Un astrofisico, un geologo ed un tedesco entrano in un bar. Fuori c’è bel tempo ma fa un po’ freddino. Il geologo dice agli altri due: “Allora, come ci si sente a trovarsi sul 90° parallelo?” E l’astrofisico risponde: “Più che altro, vorrei poter guardare con il mio telescopio la stella di Sigma Octanis, ma come sapete qui il sole non tramonta praticamente mai…” Al che il tecnico addetto alle comunicazioni, pilastro a pieno titolo della stazione di ricerca americana Amundsen-Scott, appoggiato sul bancone il suo bicchiere di succo d’ananas, esclama con perfetto accento berlinese: “E ti credo! Ogni volta che spostate quel dannato palo, cambiate il fuso orario di sei-sette ore!” Cala il silenzio in sala. Qualcuno, dalla direzione della porta, sghignazza sguaiatamente. Altri restano in silenzio, contemplativi. Perché ben sanno cosa c’è in fondo al corridoio, vicino alla porta a tenuta stagna che la collocazione relativa, l’abitudine e le circolari delle diverse generazioni di direttori hanno fatto eleggere ad ingresso principale: una vetrina su cinque livelli, ciascuno dei quali carico della più bizzarra selezione di modellini metallici, di bussole, edifici a misura di gnomo, piccoli pianeti di vario tipo… Siamo alla fine di dicembre, ormai, è tutti qui sanno che presto, un’altro curioso oggettino dovrà unirsi alla collezione. Mentre un gruppo di addetti attentamente selezionato, avventurandosi nella relativa calura estiva (quaggiù le stagioni sono invertite) di -15, – 20 gradi, raggiungeranno un punto specifico della pianura presso cui sorgono queste solide mura, ad un altitudine di 2.835 metri sul livello del suolo. Per piantare un qualcosa di splendido e straordinariamente significativo: un attrezzo che se fosse una pianta, sarebbe l’albero del mondo. Se si trattasse di una stella, costituirebbe l’astro benedicente del mattino.
È un momento solenne. Una vecchia tradizione. Questo centro di ricerca del resto, il più famoso tra i circa 70 che poggiano sui ghiacci eterni del continente meno ospitale del pianeta, è abbastanza vecchio da aver acquisito un certo numero di abitudini considerate sacrali. L’Amundsen–Scott, intitolato ai due esploratori che all’inizio dello scorso secolo raggiunsero per primi questi luoghi, nel secondo dei casi perdendo subito dopo la vita, fu fondato per la prima ed ultima volta nel 1956, come parte dei progetti scientifici istituiti per l’Anno Geofisico Internazionale (IGY) un significativo momento in cui le comunicazioni tra certe frange della ricerca americana e sovietica ricominciarono a verificarsi normalmente, permettendo l’interscambio che c’era stato in passato ed avrebbe dovuto continuare ad esistere, necessariamente e nonostante la tensione tra i due paesi. Con il riuscito lancio dello Sputnik I soltanto l’anno successivo, quindi, gli americani decisero di investire seriamente in questo e numerosi altri progetti. Così l’edificio principale della stazione fu progressivamente ampliato, per ospitare fino a 200 persone allo stesso tempo. E da allora, non fu mai più lasciato. E molti di coloro che assistono alle buffe iniziative degli astronauti che oggi si trovano sull’ISS (la Stazione Spaziale Internazionale), tra cui suonare la cornamusa, giocare a palla o fare bizzarri esperimenti personali con l’acqua, tendono a stupirsi che persone spedite in un luogo così irraggiungibile possano trovare il tempo per se stesse, a discapito degli onerosi impegni di missione. Ma la realtà è che la mente umana funziona in un determinato modo. E senza un certo grado di svago e digressione, non potrebbe mai mantenere il grado d’acume necessario a compiere il proprio dovere. Ciò è tanto più vero, in un luogo come il Polo Sud, che per quanto remoto, può avere quanto meno il lusso di uno spazio a disposizione relativamente significativo. Con un’area dedicata alla libreria, un’altra con mansioni di mini-cinema e persino una sala da musica, fornita di molti degli strumenti più suonati alle latitudini più diverse. Ma forse il luogo più inaspettato ed insolito, all’interno di queste spesse mura, è lo spazio dedicato a raccogliere i precedenti marker del Polo Sud Geografico, dei curiosi e gradevoli oggetti usati come segnalino sulla cima del palo, un anno dopo l’altro, per indicare in maniera chiara il punto attraverso cui passa l’asse della rotazione terrestre, nel preciso momento di ogni giorno di capodanno. Ma perché, mi sembra quasi di sentire la domanda, una tale luogo SI SPOSTA? Beh, ecco…
