Alle Maldive, un’isola di spazzatura in bilico sulla barriera corallina

Thilafushi

Non siamo mai abbastanza grati alla natura per i posti brulli, oltre alle valli cariche di fiori e alle montagne candide che ci sovrastano brillando sotto il Sole. Le distese desolate, i recessi meno améni, scevri di fascino ma carichi di possibilità. Perché l’uomo, per sua predisposizione innata, tende necessariamente consumare. Fauna, flora ed animali. Ma se tutto attorno noi dovesse diventare sacro, prezioso ed inviolabile, cosa mai potrebbe rimanere del nostro futuro? Unicamente… Un segno di divieto, unito all’immagine di una rovina soverchiante. Sempre al centro del pensiero collettivo. Sarebbe decisamente istintivo e molto facile, come già fatto molte volte in precedenza, lanciarsi in un’invettiva contro la tragica situazione della più grande discarica a cielo aperto dell’Oceano Indiano, collocata su di un’intera terra emersa lunga appena 3,50 Km, ricavata nel 1991 a partire dalla laguna maldiviana di Thilafalhu, poco distante dall’affollata capitale di Malé. Quasi scontato: quale orribile degrado, certamente dovuto a una pessima situazione organizzativa…L’inefficienza dello smaltimento! La corruzione dei politici! E così via, fino all’esaurirsi del residuo fiato…Eppure basta per un attimo provare ad indicare questi luoghi su una mappa, perché germogli nella nostra mente il seme dirompente del dubbio: eccoci davanti, infatti, ad un’intera Repubblica dalla superficie calpestabile di 298 Km² (appena il doppio della città di Firenze) abitata da oltre 393.000 persone e visitata, annualmente, da circa altre 600.000 complessive. Per di più dispersa per un braccio di mare considerevole, e distante 1.000 Km circa dalla costa della più vicina terra emersa, il subcontinente indiano. Il fatto stesso che luogo sostanzialmente privo di risorse tranne il pescato, e in cui persino l’acqua potabile è un bene prezioso nonché raro, sia in grado di sostenere una simile economia fiorente, è l’assoluta dimostrazione che qui non viga più alcun tipo di logica spontanea delle circostanze. Mentre l’intero iter delle procedure seguite dalla popolazione locale, per adeguare un simile sistema al susseguirsi dei tempi moderni, è un purissimo prodotto della globalizzazione. Ed un nome, dal suono esotico e misterioso: Thilafushi. Un’isola evitata addirittura dai gabbiani.
Immaginate, a tal proposito, lo sforzo necessario per nutrire, ospitare e rendere in qualsiasi modo soddisfatto il vero e proprio esercito stagionale, dei signori ricchi o benestanti che sono portati a considerare  un simile recondito paese, sostanzialmente come il paradiso sulla Terra. Colpa, se vogliamo, del marketing e del senso comune. Grazie allo strumento dei trasporti e dell’investimento finanziario, oggi, tutto diventa possibile ma resta una variabile fondamentale: quella del tempo. Così fra tutte le sfide nate da un simile incontro sfortunato, tra spazi piccoli, e grandi quantità di persone, quella preponderante diviene la risultanza inevitabile di un tale consumismo: la produzione di rifiuti. Pensateci. Un problema che non passa con il tempo, ma piuttosto tende a peggiorare, quanto maggiormente si ritarda nel trovare un’efficiente soluzione. Ben conoscono questo dilemma alcuni luoghi urbani d’Italia, che famosamente negli ultimi anni hanno affrontato dei periodi con le strade invase dai sacchetti neri, e molte altre sgradevoli, maleodoranti cose. C’è tuttavia una differenza di fondo, e fondamentalmente vantaggiosa, tra un luogo in cui è sempre possibile far transitare i camion (purché disponibili) per trasportare la materia del collaterale, altrove… Ed un mondo sperduto in mezzo al nulla, invece? In cui l’unico vicino è il mare? Cosa poteva mai restare da fare…
Si, forse c’erano altre strade. Nessuna delle quali però transitabile, pratica, e davvero pronta all’utilizzo in tempi sufficientemente brevi. Dave Hakkens, imprenditore internettiano del web 3.0 ed ambientalista particolarmente attivo, ci accompagna nel video soprastante ad una visita di un simile luogo unico al mondo, almeno quanto le candide spiagge dell’atollo di Landaa Giraavaru, con più posti letto che secondi necessari a percorrerlo da un lato all’altro in bicicletta. Finché non venne…L’ora della Scelta. Ed il cemento cominciò a colare.

