Teoria e pratica di una fototrappola nella foresta

Camera Trap

Tutti vorremmo fare sempre un buon lavoro. Ottenere un risultato valido ed ineccepibile, sostanzialmente privo di difetti. Tuttavia non sempre questo è possibile, per una vasta e disparata serie di ragioni. Incluse quelle molto piccole, con le antenne e sei flessibili ma dispettose zampe… Cosa potremmo mai fare, a quel punto? Se non riprovare, tentare ancora verso la sagoma allettante del successo?
Gigantesco, silenzioso e sonnolento, il tapiro della Foresta Amazzonica procede dondolando per il sottobosco, alla ricerca di materia vegetale adatta alla consumazione. Non è un animale rapido, scaltro, furtivo, particolarmente abile a mimetizzarsi in ciò che lo circonda. Da un punto di vista particolarmente fatalista si potrebbe persino affermare, in effetti, che il suo ruolo evolutivo sia sempre stato quello di costituire un pasto facile ma sostanzioso per i due più grandi e forti carnivori del Sudamerica, il giaguaro e il puma. Eppure, il numero di esseri umani provenienti da un paese moderno che abbiano visto questa creatura con i loro stessi occhi sono inferiori agli iscritti di un liceo di medie dimensioni. Questo in primo luogo, per la vastità del territorio in cui andrebbe cercato, tra alcune delle zone più irraggiungibili e climaticamente inospitali del pianeta. E secondariamente, perché si tratta di una creatura estremamente attenta. Dal naso acuto e in grado di accelerare per brevi tratti, andando a correre tra i cespugli o gettandosi in acqua per sfuggire ai predatori. E nella giungla tropicale seguire un qualcosa di rapido è decisamente arduo, per la quantità e varietà pressoché inesauribili dei suoni di sottofondo; molto meglio, dunque, fermarsi ed aspettare. Ed oggi non è neppure necessario farlo… In prima persona. Per chi non lo sapesse, una fototrappola è per definizione un dispositivo formato da una macchina fotografica digitale, con una capiente memoria a stato solido ed una sufficiente autonomia, nonché modalità automatiche di risparmio dell’energia, che viene collegata da un sensore ad infrarossi di qualche tipo, e potenzialmente ad un flash, quindi posizionata in prossimità di un luogo dove, si ritiene, potrebbero passare gli animali. Questi ultimi da quel momento, ogni qualvolta si troveranno ad interrompere il flusso luminoso del sensore, saranno immediatamente fotografati, permettendo al possessore dell’intero apparato, generalmente un fotografo o un ricercatore (ma simili dispositivi si utilizzano anche per la caccia) di ampliare il suo repertorio relativo ad un particolare ambiente. Naturalmente, la stessa impresa può essere compiuta mediante l’impiego di una telecamera, programmata per registrare alcuni minuti di video a séguito dell’avvicinamento del soggetto designato.
Ora, l’impiego di una fototrappola può rivelarsi molto utile a diversi scopi: essa permette di verificare la varietà faunistica di un particolare punto nel tempo, senza dover impegnare il biologo in lunghe, e qualche volta impossibili, rilevazioni fatte sul campo. Potrà permettere inoltre il conteggio di specie a rischio di estinzione, motivando la trasformazione di aree selvagge in veri e propri parchi naturali, protetti dal bracconaggio e dalla deforestazione. In rari e particolari casi, può anche portare alla scoperta di nuove varietà o specie di animali. Ma è ovvio che l’impiego idoneo di un simile strumento, affinché non si trovi unicamente a fare scatti su dei falsi positivi, richiede la scelta di una collocazione idonea, in cui possa riuscire a fare un buon bottino. E nel selezionarla, probabilmente, non esiste un ispiratore migliore di Paul Rosolie, il naturalista famoso per aver tentato di farsi divorare intenzionalmente da un’anaconda e che nel 2013 aveva invece avuto l’idea, decisamente più ispirata, di collocare la propria fototrappola presso un deposito naturale di sali minerali, definito nella lingua locale una colpa. Ovvero uno di quei luoghi argillosi, non infrequenti nella giungla amazzonica, presso cui gli animali si recano per integrare la propria dieta con quelle sostanze inorganiche (calcio, magnesio, potassio…) che aiutano la loro digestione. Ottenendo un qualcosa di assolutamente straordinario…

Camera Trap 2
Il ricercatore Jeff Cremer, del canale Rainforest Expeditions, spiega gli ostacoli tecnici da superare nella costruzione della perfetta fototrappola forestale. In particolare consiglia di proteggere adeguatamente l’attrezzatura, se possibile con custodie a tenuta stagna e SOPRATTUTTO a prova d’insetti. Sarà infatti già lui, a perdere una costosa fotocamera per colpa di un’invadente colonia di termiti!

