È l’eterna lotta che si svolge in un ambito specifici della creatività: qual’è il modo migliore per ricostruire un grande monumento in scala? Si chiedono allo stesso tempo, l’uomo che piega la carta e quello che dispone i mattoncini. Alla ricerca di un qualcosa che sia solido e immanente, straordinariamente suggestivo. Ciascun approccio… Ha punti forti per distinguersi dall’altro. Un origami è semplice, rapido, praticamente pronto all’uso. Tutto ciò che occorre è un gran foglio di carta, bianca o colorata, cui dare una forma che ricordi la struttura ispiratrice dell’architettonica disfida. Come un tratto di pennello del sumi-e, l’arte pittorica d’Estremo Oriente che deriva dalla calligrafia, nel modo in cui riesce a catturare in pochi gesti la necessità espressiva. Mentre d’altra parte, mettersi all’opera con i più famosi strumenti per prefabbricati della Danimarca, concepiti per tirare su pareti non più alte di un bambino all’opera nella sua stanza dopo i compiti di scuola, richiede acquisti ripetuti e tempo a profusione. Simili creazioni, spesse volte, richiedono giorni, settimane o addirittura mesi (specie nei progetti degli adulti) diventando così simili agli affreschi di Raffaello e Michelangelo nei luoghi della Chiesa, il frutto d’infinite correzioni successive, verso il raggiungimento dell’estetica perfezionata. C’è quindi la questione addizionale dello spazio, tutt’altro che semplice da trascurare. Un modellino costruito in tre dimensioni mediante l’impiego di blocchetti che comunque, per loro implicita natura, hanno uno spessore non inferiore ai due centimetri, o comunque una larghezza ancor più significativa, non può che avere dimensioni minime commisurate alla sua implicita complessità. E certi edifici, sono complessi per definizione, giacché furono creati per gettare lo sconforto nelle fila del nemico, diventando un campo di battaglia verticale ed insidioso. Come mai avrebbe potuto fare, dunque, il maestro del settore Talapz, titolare di un rinomato canale su YouTube, per giungere a possedere finalmente la meravigliosa silhouette del bastione centrale di Himeji, struttura che domina lo skyline dell’omonima città nell’Honshu meridionale…Quando si sa molto bene che gli appartamenti giapponesi sono piccoli, tendenzialmente, e benché privi di mobilia superiore all’essenziale, estremamente razionali nell’impiego degli spazi…
Ma “Io non mi accontento della carta!” Sembra quasi di sentirlo dire: “Il mio soggetto merita ben Altro.” Mentre lo visualizziamo grazie all’occhio della mente, che dispone le sue arcane fondamenta, utili a creare il più incredibile, ed inaspettato degli effetti. Questo particolare castello, del resto, è il più grande ed il secondo più famoso del Giappone, dopo quello estremamente celebre di Osaka che resistette dieci lunghi anni al cambio di un Era, dopo la battaglia epica sulla piana di Sekigahara. E pensare che di quello che era il suo unico rivale nelle dimensioni, fatto costruire dal grande dittatore militare Toyotomi Hideyoshi nel ventennio precedente al 1600, oggi resta estremamente poco, con fortificazioni assai ridotte, ed un torrione integralmente ricostruito dalle ceneri della Restaurazione Meiji. Un’altro turbolento e fulgido minuto della Storia. Prendete invece, per comparazione, l’ispiratore di questo capolavoro fatto con i Lego: il castello di Himeji fu inizialmente concepito come una struttura difensiva scavata in collina nel 1333 da Akamatsu Norimura, uno dei fedeli servitori dell’Imperatore Go-Daigo, che scelse di ribellarsi all’illegittimo potere dei guerrieri di Kamakura, il clan degli shōgun Minamoto. Un sogno destinato ad infrangersi in catartiche battaglie campali, lasciando pienamente integre le rispettive fortificazioni e permettendo il trionfo di Ashikaga Takauji, l’uomo all’inizio di una nuova dinastia di sommi generali. Così la torre nacque e crebbe, da una generazione all’altra, acquisendo entro il 1346 il nome di Himeyama, da quello del rilievo del paesaggio che ospitava le sue fondamenta. Ma passarono due secoli prima che alcuni fedeli servitori dello stesso Hideyoshi, lo stratega convertito al Cristianesimo Kanbei Kuroda per primo, e l’amministratore esperto Ikeda Terumasa, talvolta noto come “lo shōgun del Giappone occidentale” per secondo, ad espandere la struttura nell’odierna meraviglia architettonica tra il 1601 ed il 1609, giungendo alla vetta di oltre 80 strutture indipendenti, e mura forti e candide che valsero all’edificio il soprannome di “Gru Bianca”. Che si diceva avrebbe un giorno spiccato il volo, ma che nessuno avrebbe mai creduto di vedere dispiegarsi dalle pagine di un libro in delicati mattoncini…
I dati dell’opera di Talapz, riportati in doppio idioma nella descrizione al video, danno un’idea significativa della complessità di quanto è stato qui realizzato: 15 mesi di lavoro per 12,5 Kg di peso finale, senza l’impiego di alcun tipo di colla. Il fatto stesso che il castello riesca a compiere la sua trasformazione senza andare in pezzi è una prova della perizia ingegneristica del suo ineccepibile costruttore, mentre la dimensione successivamente alla “chiusura”, ci viene orgogliosamente spiegato, corrisponde a quella di un quadrato da 70 cm di lato e 11,5 di spessore. Molto bello, addirittura eccezionale. Nessuno ti ha mai detto che dovresti farlo per mestiere? Uuh, forse si. O per lo meno, egli potrebbe aver posto una simile domanda a se stesso, giungendo alla conclusione che si, a questo mondo non ci sono abbastanza monumenti pieghevoli costruiti con il Lego. Portando la sua attenzione e capacità manuali verso un paio di notevoli Templi.
