Lo scorso sabato 2 aprile, come da precisa delibera dell’ufficio del sindaco, si è proceduto all’inaugurazione dell’ultima meraviglia ingegneristica di questo mondo: un ponte lungo 2,3 Km (record mondiale nella sua classe) costruito sul lago di Washington, nel Pacific Northwest degli Stati Uniti. Oltre 12.000 persone, stipate sulla sua eminenza estremamente tangibile, hanno partecipato all’atteso evento, potendo prendere visione di alcuni stand espositivi, rifocillarsi presso un certo numero di furgoncini con vivande ed infine partecipare a una vera e propria maratona celebrativa, che si racconta aver avuto un’atmosfera agonistica particolarmente easy-going. Grossi assenti all’occasione, soltanto loro: i piloni. E verrebbe anche da chiedersi, a questo preoccupante punto, cosa mai abbia potuto sostenere un tale peso spropositato, impedendo a cittadini, operatori, strutture, panini e autoveicoli di sprofondare nella gelida acqua del bacino idrico sottostante. Ricominciamo, quindi, dal Princìpio. Non uno qualsiasi, s’intenda… Bensì quello fondamentale di Archimede in persona, il quale famosamente affermava che: “Ogni corpo immerso in un fluido riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto, uguale per intensità al peso del volume del fluido spostato.” La ragione, guarda caso, per cui possono esistere le navi moderne, costruite guarda caso in acciaio. Mentre quello a cui molti di noi non pensano, in effetti, è che la stessa cosa possa funzionare pure col cemento. Tanto che se si prendesse un intero titanico grattacielo, sradicandolo, quindi ponendolo in orizzontale sopra il mare (o un lago sufficientemente grande) c’è una qualche remota possibilità, in effetti, che una tale cosa non sprofondi affatto. Quando invece usando una struttura “fatta apposta”, come per l’appunto il 520 “Evergreen Point” State Road Bridge, tale ipotesi diventa una certezza. Quasi totalmente…Beh, si. Per lo più, assoluta. Dopo tutto, se l’unica versione precedente di questa stessa cosa, che tutt’ora corre accanto al suo fratello più corto di 40 metri, è stata prenotata per la demolizione entro la fine di quest’anno, beh! Una ragione doveva pur esserci…
Un solo punto sulla mappa, con un nome di due sillabe, Seattle. Che per convenzione cartografica, permetta da lontano d’identificare il punto esatto in cui teoricamente è sita la città, con tutta la sua dotazione di quartieri, strade, piazze, zone commerciali ed industriali. E un numero preciso di persone: 608.660 (al censimento del 2010). Eppure non è questa, forse, la suprema semplificazione? Un centro abitato non può costituire l’equivalenza terrigena di un planetoide perso nello spazio siderale. Intorno ad essa, non sussiste il vuoto. Tutt’altro: Basta provare un attimo a prendere in considerazione per il vostro conto l’intera area urbana, per trovarsi sulle proprie carte 3 milioni e 59.000 individui. Aggiungete quindi l’intera regione metropolitana, incluse le periferie ed i paesi che si appoggiano alle infrastrutture del gigante, per raggiungere addirittura i 3.733.580 di teste e d’anime di americani. Ma la crescita della scala d’analisi, volendo, può spingersi persino al di là di questo. La mitica Cascadia, l’hanno talvolta definita: un singolo conglomerato, per la maggior parte degli aspetti ancora tutt’al più ipotetico, che includa oltre alla più grande città dello stato di Washington, anche Abbotsford, Boise, Eugene, Portland, Salem, Tacoma, Spokane, Tri-Cities e perché no, le due grandi canadesi Vancouver e Victoria. Proprio così. Se la popolazione dovesse continuare a crescere. Se la crisi economica e degli strumenti finanziari raggiungesse il suo desiderato epilogo. Se molte grandi compagnie continuassero, come si spera, ad investire in questi lidi. Un giorno qui si troverebbe a sorgere una vera e propria megalopoli, un po’ come sussiste, già di questi tempi, attorno a certe tentacolari capitali dell’Asia Orientale. Ma che dire, a un tale punto, degli ostacoli geografici? Mantenere in un unicum una regione tanto grande, è facile capirlo, va ben oltre la visione prototipica dei sette colli. Prevedendo, piuttosto, sedici montagne, due dozzine di fiumi, un numero spropositato di altri tipi d’ostacoli che neanche immaginiamo…E in questo particolare caso, almeno un grande lago: il Washington che condivide il nome con l’intero stato. Quello, per l’appunto, su citato, che ha avuto l’arroganza ed intempestività di collocarsi proprio nel bel mezzo (o forse è andata al contrario?) dell’intera situazione. Con su una sponda aziende come Amazon, Tableau Software, Zillow…E sull’altra, Microsoft, Expedia, T-Mobile… Roba da far girare la testa a qualsiasi ispettore del traffico, per non parlare dei responsabili urbanistici della città. Il problema, ovviamente, è di vecchia data e ben precedente a simili titani dell’informatica contemporanea. Nell’intero corso della storia di Seattle, sia ben chiaro, non mancano di certo i ponti. Ciascuno dei quali costruito, in effetti, sulla base di una problematica particolare: perché il lago in questione, guarda caso, è particolarmente profondo (fino a 65 metri) ed il suo suolo fangoso non si è rivelato adatto a far poggiare qualsivoglia componente architettonico. Meno che mai, un qualsivoglia pilone. Ogni singola strada che l’attraversi, quindi, dovrà fare un qualche cosa che saremmo tentati di considerargli avverso: galleggiare.
