Un uomo dalla folta chioma bianca, nudo, iscritto in un cerchio e in un quadrato. Il cui ombelico costituisce il centro esatto della composizione e le cui braccia e gambe, rappresentate in due possibili posizioni, raggiungono rispettivamente il perimetro della prima delle due forme geometriche se divaricate alla loro massima estensione, oppure della seconda, quando parallele e perpendicolari al suolo. Non c’è forse una singola immagine, a questo mondo, che possa riassumere in maniera più lampante il concetto stesso alla base del Rinascimento, per la maniera in cui Leonardo Da Vinci, in quel suo disegno del 1490, si rifaceva ad un particolare brano di un architetto e scrittore latino, Marco Vitruvio Pollione, nella sua personale ricerca di una base matematica ed oggettiva per il mondo dell’arte. Probabilmente già allora ben cosciente, da grande saggio ed uomo di mondo quale lui era, di come un qualcosa di simile fosse già stato disegnato oltre 80 anni prima in un ambito totalmente diverso, eppure in qualche maniera, a lui affine. Ovvero negli studi sulle mosse tattiche disponibili a uno spadaccino, prodotti da Fiore de’ Liberi da Premariacco, sommo magistro de’ scrima (la scherma) del Patriarcato di Aquileia, l’odierna Cividale del Friuli. Certo, la qualità e l’accuratezza anatomica erano ancora quelle approssimative delle miniature medievali. Del resto, l’autore non praticava pittura, scultura etc. Ma visto a posteriori, il fondamentale diagramma delle Sette Spade, che apre il suo testo del 1409 Flos duellatorum, fa una certa impressione: perché raffigura un’altra figura umana, vestita e con le braccia conserte, anch’essa iscritta all’interno di un cerchio. Di spade. O per meglio dire, formato dai quillons, ovvero le prominenze laterali che costituivano la versione più diffusa del concetto di guardia proteggi-mani, e diedero per secoli a tutte le spade d’Occidente la caratteristica forma cruciforme, mentre ciascuna lama, come guidata da una forza invisibile, sembra puntare dritta al cuore del malcapitato. Ora, a parte il fatto che tra un’arma e l’altra, nell’illustrazione del Fiore fossero stati inclusi i quattro animali corrispondenti alle virtute dello spadaccino (la lince prudente, la tigre veloce, il leone coraggioso ed il forte elefante) ciò che colpisce è proprio un tale dato: perché mai, nella raffigurazione dell’uomo ideale, l’autore aveva scelto di porlo tra gli apparenti pericoli acuminati? Non sarebbe stato più sensato rivolgere le spade verso l’esterno?
Una risposta possibile è che si fosse trattato di un semplice vezzo stilistico, ma nei fatti, potrebbe esserci una ragione più profonda. Proprio il magistro di Premariacco, in effetti, fu l’inventore formale di una particolare tecnica di combattimento all’arma bianca, concepita appositamente per contrastare gli armigeri vestiti della poderosa armatura a piastre europea, indubbiamente la protezione più efficace contro le armi da taglio mai concepita nella storia dell’umanità. Il punto, sostanzialmente, è questo: la spada è l’arma più sopravvalutata dai moderni, che molto giustamente, non l’hanno mai utilizzata. Abituati al cinema, ai videogiochi, e perché no, all’animazione giapponese, in cui tale arma viene mostrata affettare con drammatica facilità ogni sorta di nemico più o meno umano, non siamo più coscienti di come essa costituisse in effetti, più che altro, un puro simbolo di nobiltà. Servendo soprattutto, fino all’epoca pre-moderna, nell’attività prettamente nobile dei duelli. Mentre in un campo di battaglia, quando la propria stessa vita e quel che è peggio gloria ed il buon nome, erano in gioco, un cavaliere avrebbe preferito impugnare armi come la mazza, l’ascia, l’alabarda. Si potrebbe in effetti pensare che la limitata disponibilità e l’alto costo dell’armatura completamente in metallo, in qualche modo, bastasse a creare un’elite di guerrieri, sostanzialmente impossibili da ferire mediante l’impiego di metodi convenzionali, mentre i popolani costretti a combattere cadevano come mosche di fronte alla loro invincibilità. Quando la realtà è che, grazie all’opera di teorici o istintivi utilizzatori di tecniche affini a quelle di Fiore dei Liberi, non fu sempre, o quasi mai, così.
