Nel prendere coscienza dei mezzi e dei metodi di quello che costituisce, a tutti gli effetti, il paese militarmente più avanzato della scena internazionale, spesso gli analisti dimenticano un dato dall’estrema rilevanza: nella storia strategica e tattica degli Stati Uniti d’America, i nostri alleati d’Oltreoceano hanno sempre preferito contare su una superiorità di mezzi navali ed aerei, prima ancora che semplicemente di terra. Il che non significa che l’addestramento dei loro uomini di fanteria sia in alcun modo inferiore a quello delle altre superpotenze (anzi!) Né che le prestazioni dei loro carri armati lascino alcunché a desiderare; benché questo fosse certamente vero, ad esempio, durante l’epoca della seconda guerra mondiale. Ma è chiaro che l’opera difensiva ed interventista di un paese che si trova geograficamente isolato da tutti i suoi possibili nemici richieda, per sua irrinunciabile prerogativa, un dispiegamento di fondi e risorse che verta maggiormente sulla produzione di armi a lungo raggio, metodi d’intercettamento, sistemi bellici dall’alto contenuto tecnologico. La definizione stessa del concetto di guerra totale contemporanea, un’ipotesi che molto fortunatamente potrebbe non verificarsi mai, si fonda su questa visione tridimensionale del problema, per cui il predominio di un particolare territorio, piuttosto che essere dettato dallo spostamento della linea del fronte, è ritornato ad essere determinato dal possesso di pochi, fondamentali obiettivi strategici. Esattamente come all’epoca dei forti e dei castelli medievali. Immaginate, dunque, questa situazione: Mr. POTUS (Il President Of the United States) riceve un rapporto dai servizi segreti secondo cui un particolare campo di volo, all’altro lato del globo, si sta preparando a lanciare un attacco contro il territorio di un prezioso alleato dello status quo globale. Per un avverso caso del destino, o per specifica pianificazione del nemico, non è presente nei pressi alcuna base in grado d’intervenire in tempo utile, o le risorse di detta installazione sono insufficienti per fare la differenza nel breve tempo utile a disposizione. Ipotizziamo dunque, a questo punto, che si decida comunque di fare tutto il possibile per bloccare la disgrazia che potrebbe giungere a verificarsi di lì a poco. Come procedere, dunque? Ammesso e non concesso che le tempistiche in gioco permettano di farlo entro l’ora X, il comando strategico ordinerà, molto probabilmente, un bombardamento a tappeto dell’obiettivo. Durante la crisi in Libia del 2011, tre bombardieri strategici stealth B-2 (il caratteristico aereo con forma a delta) decollarono dalla loro base nel Missouri per colpire alcuni bunker delle forze fedeli a Gheddafi nel Medio Oriente, quindi fecero ritorno al punto di partenza senza la necessità di alcun tipo di scalo. Tempo totale di missione: 25 ore. Ed essenzialmente, allora, il vantaggio acquisito con tale exploit fu giudicato sufficiente, e non furono ordinate nuove sortite contestuali alla prima. Se vogliamo tuttavia tornare all’ipotesi di uno scenario di guerra futura tra due o più superpotenze, è impossibile non notare come un obiettivo bombardato sia anche, essenzialmente, una possibile zona da cui far partire un’invasione di terra. E ciò soprattutto grazie a una particolare scuola operativa delle truppe dell’esercito, quella dei paracadutisti da assalto forniti di quel fenomenale aereo da trasporto che è il C-17.
