Gli alti bastioni di Emain Macha, sulle colline di Armagh, sembravano chiamarlo ed accoglierlo con un senso di possente aspettativa. Il ragazzo ben sapeva, grazie a un’intuizione superiore al normale, che qualunque cosa fosse successa in quel fatidico giorno, sarebbe stata predestinata dagli Dei. E questo aveva detto prima di partire a sua madre Deichtine, figlia ed auriga del re di Ulster, Conchobar mac Nessa. Così, all’età di soli 11 anni, il coraggioso Sétanta aveva lasciato la tenuta di famiglia, l’equivalente di un feudo medievale nell’epoca del primo secolo d.C, per recarsi presso la capitale del regno, ed unirsi alle bande guerriere dei giovani difensori dei clan. A vederlo, non sembrava ancora fatto della stoffa di un eroe: egli era basso, con la carnagione scura, non particolarmente muscoloso o imponente. Il lunghi capelli, dai riflessi cangianti tra il castano, il biondo e l’oro, erano stati legati con cura attorno alla sua nuca. La tenuta era modesta ma conforme a quella tipica del viaggiatore, con un mantello di colore verde dal cappuccio abbassato, stivali stretti alle caviglie con la corda ed una larga tunica, dalla stoffa decorata a quadrettoni variopinti. Nella mano destra stringeva, come sua abitudine, il fido bastone da passeggio dalla testa appesantita, che il suo popolo era uso a definire shillelagh. Nessuno, nella capitale, conosceva il suo volto. Eppure i guardiani del portale dell’arena, vedendolo palesarsi, subito si fecero da parte: c’era un qualcosa, nello sguardo e il portamento di quel ragazzino, che riusciva a suscitare un senso immediato di soggezione, persino tra i guerrieri veterani delle molte battaglie dell’Ulaidh, la terra che un giorno lontano avrebbe preso il nome di Irlanda del Nord.
Quasi immediatamente, sopra l’erba rigogliosa del luogo di scontro ed addestramento in cui si era inoltrato lo straniero, calò uno stato innaturale di immobilità. Chi correva, chi lanciava e riprendeva la sliotar, tradizionale palla in legno e crine di cavallo, chi si adoperava negli scontri simulati col camán, una sorta di versione piatta e larga della mazza da guerra, simile ad un remo, con rinforzi di metallo alle sue contrapposte estremità…16 ragazzi, ancora troppo giovani per essere guerrieri, si fermarono, si riunirono in un minaccioso capannello, quindi avanzarono verso quello che non potevano fare a meno di considerare un intruso: “Chi sei tu, insignificante individuo…” A parlare era il capo della banda, che l’abbigliamento identificava come il figlio di un nobile della città, “…Che osa mettere piede nello stadio di Emain Macha, senza prima chiedere la protezione a uno di noi? Lo sai cosa comporta questo gesto?” A quel punto Sétanta, i piedi ben piantati nella posizione di riposo del Gioco, lo shillelagh ben stretto tra le mani e in posizione orizzontale all’altezza della vita, serra i denti e increspa il labbro superiore: “Voi…” Le pupille improvvisamente ingrossate, prendono a muoversi in maniera ritmica da destra verso sinistra, e viceversa, mentre le sopracciglia sporgono in fuori, a guisa di malefici vermi di terra: “Siete voi…La giovane banda…Che progetta di assalire il Connacht? Voi…Non siete pronti.” Colto in contropiede, l’arrogante condottiero apre la bocca, quindi la richiude. Alza in alto il suo intimidatorio camán. Poi pronuncia le fatidiche parole: “Ragazzi, questo qui viene da fuori, ad insultarci. Dategli subito ADDOSSO!”