Thilafushi 2
Sull’isola di Thilafushi sono stati girati molti documentari, film e video di denuncia. In questo documentario del 2010, intitolato alquanto appropriatamente Lost in Paradise, veniva presentato uno spaccato della vita dei circa 100 immigrati del Bangladesh. che devono occuparsi quotidianamente di far funzionare la discarica fumante.

Fu terribile, mostruoso. Orribilmente spettacolare: all’incirca un anno dopo l’approvazione del progetto, nel 1990, vennero scavate delle buche sufficientemente profonde presso il fondale della bassa laguna, dove le secrezioni di carbonato di calcio dei coralli formavano le prime strutture di un’accenno di barriera, destinata a diventare FORSE un’altro habitat meraviglioso degno di entrare nella lista dei patrimoni dell’UNESCO. Ma questo, molto chiaramente, noi non lo sapremo mai. Ciascuna voragine, quindi,  fu riempita con le tonnellate e tonnellate di arretrato non smaltito, raccolto dalla maggior parte delle isole centrali dell’arcipelago e in particolare da Malé, il centro amministrativo ed aeroportuale dell’intero paese. Quinta isola con la maggiore densità di popolazione al mondo, con una quantità di persone e condizioni comparabili a quelle di Ap Lei Chau, parte dell’area metropolitana di Hong Kong. Patria di gente dalla variabile coscienza ambientalista (come potrebbe mai essere altrimenti?) ma che collettivamente non poteva in alcuna maniera prescindere dalla risorsa di un’ambiente pulito e vivibile, fondamentale per le due industrie dominanti della loro quotidianità. Che si voglia pescare pesci, oppure turisti, non c’è niente di peggio che trovarsi a tirare in barca dei sacchi di plastica, o altra materia ancor più innominabile o sgradita…
Così, una scelta difficile: ma necessaria. Piuttosto che continuare a scaricare in mare i propri rifiuti, pronunciare la condanna di un singolo luogo, in cui concentrarli tutti assieme. Giungendo, gradualmente, alla costituzione di un intero nuovo spazio, costruito sullo scheletro dei rimasugli, poi ricoperto nuovamente col cemento. Ed altra spazzatura da smaltire, grazie al fuoco. In quei primi, frenetici anni, non ci si preoccupò nemmeno di costruire delle pareti di contenimento per separare il materiale dal mare: semplicemente non c’erano sufficiente tempo e risorse, per farlo. Ciò che tra l’altro non fu considerato in prima analisi, era quanto in effetti una simile area sarebbe diventata sfruttata e indispensabile alla sopravvivenza continuativa della piccola Repubblica sperduta nell’Oceano. Così oggi, se si considera l’elevazione trascurabile di queste terre emerse (massimo 2 metri sul livello del mare) le loro montagne maggiormente significative sono diventate proprio i cumuli di spazzatura di Thilafushi, per di più sovrastati da un pennacchio di fumo e diossina, visibile a decine e centinaia di chilometri di distanza. Non è in effetti raro, addirittura, che la prima vista dal finestrino dell’aereo, dell’ultima turba di turisti sopraggiunti nella perla dell’interminabile distesa verd’azzurra, sia proprio questa macchia palese nel cielo, comparabile alle esalazioni delle miniere di Orthanc, sotto la torre dello stregone Saruman nel Signore degli Anelli. Parallelo che può ritrovarsi ulteriormente riconfermato, poi, con la presa di coscienza dei recenti sviluppi industriali della terra reclamata dalle acque grazie alla spazzatura stessa, che cresce secondo le stime più aggiornate di un metro quadro circa al giorno. Soltanto per ritrovarsi ricoperta di stabilimenti per il trattamento del gas, la produzione del cemento e cantieri navali. L’energia dei fuochi maleodoranti, tuttavia, non viene efficientemente riciclata, né c’è alcun tentativo di riciclo: simili impianti tecnologici, a quanto è stato dichiarato, sarebbero troppo costosi per il governo locale. Così questo mondo infernale continua a crescere, senza limiti di sorta.
È come un grido d’aiuto silenzioso, eppure facilmente udibile a chi non copre le sue orecchie con una carenza d’empatia. Del tutto senza soluzione: perché la riduzione del turismo, oggi sarebbe devastante per le Maldive. Mentre la sua continuazione a questi ritmi, è del tutto palese, porterà a una dannazione lenta ma pur sempre inesorabile. Sempre che l’innalzamento del livello delle acque, dovuto al riscaldamento globale, non faccia prima a spazzare via l’intero paese, e pace fatta (più o meno) per tutti noi. Esiste dunque, un qualche tipo di speranza residua? Soltanto una: la conoscenza.

