Come ogni giorno, mattina e sera, il camion giallo del Golden Gate lascia ancora una volta il suo deposito, per avventurarsi lungo il suo tragitto da un lato all’altro di quello che costituisce, da ormai 83 anni, il singolo ponte più famoso e fotografato del mondo intero. Tanto che la prassi di cui tale veicolo è il protagonista, in atto da circa un anno, non può che essere definita una sostanziale novità. La scena si verifica al termine delle due ore di punta maggiormente temute, ovvero quando gli abitanti della zona residenziale a nord del grande ponte hanno finalmente concluso la loro marcia, con auto, moto e vari tipi di furgoni, verso il centro cittadino, diciamo verso le 9:00/9:30 circa; quindi, ancora una volta di sera, in senso contrario e dopo le 19:00, quando l’ingorgo di ritorno a casa si è finalmente districato e tutti si apprestano al consumo della meritata cena. È una visione insolita, ma niente affatto incomprensibile: dopo il primo attimo di spiazzamento, persino a dei turisti provenienti da fuori come potremmo essere noi, appare totalmente chiaro quello che sta succedendo. Una squadra di circa 6 uomini, egualmente suddivisi nelle due cabine di comando del bizzarro veicolo, sono impegnati a manovrare la più grande chiusura lampo che si sia mai vista. Proprio così. Beh, non esattamente… Tuttavia, se ci fosse della stoffa attaccata agli oggetti della loro attenzione, ed un altro camion due corsie più in là, tale descrizione corrisponderebbe esattamente all’assoluta e chiara verità.
Si tratta di un’esigenza piuttosto gravosa, eppure del tutto inscindibile da questo luogo. Il fatto è che il vecchio e magnifico ponte, la cui costruzione condotta secondo i crismi estetici dell’Art Decò fu portata a termine proprio al culmine della grande depressione americana degli anni ’30, fu costruito pensando al futuro, ma non abbastanza. Ed ebbe un successo superiore alle aspettative; giacché la promettente città di San Fran, rispetto agli altri grandi centri della Costa Occidentale, non sembrava crescere in modo sufficientemente veloce. Eppure nessuno sembrava pensare, in quell’epoca, che sarebbe diventata di lì a un paio di generazioni la 13° per popolazione degli interi Stati Uniti. Con quasi un milione di persone concentrate in 600 Km quadrati, proprio sulla punta nord dell’omonima penisola californiana. Con una densità tale, da raggiungere quella della metropoli di New York! E tutta quella gente, che sarebbe restata unita alla terra ferma da un solo lato, se non per quella sottile striscia di cemento sospesa ai possenti cavi, lanciata coraggiosamente da un lato all’altro di una baia ventosa e soggetta a correnti particolarmente violente, tanto che per molti anni il progetto fu ritenuto “sconsigliabile ed imprudente”. Ma il fatto è che il ponte si fece, eccome. Anzi a chiedere agli odierni pendolari che ne fanno l’impiego più assiduo, ce ne sarebbero voluti anche due. Non credo sia nemmeno lontanamente comparabile al consueto concetto di ingorgo stradale, questa situazione di una vera e propria strettoia geograficamente insuperabile, attraverso cui devono filtrare quotidianamente, come i granelli di una clessidra, tutti gli appartenenti alla working class locale, che nella loro vita non sono stati abbastanza fortunati, o facoltosi, da procurarsi un’abitazione nella vera e propria Città della Nebbia (che non è Avalon, ma…) Sei corsie. Soltanto tre in ciascun senso, ed anche piuttosto strette, al punto che nei momenti di traffico leggero e veloce, il sorpasso diventa un’impresa complicata ed ansiogena per qualsiasi automobilista inesperto. Ora, in simili situazioni sulla terra ferma, generalmente si opta per un ampliamento del tratto stradale, tramite l’aggiunta di qualche costoso metro ai due lati della carreggiata, che si estenda per l’intero tratto oggetto del sistematico congestionamento. E qualcosa di simile, incredibile a dirsi, fu fatto anche nel caso di almeno un ponte, quello di Auckland in Nuova Zelanda, che nel 1965 fu visto arricchirsi delle due celeberrime “Nippon Clip-on”, delle aggiunte posticce alla carreggiata, prodotte e messe in opera dalla compagnia giapponese Ishikawajima-Harima (il buffo nome è un’eredità della diffidenza popolare rimasta dall’epoca dell’allora vivida seconda guerra mondiale). Grandi opere ingegneristiche, che tuttavia comportarono una spesa estremamente considerevole, ed iniziarono ad essere oggetto di continue limitazioni d’utilizzo dopo pochi anni dal completamento, quando si scoprì che un ipotetico, sebbene quasi impossibile ingorgo di grandi camion, avrebbe potuto teoricamente portare ad un cedimento catastrofico della loro struttura.