Ora, gli Stati Uniti mantengono in condizioni operative numerose divisioni addestrate a questo particolare tipo di situazioni, ma le più famose restano essenzialmente due: l’82° “All American” nata all’epoca della grande guerra e composta, negli anni immediatamente successivi all’evento, da membri che rappresentavano ciascuno dei 48 stati non ancora dotati di paracadute, e la 101° “Screaming Eagle” (Aquila Urlante) in grado di far risalire la sua riorganizzazione come gruppo aerotrasportato a niente meno che l’operazione Overlord del cosiddetto D-Day, ovvero il singolo assalto con paracadutisti più grande e significativo della storia. Come spesso càpita nelle vicende delle forze armate, simili prestigiose istituzioni furono rinnovate ed ammordernate più volte, creando un filo ininterrotto che sostanzialmente, le ha trasportate intatte fino a noi. Ed è proprio così che le ritroviamo, nel qui presente video del canale divulgativo AiirSource Military, mentre effettuano un’esercitazione congiunta presso la Sicily Landing Zone, un tratto semi-desertico sito a qualche chilometro da Fort Bragg nella North Carolina. La telecamera, gestita molto evidentemente da uno o più professionisti e non semplicemente trasportata a bordo da un parà, diventa così un occhio scrutatore all’interno di una delle ultime elite del mondo militare. Tutti i loro segreti, se mai tali erano stati, ci vengono gentilmente offerti su un vassoio di tungsteno.
La prima cosa che si nota, nell’intera sequenza, è l’atmosfera apparentemente tesa e quasi trasognata di molti dei mìliti coinvolti. Una situazione che, in realtà, ha un’origine puramente meccanica e funzionale: è infatti un dato spesso ri-pubblicato online, da molti di coloro che hanno sperimentato questa particolare esperienza, come il tempo necessario dalla presa in carico della missione all’effettivo lancio richieda un alto numero di ore, tale da sfidare la pazienza dei migliori di noi. L’utente di Reddit paratroop82504 ne fa un resoconto piuttosto puntuale: si comincia, generalmente, fino da 6 ad 8 ore prima del momento della verità, con la presa in carico da parte dei soldati di tutto l’equipaggiamento necessario al salto. In particolare, ciascun membro della spedizione viene fornito del suo paracadute a static line nome in codice ALICE o MOLLE oltre alla custodia M1950 con le armi che dovrà portare. Un’operazione che richiede all’incirca due ore per l’intera compagnia. Gli uomini vengono quindi caricati su mezzi di terra per essere trasportati fino al campo di volo, dove riceveranno un briefing sommario sul tipo di salto, la zona di atterraggio e le loro mansioni una volta a terra. I capi di ciascun gruppo operativo quindi, i Jumpmasters, colloquiano tra loro, poi inizia la fase di vero e proprio pre-lancio. A ciascun soldato viene chiesto un ripasso con dimostrazione pratica dell’addestramento ricevuto, ivi inclusa una drammatizzazione dell’operazione stessa, con tanto di attraversamento di finte porte d’aereo e successivo rotolamento su di un apposito materassino, con la specifica tecnica concepita per ridurre le sollecitazioni potenzialmente lesìve nel momento dell’atterraggio. Ciò richiede, in genere, almeno altre due ore.
Si passa quindi alla procedura che il nostro amichevole insider definisce della Rampa Verde, quando si effettua un appello finale e i parà vengono, occasionalmente, sottoposti a un ulteriore giro di prove e simulazioni. A questo punto, viene il momento dell’effettiva bardatura con tutto l’equipaggiamento ed il paracadute, seguita dalla procedura di contro-verifica della JMPI (Ispezione del Jumpmaster) che può tranquillamente richiedere, per l’intero gruppo di volo, un’altra ora o due. Ed è a quel punto, finalmente, che tutte le personalità coinvolte prendono posto sull’aereo ed inizia lo scenario mostrato dal nostro video di apertura. Ora capirete il perché dell’espressione assorta dei soldati. Per uno stato di noia che, comunque, non durerà ancora molto a lungo, visto come il momento del salto dovrà giungere, in condizioni di addestramento, dopo qualche decina di minuti appena, una volta raggiunta la zona di atterraggio designata. A quel punto, come