L’idea trovò la sua prima applicazione nel 1940, anno dell’inaugurazione del Lacey V. Murrow Memorial (ad oggi secondo ponte galleggiante più lungo del mondo) prolungamento lacustre dell’interstatale I-90. Grande opera dell’ingegnere Homer Hadley, proposta per la prima volta ben 20 anni prima, ma che richiese interminabili manovre politiche prima di essere effettivamente messo in costruzione. Finché alla fine, con un considerevole investimento di 9 milioni di dollari di allora, e dopo oltre un anno di lavoro a partire dal ’39, la sottile striscia galleggiante non fu portata compimento, non senza un particolare errore progettuale: una parte mobile, concepita per far passare le barche, che necessitava della presenza nel suo punto centrale di un doppio dosso metallico, che portava le automobili a sterzare per evitarlo. Il che, aggravato dal sistema di corsie reversibili impiegato sul ponte, portò a diversi gravi incidenti negli anni. Appena due decadi dopo, in prossimità del vicino stretto di Puget e sopra il canale di Hood, fu costruito un altro ponte sul modello del Murrow, che aggirava in modo ben riuscito questa problematica. Entrambe le strutture, tuttavia, sarebbero andate incontro a un fato particolarmente sventurato. Nel 1979, a causa di una tempesta con venti stimati sui 190 Km/h (evento classificato come da una volta ogni 100 anni) la sezione ovest del ponte di Hood si staccò e andò a fondo. Mentre il Murrow, in modo ancor più assurdo, sarebbe affondato nel distante 1990, a causa delle operazioni di restauro e ricostruzione a cui stava venendo sottoposto. Successe infatti che la compagnia incaricata delle operazioni, malauguratamente, avesse pensato d’impiegare l’idrodemolizione con getto per velocizzare i lavori. Immagazzinando l’acqua risultante, che le normative ambientali consideravano contaminata, negli stessi galleggianti di cemento del ponte, che avrebbero dovuto contenerla con facilità. Se non che il 24 novembre, una pioggia particolarmente intensa non finì per per riempirli del tutto, facendone affondare una parte. Il che, poiché i galleggianti erano saldamente assicurati l’uno all’altro, portò all’affondamento dell’intera struttura. In entrambi i casi non ci furono vittime, per il semplice fatto che simili catastrofi hanno una progressione molto graduale. Non c’è il crollo immediato dei ponti sospesi, che cadendo dall’alto finiscono direttamente sul fondale. E poiché i ponti servivano, furono immediatamente ricostruiti.
