È una voce tra tante nell’elenco di possibili disgrazie messe in fila nei telegiornali. Mentre l’economia cola a picco, paesi lontani si fanno la guerra, intere popolazioni soffrono la fame, ahimé, sempre più spesso capita che il clima ci metta del suo. Perché non sembra tanto estremo né pericoloso, scegliere di vivere in pianura, nei pressi di un torrente o fiumiciattolo che viene da lontano! Ogni stato delle cose è eterno, nella natura, giusto? Chiedetelo a Pompei. Ed Ercolano. Di certo non vorremo mai scambiare l’ancestrale esplosione del Vesuvio con lo straripamento dell’Arno, della Senna, del Genna o del Riglio (tutti corsi d’acqua che negli ultimi tempi hanno fatto sentire la propria voce) né del resto una colata lavica, che tutto brucia e poi trasporta via, può essere comparabile a qualche centimetro o appena un metro d’acqua non più chiara e fresca, perché ormai ricolma dei detriti che ha incontrato sulla via. Ma provate a pensare, per un attimo, che tutte quelle cose rovinate siano i contenuti più preziosi della vostra vita: vestiti, libri, mobili, elettrodomestici etc. A quel punto sarebbe lecito far qualsiasi cosa, pur di FERMARE l’acqua. Non che sia facile, s’intende. A meno che… Chiunque abbia preso visione degli sconvolgenti e numerosi video relativi allo tsunami giapponese del 2011, causato dal grande terremoto del Tohoku, ricorderà sicuramente lo strano comportamento dei cineamatori, che spesso rimanevano a poche decine di metri, persino meno dalla furia dell’Oceano divoratore, mentre tutto a loro scorrevano, in aggiunta alla massa vorticante e quegli oggetti già citati, interi autoveicoli, cassonetti e piccoli edifici. Testimoni totalmente indifferenti, quasi come non fossero direttamente in pericolo, nonostante le apparenze. Un’affermazione che, del resto, non è totalmente priva di una base logica di fondo: l’acqua, come tutti i fluidi, si deforma illimitatamente. Il che significa che mentre risale per la costa insulare, o scavalca gli argini di un fiume imbizzarrito, deve necessariamente assottigliarsi e spandersi sul territorio. E a volte basta trovarsi poco più in alto, anche soltanto di un metro o due, per scampare largamente alla sua furia. È per questo che, fra tutti i disastri più terribili della natura, ed a patto di disporre di soccorsi validi e immediati, le vittime di un’alluvione sono in genere relativamente poche. Gli uomini possono correre e mettersi in salvo. Non così, le case.
Un uomo all’apparenza molto soddisfatto di se stesso (ne ha ben donde) compare dinnanzi alle telecamere della KHOU, tv texana con sede a Houston. Siamo nella contea di Brazoria, dove un recente e significativo incremento delle piogge ha causato lo straripamento del fiume Brazos e conseguentemente inondato la ridente comunità di Rosharon. Mentre l’inviata descrive la storia di costui, la situazione appare in tutto il suo drammatico splendore: quella che era stata un tempo la strada di scorrimento di un quartiere residenziale, con prati attentamente curati e un grande numero di abitazioni disposte a schiera, è ora a tutti gli effetti un affluente del grande corso, i cui tentacoli bagnati si estendono attraverso porte, finestre, ogni altro possibile tipo d’apertura. Il danno, per i residenti locali, si avvicina all’incalcolabile. O forse dovremmo dire il danno per tutti i residenti tranne Randy Wagner, questo individuo che molto previdentemente, riprendendo in qualche maniera il gesto biblico del patriarca Noè, si era mosso d’anticipo prendendo contatto con la filiale in Louisiana di una particolare azienda statunitense, la Aqua Dam. Produttrice di quel tubo nero, simile a una camera d’aria o un qualche misterioso tipo di bruco gigante, che egli ha fatto disporre accuratamente intorno alla sua preziosa magione, e che adesso la mantiene in piena sicurezza dalla furia distruttrice dell’inondazione. L’acqua, insomma, non è riuscita in alcun modo a passare…
Sarà meglio, a questo punto, spiegare la natura di questa tecnologia che forse non salva direttamente le vite umane, ma ci va molto, estremamente vicina. L’Aqua Dam, come avrete ormai certamente ben compreso, è un grande tubo in plastica estrusa che agisce come una diga, formando una barriera non permeabile di fino a tre metri di altezza, benché in genere possa bastare molto meno. E chi tra voi avesse pensato che al suo interno, come avviene per le camere d’aria da bicicletta a cui tanto vagamente rassomiglia, ci fosse semplicemente dell’ossigeno, sarà destinato a rimanere sorpreso: come intuibile dal nome del prodotto, infatti, la sostanza che riempie la salsiccia si misura in realtà in litri. Non si tratta d’altro, in effetti, che dell’acqua stessa dell’inondazione, oppure prelevata localmente ed immessa grazie a delle pompe che dovranno essere disponibili per tutta la fase di installazione. Questo perché soltanto un qualcosa di altrettanto denso e pesante, in effetti, poteva bastare a fermare la massa dilagante dell’ondata alluvionale. È tuttavia evidente, se paragoniamo questa soluzione all’alternativa tipica dei sacchetti di sabbia, che i vantaggi siano molto significativi: una singola Aqua Dam può bastare per proteggere un perimetro di fino a 300 metri, ed una volta arrotolata, entrare facilmente nel cassone di un pick-up. Quindi, una volta trasportata sul luogo dell’impellente disastro, verrà montata e riempita in poco più di mezz’ora, laddove l’equivalente in sacchetti avrebbe tranquillamente richiesto la metà di una giornata di alvoro. Lo possibilità di errori commessi dai lavoranti, inoltre, con conseguente aumento della permeabilità, si riduce pressoché allo zero.
