Un suono grave, sordo e pulsante, udibile a grande distanza, come se fosse il prodotto di un diffusore acustico ad alto potenziale di cui qualcuno stesse mettendo alla prova le basse frequenze. Se ciò non fosse impossibile: siamo del resto, a molti chilometri dal più vicino centro abitato, sull’isola costiera di Resolution. E chi volesse risalire all’origine del suono, probabilmente arrampicandosi fin sulle vicine alture per scrutare dentro a dei fori ricavati ad arte nel terreno, lì dentro si ritroverebbe a scrutare una massa vibrante di splendenti piume verdi, concentrate come il loro proprietario su una singola missione: riprodursi, chiamando, riprodursi. Ogni 9 anni del resto, in questa e nelle altre antiche foreste della Nuova Zelanda, si verifica un’incontro di fattori tale da permettere il ripetersi di una particolare successione di eventi. Per prima cosa variazioni impercettibili nel clima, accennate nel corso di una prima estate e poi riconfermate in quella successiva, causano un rigoglio maggiormente significativo di diverse specie vegetali. Non è propriamente una rivoluzione ecologica, tale da trasformare i limiti dei campi coltivati o delle superstrade in alte quanto impenetrabili barriere fronzute… ma diciamo, quanto meno, che chiunque soffra di allergie, noterà la differenza! Per non parlare di quell’altro abitatore del vicinato, del peso complessivo di 5-7 Kg, quasi perfettamente mimetizzato nell’ambiente e molto spesso silenzioso, ma non sempre; perché in questa stagione prediletta dal destino, tra i molti risvegli dell’ambiente naturale, se ne verifica uno in particolare che lo riguarda in modo estremamente diretto: la fioritura dell’albero del rimu, una conifera sempreverde originaria delle regioni d’Oceania, che produce il particolare baccello coi semi che può essere tranquillamente definito il cibo preferito dall’uccello. Come, quale uccello? Il sacrosanto kakapo. Una creatura che, come innumerevoli altre di questo pianeta ma forse più della maggiore parte di noi, non ha mai conosciuto simili dinnanzi al suo ricurvo becco. E dire che è esistito da molto, molto tempo….
Un fossile vivente, un ibrido fantastico, come le creature mitologiche dei bestiari medievali: questo visitatore un tempo familiare delle terre circostanti gli insediamenti umani, di cui nel 2011 restavano soltanto 123 esemplari, è stato formalmente definito il pappagallo faccia-di-gufo: Strigops habroptilus (dove il secondo termine latino, invece, significa letteralmente “dalle piume morbide”) per la sua vaga somiglianza al tipico rapace notturno, mentre più di un biologo alle prime armi, guardandone i movimenti, il comportamento e il rapporto che occasionalmente può stringere con gli umani, è giunto a paragonarlo strettamente ad un cane. Ma la realtà è che l’insolito essere preferibilmente notturno e niente affatto volatile, ma dotato di vibrisse piumate simile ai baffi del gatto, occupa una nicchia ecologica direttamente paragonabile a quella dei nostri conigli, erbivori costantemente condizionati dalla necessità di sfuggire ai predatori. Con un’importante, significativa differenza: il kakapo (in lingua Maori: kākā – pappagallo; pō – notte) in origine, aveva un singolo nemico naturale: l’aquila di Haast, un rapace vissuto fino al 1400 d.C, la cui apertura alare poteva raggiungere i 3 metri di larghezza. Un vero mostro volante, evolutisi per poter ghermire gli imponenti Moa suoi contemporanei, lontani parenti locali degli struzzi. Eppure, strano a dirsi, sfuggirgli non era poi così difficile; bastava restare perfettamente immobili, contando sul proprio piumaggio mimetico; e spostarsi prevalentemente di notte. E se nulla fosse cambiato, questo avrebbe continuato a fare il grande pappagallo neozelandese, prosperando alla sua maniera fino all’eternità. Se non fosse che ad un certo punto, a massimo danno di ogni terza parte coinvolta, l’umanità non giunse fino a queste spiagge. Scaricando, assieme ad armi e bagagli, le presenze indesiderate di cani, gatti e mustelidi, tra cui furetti ed ermellini. Tutti predatori in grado di scovare il proprio pasto grazie allo strumento dell’olfatto…
E questo fu subito un problema. Perché il kakapo, per ragioni sostanzialmente sconosciute che si ritengono collegate ai suoi rituali d’accoppiamento, emana costantemente un odore muschiato, più volte descritto come gradevole agli esseri umani, che un carnivoro può scovare da distanze estremamente significative. A peggiorare ulteriormente le cose, questi pappagalli non hanno una grande agilità o capacità di mettersi in salvo una volta individuati, come esemplificato anche dal celebre resoconto dell’esploratore del XIX secolo Charles Douglas, che raccontava come bastasse scuotere gli alberi della Nuova Zelanda in particolari momenti della giornata, perché i grossi pappagalli verdi ne cadessero giù come fossero delle mele o pere. Non per niente anche gli indigeni locali, attraverso innumerevoli generazioni questi uccelli li hanno sempre cacciati, per la loro carne e per le piume, che utilizzavano come materia prima finalizzata alla costruzione di splendidi mantelli, indossati fieramente dagli anziani del villaggio.