Mentre qui negli Stati Uniti della vecchia frontiera, fu chiaro da subito, si sarebbe scelto un approccio più semplice e tradizionalista. La definizione di una corsia mediana, o per così dire, “ballerina”, che venisse impiegata a turno dalla maggiore parte della collettività. Ed il problema fu, fin da subito, trovare un metodo per regolamentare la cosa…
La vecchia tradizione ebbe inizio nel 1968, soltanto tre anni dopo la questione del ponte di Auckland, e si rivelò quasi subito un successo. A ogni giro dell’astro solare del cielo, negli stessi orari dell’odierno camioncino miracoloso mostrato in apertura, un furgone delle autorità stradali della California intraprendeva la traversata del ponte a una velocità sostenuta, con due predellini, uno nella parte frontale destra, l’altro sul retro a sinistra. Su questi, due persone, incaricate rispettivamente di prendere al volo e collocare dei coni di plastica gialla, si occupavano di spostare in maniera sistematica i delimitatori di corsia, creando a tutti gli effetti l’esistenza di una sesta corsia virtuale, a disposizione, volta per volta, di chi ne aveva maggiormente bisogno. Una soluzione intelligente, resa possibile in primo luogo da una considerevole abilità manuale degli operatori, che in un mondo perfetto, è probabile, sarebbe stata più che sufficiente. Ma poiché la realtà dei fatti è tutt’altro che priva d’imprevisti, l’approccio dei coni fu purtroppo alla base di diverse tragedie. Il fatto è che il limite di velocità, sul Golden Gate, sarebbe fissato a soli 72 Km/h (fu ridotto dagli 80 nel 1989) ma ahimé, nessuno lo rispetta. E si tratta di uno di quei luoghi, mi sentirei di ipotizzare, in cui osservare al 100% le norme del codice stradale espone a dei rischi ulteriori, con l’imprudente collettività che semplicemente non si aspetta di trovare automobili intenzionate a muoversi, su quello che comunque rimane un lungo rettilineo, ad un ritmo inferiore a ciò che l’apparenza sembra erroneamente suggerire (purtroppo). Così, gli incidenti con sconfinamento nella corsia opposta furono molteplici, con 128 collisioni frontali che hanno portato, dall’istituzione della corsia mediana fino al 2015, ad un gran totale di 16 decessi.
E numerosi infortuni gravi, tra cui quello subìto dalla ricercatrice medica di fama Grace Damman, che nel 2008 proprio percorrendo la corsia mediana subì un incidente che la lasciò paralizzata dalla vita in giù, a causa di un automobilista dell’altro lato che aveva avuto un malore. Da allora, la donna si era fatta una grande promotrice della necessità d’istituire una barriera mobile sul Golden Gate, un’ipotesi tecnologica tutt’altro che accessibile e priva di complicazioni.
Ma ecco che giunse, a sostegno dell’arduo proposito, l’aiuto inaspettato della tecnologia. Il “camion chiusura lampo” del Golden Gate è in effetti il componente principale di quello che viene definito in gergo un sistema di trasferimento della barriera, ovvero un metodo per spostare, con tempi e costi relativamente ridotti, un’intero muro di blocchi in cemento armato da una parte all’altra di una corsia stradale. L’installazione del sistema è stata completata l’11 gennaio del 2015, al termine di una storica chiusura del ponte durata circa 45 ore e mezzo, la più lunga dal giorno della sua inaugurazione, ad un costo complessivo di circa 2 milioni di dollari. Che può apparire significativo ma in realtà, su questa scala di opere pubbliche, è una cifra assolutamente trascurabile, persino insignificante. A comporlo, oltre alla macchina BTM (Barrier Transfer Machine) 3.500 blocchi cementizi spessi appena 15 cm e potenziati con il sistema ABSORB 350 della Lindsay Corporation, concepito per ammortizzare gli urti senza spostarsi, nonostante il peso unitario relativamente ridotto di ciascun singolo componente. I blocchi sono uniti tra loro attraverso dei cardini di acciaio, ed hanno una particolare forma a T, che permette alla macchina di sollevarli e riposizionarli durante la marcia, senza bisogno di un operatore a terra che diriga i lavori. L’intera operazione di spostamento, da un lato all’altro del pluri-chilometrico ponte, non richiede neppure un’ora di tempo. Al termine dell’impresa, quindi, il veicolo non dovrà neppure voltarsi, vista la presenza di una cabina di controllo per ciascun lato, ciascuna delle quali dotate della necessaria strumentazione per condurre il recupero o il riposizionamento della barriera. La necessità di sorpassare questo insolito mezzo di trasporto, che procedendo con una disposizione assurdamente diagonale, modifica l’andamento del traffico direttamente in corso d’opera, dev’essere un’esperienza piuttosto impressionante. Ed alcuni automobilisti, si legge su Internet, hanno sviluppato un’istintiva diffidenza contro gli zipper trucks, che in funzione della loro barriera, sostengono, porterebbero a una pericolosa riduzione del già ridotto spazio disponibile per ciascuna corsia. Inoltre, dall’installazione del sistema, i rilevamenti statistici parlano di un ulteriore aumento della velocità tenuta da un’altra parte degli utilizzatori del ponte, evidentemente infusi di un pericoloso senso di sicurezza.
Difficilmente, tuttavia, si potrebbe definire l’implementazione della barriera come un insuccesso: sul San Francisco Chronicle si parlava a gennaio di quest’anno, dopo esattamente 12 mesi dall’installazione, dei quattro incidenti avvenuti da quello storico giorno, in cui secondo gli studi effettuati una o più delle automobili coinvolte avrebbero immancabilmente invaso la carreggiata del senso opposto. Portando a conseguenze terribili e potenziali perdite di vite umane. Basta un attimo distrazione, una vertigine, un mancamento… Quando ci si mette al volante, in molti particolari momenti, l’imprevisto può sopraggiungere alla velocità del Fulmine o del Tuono. Ed è a questo punto, se si è sufficientemente fortunati, che dovranno entrare in gioco le chiusure Lampo.