate. È lunga 50 e larga 48 metri, mentre il Buddha in bronzo contenuto al suo interno, in posizione seduta e raccolta in meditazione, raggiunge comunque i 14 metri. Al centro della grande sala, inoltre, c’è un pilastro molto speciale, con un foro in mezzo la cui larghezza dovrebbe corrispondere, secondo la leggenda, alle narici della statua stessa. E si dice che chiunque dovesse riuscire a passare all’interno di detta apertura, per gentile concessione degli spiriti del mondo, dovrebbe ricevere ben 10 anni di felicità e la quasi garanzia di una futura illuminazione. Una storia che probabilmente, dovrebbe essere simbolica: un bambino può infatti compiere facilmente l’impresa, mentre un adulto, esaurita la sua età dell’innocenza, no. Non mancano, tuttavia, persone in grado d’intendere un simile fatto in modo totalmente letterale…
Il che ci riporta, per la via traversa del pericolo inatteso, alla questione d’apertura dei cervi del parco circostante al Todai-ji, che lungi dall’essere tranquilli e satolli come si potrebbe forse pensare, sono notoriamente riottosi e talvolta, addirittura, aggressivi coi turisti. È in effetti tutt’altro che raro che uno di loro, insoddisfatto per il singolo cracker ricevuto, finisca per masticare anche i vestiti, la guida o la cartina geografica tenuta in mano del suo aspirante benefattore. Inoltre capita occasionalmente che un gruppo di sika, facendo branco, finisca per mettersi a spintonare e gettare a terra bambini, bambine e/o genitori. Una situazione illogica che andrebbe motivata, principalmente, con l’eccessiva sovrappopolazione animale di questi luoghi, ma che trova anche un ulteriore giustificazione proprio in quel gesto adorabile del triplo inchino. Perché pensateci, non è affatto strano… Quale sarebbe mai l’unica ragione, in natura, per cui un cervo dovrebbe chinare la testa? Ovvio: perché sta per caricare. E cosa pensate che veda, l’adorabile animale, nella tipica tendenza umana che prevede un immediata restituzione del gesto? Se non una sfida, per più volte ripetute, a combattere, o perire! Fantastico! Lo stesso Takemikazuchi-no-mikoto, grande guerriero sovrannaturale dell’antichità, sarebbe andato fiero di un simile spirito combattivo della sua sacra genìa. Vivere ogni giorno della propria vita, tra un balzello, un sonnellino ed una passeggiata, dominando con il proprio muso umido la fiera baldanza degli umani: “Dammi da mangiare, debole creatura bipede, o finirai a gambe all’aria. MUUUH!” Per cui i significati cambiano. Anche tra gli animali. E se la mamma di Bambi avesse avuto lei, il fucile, o ancora meglio, una katana…