Ora, esistono a questo mondo delle creature così prolifiche, tanto invasive e di successo nella loro trafila evolutiva, da dover essere letteralmente sfoltite a colpi di fucile, pena la sovrappopolazione e il successivo auto-annientamento delle sue tribù in specifiche regioni geografiche. Ma vi lascio immaginare come un pappagallo che vive fino a 100 anni, e si accoppia per la prima volta dopo un periodo di adolescenza che ne può durare anche 5, ogni fioritura dell’albero del rimu e soltanto per produrre da 1 a 3 uova, rientri piuttosto nella sfera estrema del panda gigante, un’essere apparentemente concepito per cercare con enfasi il proprio totale auto-annientamento. Benché, ovviamente, non sia AFFATTO così.
L’intera questione veniva spiegata in modo pienamente efficace dallo stesso Douglas Adams (che ci ha lasciato nel 2001, dopo aver scritto, tra le altre cose, il celebre romanzo Guida Galattica per gli Autostoppisti) durante una sua conferenza attualmente reperibile su YouTube, probabilmente effettuata a margine della sua serie radiofonica sulle specie animali prossime all’estinzione. Nel corso della quale tratteggiava, grazie allo strumento dell’ironia, l’immagine di un animale attualmente sfortunato, ma soltanto in funzione dei rapidi mutamenti attraversati dal suo ambiente naturale. Dove, in un’epoca remota, la quasi totale assenza di predatori esigeva letteralmente un ritmo riproduttivo estremamente rallentato. “Pensate…” Spiegava l’autore, parafrasando: “Ad un grafico che rappresenti la crescita di popolazione di una specie in grado di riprodursi in modo eccessivo. Questo avrà l’aspetto di un’oscillazione ad onda, con la quantità di creature che raggiunge il massimo consentito dalle risorse dell’ambiente. Quindi, inevitabilmente, subisce una flessione dovuta alla mancanza di cibo e spazio, ritrovandosi all’estremo opposto dello spettro. Ora, cosa succederebbe se durante uno di questi periodi calanti, l’imprevedibilità del Caos dovesse portare ad una situazione in cui ci sono zero esemplari ancora in vita? Non si può risalire da una tale situazione!” Mentre, continuava poi, una specie che si riproduca in modo morigerato, come il kakapo e molti altre creature degli ambienti isolani, svilupperà una crescita costante e inesorabile, portando ad un continuo, lentissimo aumento della popolazione. Finché, finché…Non sopraggiunga l’imprevisto. Così tutto, nel kakapo, è finalizzato a complicare il processo di riproduzione. Questo è addirittura l’unico pappagallo ad impiegare il rituale di corteggiamento del cosiddetto lek, normalmente usato da alcune specie di galli, pavoncelle e croccoloni. Che consiste in un grande raduno di esemplari, durante il quale le femmine fertili vengono richiamate dai maschi presso un’arena, in cui questi ultimi iniziano a fronteggiarsi con dei versi rombanti definiti “booms”, udibili a distanza assolutamente considerevole. E qual’ora gli uccelli, per un caso avverso del destino, non riuscissero a ritrovarsi in quantità sufficiente da intavolare questo grandioso spettacolo, se l’albero del rimu non dovesse fiorire, oppure se l’ennesima moffetta di turno dovesse essere più fortunata del solito e agguantare un elemento chiave del clan, per quell’anno non verrà deposto nessun uovo. Il che significa, in parole povere, che se ne dovranno attendere altri 9. Una vera, disgraziata enormità.
È indubbio che la nostra presenza sia sempre stata disastrosa per il kakapo. Da sempre e fino all’epoca recente, con l’istituzione del programma di conservazione e l’effettiva concessione al popolo piumato di due intere isole da parte del governo neozelandese, Resolution e Secretary, gli animali domestici portati dall’uomo hanno fatto una letterale strage di questo sballonzolante, buffo e grazioso abitante della foresta, privo di veri e propri strumenti di auto-difesa escluso il mimetismo. Ma adesso viene da chiedersi quanto, lasciato a se stesso, il grosso pappagallo avrebbe potuto sopravvivere verso il domani. Non c’è forse una lezione sull’imprescindibile variabilità della natura, in tutto questo? Le aquile sono sparite. I moa, pure. E se qualcuno ancora risponde all’appello, non vuol dire che fosse stato veramente destinato a farlo. I gatti, nelle loro residenze sull’antistante riva, si affilano gli artigli miagolando per la fame. Prima o poi, qualcuno nuoterà. Presto o tardi, questa storia finirà.
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