Il nome dell’approccio, analizzato nella sezione del Flos duellatorum che spiega come affrontare un avversario in armatura, è mezza-spada, probabilmente perché aveva l’effetto, inevitabile per quanto indesiderato, di accorciare la parte utile della propria stessa lama. Portando tuttavia, significativi vantaggi. Pensate ora ad un cavaliere in armatura a piastre, che dopo la prima carica della battaglia dovesse trovarsi coinvolto nella mischia per decidere l’esito finale. Ora, fermo restando che un qualche cosa dovrebbe essere già andato storto (giammai, chi potesse permettersi una simile tenuta, sarebbe andato in guerra senza un cavallo) egli presentava un bel problema ai suoi diretti avversari. Poiché gli unici punti vulnerabili erano, naturalmente, il visore dell’elmo, l’interno dei gomiti e delle ginocchia, le ascelle, l’ìnguine. Ogni punto, insomma, in cui l’armatura presentasse necessariamente un punto di articolazione, e l’unica protezione per il suo utilizzatore fosse quella della più sottile, ma comunque resistente maglia di ferro. Ora, credete che si possa colpire di taglio simili zone “scoperte” sperando di ottenere un qualche tipo di risultato? Ovviamente no. L’unica speranza degli avversari, ammesso e non concesso che si fossero trovati costretti a combatte con un’arma di seconda scelta, ovvero la spada, era usarla di punta. E chiunque abbia mai tentato, ad esempio, d’infilare un lungo bastone all’interno di un piccolo buco, ben conosce quale sia il modo più semplice di farlo: posizionare una mano all’inizio dello stesso, e l’altra verso la sua metà. La precisione e le possibilità di manovra dell’oggetto, in una tale configurazione, aumentano esponenzialmente. E così era, pure per la spada. C’era inoltre un altro fattore primario: laddove un affondo vibrato con forza, se sufficientemente preciso e fortunato, poteva riuscire a scardinare uno o più anelli della maglia, penetrando a sufficienza da provocare ferite debilitanti, ciò succedeva raramente. Ciò che il nemico doveva fare a quel punto, dunque, era continuare a spingere con forza. E dovete considerare che l’acciaio di uno spadone tardo medievale, esattamente come le balestre che erano fatte dello stesso identico materiale, aveva la tendenza a piegarsi se fortemente sollecitato, per poi tornare immancabilmente alla forma originaria. Ma nel momento in cui si sta tentando di aprire l’uomo di latta, una simile tendenza avrebbe portato una parte della forza esercitata ad andare sprecata verso l’alto o il basso, determinando il potenziale fallimento dell’operazione. Proprio per questo, posizionare la seconda mano a metà della lama aveva anche lo scopo di accrescere per quanto possibile la rigidità dell’arma.
La domanda che sorge naturale a questo punto, potrebbe essere: ma non si tagliavano? Per niente, ed ecco perché: in primo luogo sui campi di battaglia medievali uno degli accessori più diffusi erano i guanti d’arme, che potevano essere in metallo, cuoio rinforzato, o stoffe particolarmente spesse e resistenti. Secondariamente, molte spade dell’epoca erano costruite complete di una caratteristica componente definita ricasso, che era una sezione della lama, generalmente vicina all’impugnatura, che veniva appositamente lasciata priva d’affilatura dal fabbro. Nel caso delle spade più lunghe, talvolta il ricasso si trovava addirittura a metà lunghezza dell’arma, e poteva essere ricoperto da una striscia di cuoio, per facilitarne ulteriormente l’impiego. Anche in assenza di guanti o simili espedienti, tuttavia, le tecniche di Fiore dei Liberi continuavano ad essere probabilmente molto utilizzabili. Qualche tempo fa l’esperto di spade Skallagrim dell’omonimo canale di YouTube effettuò una famosa dimostrazione, in cui tenendo la propria affilatissima arma dalla parte della lama e senza nessun tipo di protezione per le mani, colpiva ripetutamente uno pneumatico appeso al soffitto di casa. Ebbene le sue mani, alla fine, restavano perfettamente integre e prive di tagli. Principalmente perché, a patto che la lama non venga lasciata scorrere lungo il palmo, è possibile impugnarla in maniera tale che il filo non penetri nella carne. Si tratta in effetti di una di quelle attività che sembrano molto difficili su carta, forse persino impossibili, ma soltanto finché non si tenta di metterle in pratica in prima persona. Lo storico e sperimentatore inglese Mike Loades, ad esempio, era solito effettuare una dimostrazione durante i programmi e le conferenze, in cui un membro del pubblico veniva chiamato a tentare di togliergli la spada tirando dalla parte dell’impugnatura, mentre lui la teneva saldamente dalla parte tagliente. Così facendo e con somma sorpresa dei presenti, la sua capacità di resistere all’avversario non lasciò mai nulla a desiderare.
Tra i magistri di scrima ancora vivi all’epoca di Leonardo da Vinci, si può invece citare Hans Talhoffer, il mercenario tedesco di Svevia che si guadagnò da vivere addestrando, e qualche volta sostituendo in prima persona, gli imputati dei processi ordalici, o duelli di Dio. Quel tipo di attività giudiziaria, se così si può chiamare, preferita dalle corti Vehmiche della Vestfalia, che consisteva nel mettere accusato ed accusatore all’interno di un’arena, armati di spada, e lasciare che l’Onnipotente assistesse nel combattimento colui che Egli reputava nel giusto. Almeno in teoria. Il problema, in effetti, è che le parti in oggetto di un tale procedimento erano in genere di famiglia nobile o per lo meno benestante, e scendevano in campo bardati di tutto punto con l’armatura a piastre, nonché rigorosamente privi di un sistema valido per penetrarla. Tali scontri, dunque, spesso degeneravano un guerra d’apriscatole, o nella versione macabra di un vero e proprio spettacolo di percussioni.
E fu così che Talhoffer, assistendo in una simile disputa l’arcivescovo di Salisburgo, finì per assurgere al rango di autore stipendiato. Per produrre l’ampia serie di testi illustrati che oggi costituiscono una delle principali rappresentazioni grafiche disponibili online delle tecniche di mezza spada, secondo il sentiero già delineato da Fiore dei Liberi diverse decadi prima. Così stranamente simili a una danza gnomica, mostruosamente distanti dai gesti ampi ed eleganti dei cavalieri Jedi di Guerre Stellari. Eppure, a volerlo davvero cercare, un punto di contatto c’è…