Così la scena d’apertura, girata per il canale scientifico Sixty Symbols dall’astrofisico attualmente residente in-loco Denis Barkats, vestitosi per l’occasione con giacca elegante (sopra l’obbligatorio giubbotto tecnico) ed un cappellone con parrucca incorporata degno dei migliori cosplayers appassionati dei fumetti di Topolino e Paperon de’ Paperoni. L’atteso momento, del resto, sembra essere visto come un occasione per gli scienziati e gli addetti alla stazione di lasciarsi un po’ andare nel vestiario, con almeno un’altra persona intabarrata da un cappuccio con cresta verde di drago sputafuoco. Raggiunto quindi il luogo del Polo dell’anno trascorso, l’autore del video inquadra brevemente il marker uscente, che verrà comunque lasciato in posizione per qualche altro giorno, prima di essere solennemente rimosso e trasportato nella solita vetrina designata. Si tratta di un oggetto esteticamente ricercato, simile ad un astrolabio ma con una componente centrale in vetro, su cui è stato raffigurato in modo simbolico il continente dell’Antartico, circondato da simboli astronomici che potrebbero raffigurare le diverse costellazioni. Ma l’adorabile segnaposto, esclama scherzosamente Barkats all’indirizzo del collega più vicino, è ormai: “Brutto, sporco, praticamente da buttare via!” In realtà è PERFETTO “Sarà giunta anche l’ora, di gettarlo via, giusto?” Il vicino sorride nervosamente. Inizia, quindi, il momento lungamente atteso. Ciascun marker disegnato, costruito e trasportato fino alla stazione dall’annuale team del periodo invernale, che rimane rintanato per mesi all’interno delle sue mura con una temperatura esterna di fino a -80 gradi. E ce ne sono stati di ogni tipo, ma il modello apparentemente preferito è sempre stato quello a tema astronomico, come i principali pronostici annuali sembrano aver indicato anche per il 2016. L’addetto, quindi, solleva il drappo di stoffa che copre il nuovo paletto, rivelando…Una sfera tondeggiante con striature cromate e color oro, con un vistoso disco centrale. “Vedete, sembra Giove. Ma ha gli anelli di Saturno?! Non lo capisco, però già mi piace.” Afferma Barkats. In effetti, si tratta di una figura allegorica piuttosto astratta, ma bella.
Il che ci porta al perché, effettivamente, ci sia bisogno di produrne una nuova ogni anno. O meglio, di sicuro non è esattamente necessario (in teoria basterebbe spostare l’altra) quanto piuttosto una semplice scelta arbitraria, ma resta il bisogno di ricalcolare continuamente un qualcosa che dovrebbe, in teoria, restare identico a tempo indeterminato. Ed in effetti, lo fa: sebbene l’asse terrestre sia, teoricamente, sottoposto a variazioni, queste non sono di certo così significative in un tempo breve come quello di 365 giorni. Letteralmente un alito di fiato, su simile scale di grandezza. Ciò che si muove, invece, è il suolo stesso su cui poggia la stazione, che pur essendo vera e propria terra ferma, a differenza del Polo Nord, è pur sempre ricoperto da uno spessissimo strato di ghiaccio eterno. Che continuamente si sposta, in una sorta di versione superficiale della deriva dei continenti. Ma ecco un dato curioso: ogni anno, in effetti, la stazione Amundsen-Scott si sta avvicinando al Polo Sud geografico. E verrà un giorno, non tanto imminente, in cui il fondamentale palo dovrà essere posto tra le sue stesse mura. Chissà se allora, dovranno spostare la vetrina?
Una questione che alla fine potrebbe essere definita, in qualche maniera, sintomatica e dimostrativa. Di come non esista niente di stabile e chiaro, in questo vasto mondo, neppure l’origine di tutte le coordinate ed i numeri geografici che usiamo quotidianamente. Di poli sud, in effetti, ce ne sono ben quattro. A poca distanza da questo Geografico, che viene spostato annualmente (ma in realtà è sempre alla deriva) c’è il primo marker che venne disposto dagli addetti alla stazione, una sfera metallica sulla sommità di quello che sembra a tutti gli effetti un palo da barbiere. Circondata da niente meno che le bandiere dei principali paesi che firmarono il Trattato di Washington, l’accordo internazionale che regolamentava la costruzione delle stazioni di ricerca dell’Antartico, vietando la costruzione di installazioni militari o minerarie. Ed è inutile che spostare ogni anno quello che viene oggi detto “il polo Cerimoniale” sarebbe stato fin troppo oneroso. A molte miglia di distanza, oltre il bordo delle terre emerse, campeggia invece il polo Magnetico, ovvero il punto determinato dagli influssi della ionosfera terrestre, verso cui puntano tutte le bussole del mondo. Nel più estremo entroterra, invece, è sito il cosiddetto polo dell’Irraggiungibilità, ovvero il punto più lontano da un possibile luogo di sbarco, considerato il luogo meno vivibile dell’intero pianeta Terra.
Nel 1957 i sovietici, per non essere da meno degli americani, proprio qui costruirono la base operativa Poljus Nedostupnosti, che ben presto si rivelò tuttavia troppo onerosa, nonché complessa, da mantenere in stato di funzionamento operativo. Oggi di quel vecchio edificio, ricoperto da molti metri di neve, resta a fare capolino solamente l’ornamento del tetto, un maestoso busto di Lenin, che riflette in modo catartico la battente luce del Sole. Il suo sguardo, perennemente intento a fissare l’orizzonte, sembra carico di nostalgia ed aspettativa…Chissà! Forse per il giorno, più che mai vicino, in cui anche lui sparirà del tutto. Nulla resiste all’influsso insistente della Natura, neppure la Storia. A meno che qualcuno, anno dopo anno, non si preoccupi di spostarlo un po’ più vicino. Fino a che…