avrete visto nel video, i paracadutisti vengono assicurati ad un binario nella parte superiore della carlinga, tramite il cordone ombelicale della già citata static line. Stiamo parlando, essenzialmente, di un sistema di apertura automatico concepito per essere fool-proof (a prova d’idiota) ed utilizzato, in ambito civile, durante il primo addestramento di coloro che s’interessano al paracadutismo. Il suo funzionamento prevede, infatti, che il paracadute venga tirato fuori dalla sua sacca per l’effetto della fune stessa, che una volta effettuato il suo compito resterà attaccata all’aeromobile assieme alla borsa stessa. La logica di una tale soluzione è duplice: da una parte, per questo tipo di lanci effettuati a bassa quota i soldati saranno in aria soltanto per pochi secondi, al fine di offrire un bersaglio meno attraente per un ipotetico nemico. Benché vada considerato, come dicevamo prima, che uno scenario di utilizzo moderno dei paracadutisti non possa prescindere da una precedente bonifica della zona di atterraggio. Mentre dall’altra parte, un simile sistema ha il fine di ridurre al massimo la possibilità di errore umano: organizzare diversi lanci al mese con migliaia di partecipanti ciascuno (un singolo C-17 trasporta fino a 102 paracadutisti) significa, statisticamente, che almeno un individuo ogni tanto sia distratto o incauto per sua naturale predisposizione. Tanto meglio, dunque, provvedere in maniera certa al semplice ma assolutamente fondamentale gesto di tirare il suo cordone di apertura. La stessa linea di ragionamento, molto evidentemente, può essere ritrovata nella scelta del tipo di paracadute usato in queste operazioni, rigorosamente del tipo più grande, tondo e non manovrabile. Ciò perché, con tante persone in aria, è semplicemente preferibile che ciascuno di loro sia trasportato dal vento e per forza di cose, nella stessa direzione. Un attorcigliamento dei cavi, nonostante la presenza del paracadute di emergenza, potrebbe rivelarsi facilmente letale.
Ritornando al nostro scenario ipotetico iniziale, è importante ribadire che nessun tipo di lancio contemporaneo in situazione di guerra totale potrebbe mai essere, in condizioni normali, in alcun modo paragonabile a quelli che venivano effettuati all’epoca dei grandi conflitti del secolo scorso. Questo perché i moderni sistemi di rilevamento ed intercettazione disponibili ad un paese militarmente forte, in effetti, potrebbero facilmente abbattere qualsiasi aereo da trasporto ben prima del rilascio del suo prezioso contenuto umano. Considerate anche come, mentre all’epoca della seconda guerra mondiale un lancio coinvolgeva letterali migliaia d’aerei, ciascuno contenente poco più di una singola squadra o anche soltanto una parte di essa ciascuno era purtroppo, tristemente sacrificabile. Mentre attualmente esistono in tutto il mondo meno di 250 C-17, ciascuno dei quali contenenti un centinaio di soldati, laddove l’incapacità di anche soltanto uno dei mezzi predeterminati di raggiungere l’obiettivo causerebbe l’immediato fallimento della missione, o per lo meno una sensibile riduzione delle sue probabilità di riuscita.
Il paracadutismo militare era e resta, dunque, una realtà in continua evoluzione. Fin dai primi esperimenti effettuati dalla Russia negli anni ’30 e passando per l’impiego da parte dell’esercito del Reich tedesco, durante le invasioni riuscite di Danimarca, Norvegia, Francia e Olanda. Se non che un clamoroso fallimento nel tentativo di invadere l’isola di Creta, nel 1941, né limitò l’utilizzo da parte di tutte le forze del conflitto. Fino al glorioso, ed altrettanto costoso in termini di vite umane, ritorno in forza per l’occasione del D-Day e tutta l’operazione Market Garden, che molti storici considerano un fallimento strategico se non tattico, per la sostanziale inutilità dei territori riconquistati dagli alleati. È dunque possibile dire, a posteriori, che l’Europa sarebbe stata liberata dal giogo dei totalitarismi anche senza l’aiuto dei soldati provenienti dal cielo? Possibile. Ma anche loro, di sicuro, sono stati d’aiuto. Ed un problematico domani, chissà quali scenari potrebbero richiedere la loro diretta partecipazione…