Thilafushi 3
Il linguaggio del web moderno finalizzato alla raccolta fondi è ormai tremendamente ripetitivo e scontato: tutto è semplice, magnifico, coinvolgente. La tecnologia commuove e rende liberi. Tutto ciò che occorre fare, è ascoltare la voce suadente dell’ultimo fantastico “genio & inventore” (nel presente caso, per lo meno, tutto questo è a fin di bene).

Ed è indubbio che il nostro Virgilio/Dave Hakkens di origini olandesi (il suo sito ha l’estensione .nl) nel video di apertura, in effetti, qualche cosa di notevolmente significativo lo stia pur facendo. Con il suo progetto denominato Precious Plastic, che mira alla realizzazione di una serie di seminari nei paesi più a rischio, tra cui ovviamente le Maldive, per educare la popolazione all’utilità e la semplicità di riciclo della plastica, anche tramite l’impiego di strumenti fatti in casa. Sul portale dedicato, chiaramente non a fini di lucro, ciascuna di esse viene presentata e sono offerti piani per costruirla a vantaggio della propria comunità locale. Si tratta di: estrusore, iniettore, compressore, trituratore. Esattamente quello che serve, in parole povere, per prendere un’intera distesa di materiale apparentemente inutile ma pur sempre carico di utilità potenziale, trasformandolo in qualcosa di rinnovato e soprattutto, evitando di mandarlo ad inquinare l’atmosfera. O ancora peggio, il mare. Certo, persino una fiorente industria di questo tipo potrebbe fare ben poco per osteggiare la crescita incontrollata di un luogo come Thilafushi. Ma certamente, ogni aiuto è bene accetto. E non a caso, come target di utilizzo dell’approccio specifico, vengono proposte non le isole dalla popolazione più corposa, ma quelle dei resort privati, dove comunque la raccolta quotidiana della spazzatura dalle spiagge è una realtà del tutto imprescindibile. Condotta alacremente dal personale stipendiato. E tutto il materiale frutto della loro opera di bene, alla fine, dove potrebbe mai finire? Ve lo lascio (facilmente) immaginare. Così l’accumulo continua, dando luogo a quella che l’organizzazione ecologica BluePeace aveva già definito, nel 2008 ed in funzione della preziosità ambientale di questi luoghi, come “una bomba tossica ad orologeria”.
Un volto segreto delle Maldive, certamente meno noto di innumerevoli altri da brochure. Consiglierei di diffidare, a tal proposito, delle immagini TROPPO perfette… Dato che in questo mondo, tutto deve rispondere ad una ragione d’equilibrio, che sostanzialmente permea ogni aspetto dello scibile e della realtà. Per ciascuno specchio limpido, dall’altro lato, non può che campeggiare il piombo opaco della sua materiale sussistenza. Senza distruzione, non può esservi sopravvivenza. Tranne quella fittizia, e puramente fantastica, del regno trascendente delle idee.

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