Il video si apre in maniera piuttosto prevedibile ed al tempo stesso tropicale, con alcuni Mitu dal becco a rasoio, simili a un incrocio tra un pappagallo nero ed un gallo cedrone, che scacciano via i Penelope jacquacu, uccelli più piccoli dalla vistosa macchia rossa sul collo. Mentre nel contempo, una cervo mazama rosso si avvicina alla videocamera per poi balzare via, come colto da un invisibile presentimento. È interessante notare come ogni aspetto del video sia narrato da Rosolie, che dichiaratamente ha tentato con questo suo particolare documento video di produrre un qualcosa che fosse appassionante ed al tempo stesso divulgativo, ovvero completo di tutte quelle nozioni didascaliche che spesso mancano in realizzazioni di questo tipo. Per questo lui procede, nella narrazione, ad introdurre i successivi visitatori del vero e proprio porto franco, una scimmia ululante (Alouatta sara) e una cappuccina bianca (Cebus albifrons). Per restare quindi notevolmente sorpreso dalla successiva venuta di un armadillo gigante, creatura che raramente si sposta durante le ore diurne. Con l’arrivo della sera, quindi, le cose iniziano a farsi davvero interessanti: dinnanzi alla telecamera si presenta un agile ocelot (Leopardus pardalis) la cui forma pare fluire naturalmente tra le ombre degli alberi pluri-secolari. La sua presenza diventa quindi la scusa per elencare alcune delle prede preferite, anch’esse, naturalmente, transitate dinnanzi al magico obiettivo: conigli, opossum, porcospini e il bonario paca (Cunniculus paca) un grosso roditore che può pesare fino a 14 Kg. Si torna quindi brevemente alle ore diurne, per mostrarci un’intera famiglia di pécari, creature molto simili ai cinghiali, che ci spiega Rosalie, costituiscono sempre un’indicazione del buono stato di salute ecologica della regione di appartenenza. Viene quindi l’ora lungamente attesa dei tapiri: ben due esemplari. Un maschio che raggiunge la videocamera nelle ore diurne, e quindi la femmina coi cuccioli la sera, tutti doverosamente intenti a risucchiare i sali minerali presenti nel suolo della colpa. Difficilmente si potrebbe restare delusi dalla visione di un simile buffo, eppur maestoso animale. La carrellata, senza lasciarci tempo per meditare, continua, con altri cervi, un formichiere gigante che sembra notevolmente interessato alla videocamera ed infine i felini: un puma, un giovane giaguaro (Panthera onca). Il momento forse più impressionante del video si ha quando il naturalista, fido machete alla mano, si reca successivamente al tramonto per prelevare i risultati delle riprese e cambiare le batterie, lasciando ben presto l’inquadratura. Quando soltanto due minuti dopo, ci viene addirittura mostrato, sulla scena sopraggiunge un grosso giaguaro adulto, che probabilmente l’avrebbe subito aggredito. E qui stiamo parlando, sia chiaro, del singolo predatore di terra dal morso più potente della Terra, che generalmente uccide le proprie prede senza preoccuparsi di morderle alla giugulare, ma semplicemente masticandone il cranio grazie alla potenza incommensurabile della sua mascella. Non proprio un incontro, insomma, particolarmente consigliabile tra le fronde cadenti di un vasto ambiente forestale incontaminato.
L’impiego della fototrappola: un mestiere…Difficile. Che non sempre va per il verso giusto. Vedi ad esempio questo video di febbraio, in cui l’entomologo Phil Torres si scontra con una scomoda, per quanto imprescindibile realtà:

Camera Trap Ants
“Credevamo di fotografare qualcosa di fantastico tipo, che so, un giaguaro. Invece abbiamo trovato…”

È una situazione che non gli ha risparmiato molte critiche su Internet, benché gli debba riconoscere un senso di autocritica e capacità di prendersi poco sul serio tutt’altro che indifferenti. La stessa propensione a pubblicare online la video-documentazione della svista che ha finito per costargli oltre 2000 dollari di equipaggiamento, è indicativa di un profondo desiderio di sdrammatizzare, senza perdersi troppo d’animo rallentando l’andamento delle proprie ricerche. La scena che Torres ha trovato la momento di andare a ritirare la sua memory card, tuttavia, deve averlo lasciato basito: ecco la sua costosa fotocamera, non più coperta dal sacchetto di plastica, ma dolorosamente esposta agli elementi, per di più dopo un’intera nottata d’intensa pioggia. E un cavo di alimentazione rosicchiato, anzi letteralmente mangiucchiato, così come lo stravagante tripode da lui selezionato per l’operazione. Una situazione sfortunata che sembrerebbe costituire, se non fosse impossibile, la vendetta personale di un chihuahua abbandonato. Quando la realtà è molto più semplice, ed insidiosa di così: “Lo vedete quel piccolo cumulo di terra, laggiù?” Indica lo sfortunato fotografo: “Ecco, quello è un nido di formiche tagliafoglie.” Non è ironico, che proprio un entomologo debba pagare la sua svista in merito a una simile questione? Ciò che è capitato, quindi, la sera stessa dell’attivazione della fototrappola, è che i mordaci imenotteri eusociali hanno preso ad esplorare gli oggetti poco familiari, trovandoli in qualche maniera di loro gusto. Hanno quindi proceduto, quasi immediatamente, a tagliare a pezzi la protezione di plastica, scambiandola per quelle foglie che comunemente impiegano come sostrato per le loro coltivazioni sotterranee di funghi. Una volta raggiunto l’interno, quindi, alquanto stranamente, si sono accaniti su qualsiasi componente ed elemento in gomma, forse per una sorta di gusto perverso personale. Torres ipotizza che il materiale potesse essere intriso di tracce minime di sale, dovute al contatto ripetuto con le mani umane. Questo specifico dato, molto probabilmente, non lo acquisiremo mai. Ciò che conta, è che riprendere le bestie non è facile. Né, talvolta, economico! Sarebbe difficile però definire una simile attività come “superflua”…
Il video della colpa argillosa di Paul Rosolie, intitolato Amazon Rainforest Wildlife e premiato dall’organizzazione delle Nazioni Unite, ebbe infatti lo scopo dichiarato di dimostrare al mondo la varietà di animali presenti nella regione peruviana di Madre de Dios, ormai da anni soggetta a sfruttamento incontrollato e bracconaggio, anche a causa del vicino passaggio della superstrada trans-amazzonica, o BR-230. Certo, la modernizzazione delle infrastrutture è importante. Ma senza video come questi a ricordarci i meriti contrapposti ed imprescindibili della natura, potrebbe diventare tutto ciò che ci rimane.

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