Proseguendo a ritroso nello storico delle sue proposte, non possiamo fare altro che imbatterci nella riproduzione di un qualcosa che potremmo definire, senza un attimo di esitazione, l’estremo opposto del castello di Himeji. Tanto che, le due strutture, ovviamente, non sono in scala. Ma ci troviamo qui di fronte, come forse molti di voi avranno già capito del rinomato Kinkaku-ji, il Padiglione d’Oro ove generazioni di monaci Zen si recarono per sorseggiare il tè fra le piante di un magnifico giardino, prima che il più folle di loro, nel 1950, lo bruciasse dalle fondamenta per motivi largamente ignoti. Non che fosse stata la prima volta, d’altra parte: durante il grave conflitto civile noto come guerra di Onin (1467-1477) la pagoda splendente aveva già pagato il grave prezzo di trovarsi sul sentiero delle armate in marcia per il fronte, cariche d’odio per l’armonia e la bellezza delle cose ultramondane. Ma è un fondamento stesso dell’architettura lignea giapponese, questo suo trascendere la stessa forma fisica dell’esistenza, permanendo immutata nella mente e nei ricordi degli abili falegnami, progettisti e costruttori. Per tornare, ogni volta perfetta ed immutata, dopo l’ultima catastrofe, più o meno naturale. Così, vuole la convenzione, l’edificio a tre piani totalmente ricoperto in foglia d’oro che ancora oggi possiamo ammirare presso Kyoto è l’immagine fedele dell’originale del 1397, che lo shōgun Ashikaga Yoshimitsu (erede di quella stessa famiglia samurai che sorse alle cronache dal fallimento di Go Daigo) fece costruire in tre stili differenti, con il fine di onorare al tempo stesso la nobiltà di corte, l’aristocrazia guerriera e il gusto monastico per l’essenziale, un ideale di bellezza che talvolta viene riassunto con il complesso concetto filosofico di Wabi-sabi.
Un luogo di culto, sacro ed intramontabile nonostante le peripezie, per il quale Talapz non ha lesinato nei dettagli. In questo caso, data la scala appropriata ad un tale propositi, sono inclusi nella composizione anche alcuni pupazzetti della Lego, perfettamente efficaci nel dare l’idea delle dimensioni del prezioso e sfortunato monumento. Vero tocco di grazia, l’immagine ricreata sul lato della scatola risultante dalla chiusura del tempio, che lo raffigura in modo sommario ma pienamente efficace e riconoscibile. È interessante notare, inoltre, come il meccanismo di chiusura fosse molto più semplice ed autonomo di quello del castello di Himeji, vista la forma decisamente più semplice del suo soggetto di funzionamento. Un’efficienza che ritroviamo, ulteriormente enfatizzata, nella prima e più antica delle strutture proposte da Talapz:
Quale miglior soggetto, a far da contrappunto al più leggiadro, celebrato ed elegante tra i templi del culto buddhista in Giappone? Che lo spropositato Todai-ji di Nara risalente all’ottavo secolo, la singola struttura interamente in legno più grande del mondo. Con al suo interno una statua in bronzo di Buddha stesso, alta 15 metri, che è a sua volta detentrice del record assoluto per la sua specifica modalità di costruzione. Un luogo, fortemente voluto dall’Imperatore Shōmu per interrompere grazie al favore dei santi Bodhisattva un lungo periodo di sventura che si era abbattuto sul suo paese, secondo un editto che prevedeva, per la prima volta, la partecipazione dell’intero popolo alla costruzione del suo luogo di culto d’elezione. Così il grande edificio si arricchì di molte meraviglie, tutt’ora celebrate, tra cui le due famosissime statue in legno a dimensione naturale dei guardiani Ungyo ed Agyo, le cui pose suggestive ed i lineamenti minacciosi ma sereni sono ricorsi come ispirazione di secoli di arte pittorica, scultorea e figurativa del Giappone fino alla modernità. Mentre una colonna portante della grande sala, con un foro in mezzo che si dice corrisponda alla larghezza della narice di Buddha stesso, simboleggia un portale verso l’Illuminazione, che molti dei visitatori tentano di attraversare, mentre soltanto i bambini riescono a farlo con facilità. E che ne dite, di un simile pregno simbolismo? Ma ce ne sono molti altri, lassù…
È del resto, un po’ come piegare i castelli di carta o ricostruirli con il Lego: un’innocenza delle aspettative, che tuttavia permette di fare cose straordinariamente inaspettate, significative o mai viste prima. Tutto ciò grazie allo strumento del gioco, che connota e caratterizza ogni risvolto della crescita interiore degli umani. Perché piegare lo spazio-tempo, quando è possibile farlo con un fedele castello risalente all’epoca dei samurai? Basterà fare quello, per creare un’universo totalmente differente dal princìpio. Risparmiando lo spazio, grazie al tempo. Qualcuno giungerebbe a definirla, addirittura, una questione “totalmente Relativa”.