Una Aqua Dam, sarà meglio specificare a questo punto, non è comunque un semplice tubo. Ma un sistema brevettato che ne prevede un totale di tre, fra cui quello esterno, più rigido e resistente, e due affiancati al suo interno, la cui suddivisione garantisce una maggiore stabilità al prodotto ed evita che rotoli se sottoposto ad improvvise sollecitazioni. In determinati casi, tra le due metà interne viene aggiunto un ulteriore elemento rigido, il baffle, al fine di garantire la capacità di resistere alla pressioni di una forte corrente. Un passaggio fondamentale, nel momento dell’installazione della diga, è quello di rimuovere tutti i sassi o gli altri detriti che potrebbero trovarsi nello spazio rilevante. Questi infatti, non soltanto potrebbero forare la plastica dell’involucro, ma creerebbero dei dislivelli irregolari in grado di compromettere la naturale tenuta stagna del dispositivo. Tali oggetti estranei, quindi, potranno essere disposti in corrispondenza del lato interno dell’Aqua Dam, onde massimizzarne ancor di più la stabilità. In casi veramente estremi, poi, l’utente potrebbe scegliere di installare una seconda diga dietro alla prima, più bassa, che possa agire da sostegno e barriera di seconda linea. Un aspetto interessante di tale soluzione è che la prima, più grande, appoggiandosi ad essa tenderà ad assumere una posizione più sviluppata in altezza, aumentando il livello massimo dell’acqua tenuta fuori dall’area del perimetro protetto.
Gli impieghi oltre a quello del controllo delle alluvioni, ad ogni modo, sono molteplici. Il sito dell’Aqua Dam elenca tra i casi ha cui ha fatto fronte direttamente, fornendo sia il prodotto che la manodopera, cantieri edili di grandi opere pubbliche, situazioni d’intervento successivamente a contaminazioni di corsi d’acqua, la riparazione di rampe per le imbarcazioni e anche l’immagazzinamento temporaneo dell’acqua in situazioni di siccità. L’intero prodotto, infatti, è certificato come conforme a venire in contatto con il cibo e le bevande. Un ulteriore campo d’interesse, forse imprevisto dagli stessi produttori dell’Aqua Dam, è invece quello ricreativo. Nel disporre la diga in una situazione di fondale basso e balneabile, infatti, si ottiene l’equivalente di un molo morbido e tranquillamente calpestabile, da cui tuffarsi o su cui mettersi per prendere il sole (certo, se persone intente alle due attività dovessero incontrarsi, potrebbe diventare il problema. Il sito ufficiale cita inoltre un particolare caso in cui l’amichevole salsiccia era stata ricoperta da uno strato di plastica particolarmente scivolosa, creando un perfetto scivolo orizzontale sopra cui lanciarsi verso la remota immensità del mare. Nel frattempo all’altro lato del Nordamerica, presso Prince Island in Canada nella città di Calgary, un video dell’amministrazione comunale parla di come il sistema si sia rivelato l’ideale per proteggere la locale pista di pattinaggio dall’incedere inesorabile del ghiaccio stagionale, che normalmente, giunti alla metà della stagione, generalmente la trasformava nella ragionevole approssimazione di un circuito da motocross. Nel freddo estremo dell’inverno, tra l’altro, la stessa acqua all’interno dei tubi di gomma si solidifica, costruendo un Muro sufficientemente solido da poter trattenere facilmente persino gli scheletrici antagonisti del Trono di Spade.
Ed alla fine, l’intero succo della questione è perfettamente riassunto nella dichiarazione del texano Randy Wagner: “Ho speso 8.300 dollari per la diga. Ma se non l’avessi fatto, ora avrei subìto danni per oltre 150.000. Ed inoltre, mi sarei trovato senza casa!” In un mondo perfetto, quella somma notevolmente ridotta dovrebbe a questo punto essere risarcita dalla sua assicurazione, con tanto di un premio per la sua furbizia e prontezza d’animo risolutiva. Qualcosa mi dice, tuttavia, che questo non succederà.