Il primo ponte galleggiante moderno di Seattle arriva nel 1989, con la finalità di ampliare l’offerta stradale a supporto dell’interstatale 90. Proprio per questa ragione, l’Homer M. Hadley Memorial sorge in parallelo al ricostruito Murrow, in una situazione simile a quella che sta vivendo temporaneamente il nuovo SR 520. La struttura include soluzioni tecniche per la sicurezza più avanzate ed inoltre, essendo più larga di quella precedente, prevede anche due corsie per il carpooling, ovvero riservate agli autoveicoli con più passeggeri a bordo. Si tratta del quinto ponte galleggiante più lungo al mondo. Ma la visione più avanzata per un ponte galleggiante sul lago Washington sarebbe arrivata soltanto quest’anno, con la gloriosa inaugurazione dell’Evergreen Point “2.0”. Le prime avvisaglie di una percepita necessità di sostituire il precedente ponte sono rilevabili online, grazie ad alcuni video di 10 anni fa presenti sul canale ufficiale del WSDOT (Washington State Department of Transportation) in cui la vecchia presenza del viadotto precedente viene mostrata crollare, prima per l’effetto di forti venti, quindi per un ipotetico terremoto. L’impressione che se ne ricava, quindi, è quella di una struttura costruita secondo crismi decisamente superati, e che avrebbe potuto fare la stessa fine, in un ipotetico futuro, del ponte sul canale di Hood o del Murrow Memorial. Nel 2010 quindi, tra le immancabili proteste popolari, è stato riattivato il sistema dei pedaggi a pagamento, con la finalità di finanziare una nuova e più sicura versione della stessa cosa. La costruzione è quindi iniziata nel 2012, con l’approvazione ed il patrocinio di 47 rappresentanti di diverse organizzazioni tra agenzie pubbliche e private, grandi aziende e associazioni dei concittadini.
Il nuovo SR-520 è ovviamente un significativo passo avanti nelle prestazioni e le caratteristiche dei ponti galleggianti di Seattle. Il ponte prevede 21 galleggianti longitudinali, dal peso complessivo di 11.000 tonnellate, più 54 supplementari per aumentare la stabilità. Ha quindi strumenti di galleggiamento pressoché doppi rispetto al ponte precedente, oltre a trovarsi considerevolmente più in alto rispetto alla superficie del lago, risultando quindi più protetto dalle onde occasionali. La carreggiata prevede quattro corsie normali e due per il carpooling, oltre ad un passaggio sottostante per pedoni e biciclette, poggiato sulla superficie degli stessi galleggianti. Alcuni dei quali, aspetto senza precedenti, sono stati dotati di un serbatoio di raccoglimento dell’acqua proveniente dai chiusini soprastanti, che viene quindi filtrata riunita a quella del lago in maniera graduale e filtrata, contribuendo alla salvaguardia dell’ambiente. Dette cisterne, tuttavia, finivano per intrappolare occasionalmente anatre, cormorani ed altri uccelli, così si è proceduto ad includervi delle rampe oblique, utilizzabili dagli animali per fuggire. Ma il vero fiore all’occhiello dell’intero progetto è il sistema di controllo remoto della situazione di ciascun galleggiante, collegato tramite sistemi informatici ad un edificio di manutenzione sito sotto la rampa d’accesso orientale del ponte, che permette al personale di gestione di acquisire informazioni in tempo reale sul potenziale sopraggiungere di vari tipi d’emergenze. Si può quindi affermare che Seattle abbia, finalmente, trovato il suo ponte “inaffondabile”? Possibile, quasi sicuro. Come in tutte le grandi imprese, non mancano i detrattori: un anonimo “ispettore delle costruzioni” avrebbe affermato nel novembre del 2012, rivolgendosi ad alcuni quotidiani cittadini, che la WSDOT si fosse affidata in un primo momento a fornitori inefficienti, e soprattutto abbia voluto imporre la propria supervisione tecnica su aspetti che le risultavano insufficientemente familiari. Ed è un dato certo che la costruzione dei nuovi galleggianti fosse andata incontro a diverse problematiche, come l’impiego dei rinforzi in acciaio non corretti, o la colata del cemento effettuata in giorni troppo umidi o freddi, portando a crepe indesiderabili e pericolose. Ma ogni problema è stato risolto, nel tempo. Tranne quello più grande ed ingombrante: per l’appunto, il trascorrere del tempo stesso. Per i molti lunghi anni a venire.
Il nuovo 520 non è ancora aperto al traffico degli autoveicoli, ma soltanto a quello pedonale. L’inaugurazione di un simile fondamentale aspetto, quindi, è prevista per l’11 aprile in un senso (quello Ovest) e il 25 per l’altro. Non c’è dubbio in merito al fatto che gli abitanti della città siano pronti ad accogliere con gioia la riduzione notevole del traffico quotidiano. Come pure che qualcuno di essi, inoltrandosi sopra le fredde acque, sia già pronto a incrociare gli pneumatici ed a trattenere il fiato. Dopo tutto, non si sa mai!