Ora, naturalmente, nell’Irlanda protostorica le risse erano già una cosa seria. Ce n’erano di ogni tipo, nelle locande, nelle piazze, durante le riunioni di governo nella lunga sala del sovrano. Per le ragioni più diverse: una disputa su scambi commerciali, ad esempio, oppure divergenze in materia di proprietà terriere. O ancora l’incertezza su chi dovesse cedere il passo alla sua controparte. Una donna. Ma nessun argomento infiammava gli animi, soprattutto nella primavera della vita, che la sensazione di aver ricevuto un’offesa d’onore. E questo, Sétanta lo sapeva molto bene. Così alzò subito lo shillelagh, per deviare il colpo del suo nemico. Qui lo fece mulinare in un ampio discorso persuasivo, simile al movimento ritmico di un direttore d’orchestra. La banda dei giovani esitò. Ma il primo di loro, che nonostante l’età era già scaltro e furbo nella lotta, si era nel frattempo mosso alle sue spalle con la fluidità del vento, e alzato l’attrezzo in legno e ferro sopra la sua testa, lo vibrò poderosamente all’indirizzo del nipote del re, colpendolo alla spalla destra. Quello, quindi, cadde a terra rovinosamente. E tutto sembrò essere perduto, mentre già il resto della banda, ripreso il coraggio, insidiava la figura ripiegata su stessa da ogni lato. Se non che all’improvviso, il futuro difensore dell’Ulster parve come illuminarsi, in un vortice di calore divampante, mentre i capelli si scioglievano spontaneamente dall’acconciatura e prendevano un aspetto paragonabile a quello della chioma di Medusa. La sua pelle assunse una tinta minacciosamente rossa, mentre gli abiti si agitavano per l’effetto di un vento sovrannaturale. La mazza gettata da una parte, appariva ormai del tutto priva di significato, visto come la mani strette ad artiglio parevano atteggiarsi alle zampe di un orso. Sétanta balzò in piedi, mulinando come un ossesso. In breve tempo, l’intera cricca degli aspiranti guerrieri fu annientata dal nuovo arrivato. Qualche osso qui e là, secondo il resoconto dei presenti, potrebbe aver ceduto all’entusiasmo della situazione.
Gli adulti distanti, che osservavano la scena dagli spalti, capirono immediatamente a cosa avevano assistito: era questo, niente meno che un leggendario caso di ríastrad, l’invasamento divino. Il ragazzo trasfigurato, quindi, riprese il controllo e ritornò ragionevolmente “umano”. Ma da quel giorno, nessuno avrebbe più dubitato del diritto di Sétanta a percorrere il campo da Iomáint di Emain Macha, e sarebbero anzi stati i giovani locali, con un senso di atterrita soggezione, ad implorare il suo permesso per accedervi, e giocare.
Le origini remote dello Hurling, sport nazionale d’Irlanda, si perdono nelle nebbie della Preistoria. Secondo l’opinione maggiormente accreditata, si tratterebbe di un tipo di gioco che fu trasportato sull’isola dall’influsso delle migrazioni gaeliche, analogamente a quanto avvenuto per il simile shinty scozzese, il bandy inglese e gallese. La particolare attività agonistica, pur essendo praticata assiduamente nel suo paese d’origine lungo i lunghi anni del medioevo e le altre epoche trascorse, rimase quindi letteralmente sconosciuta su scala internazionale, fino agli albori del secolo scorso, quando la diaspora irlandese lo trasportò integralmente negli Stati Uniti, in Argentina, in Australia e in Sud Africa. Tutti paesi dove esistono dei campionati locali, benché poco seguiti dal pubblico generalista, e numerosi piccoli club, il più delle volte finanziati privatamente. Ma l’unica squadra nazionale di Hurling resta quella dell’Irlanda, che secondo una stimata tradizione gioca ogni anno un’attesa partita contro la squadra scozzese di Shinty, in una tenzone particolare che vede l’integrazione di regole tratte dai due diversi sport. Una sorta di revival della cosiddetta Epoca d’Oro risalente al XVIII secolo, quando era diffusa l’assunzione, da parte dei magnati locali di ciascun territorio, di squadre autogestite che si sfidassero per difendere l’onore di ciascun clan.
Le regole della versione moderna del gioco, formalizzata nel 1884 dalla GAA (Gaelic Athletic Association) durante un congresso allo Hayes Hotel, Thurles, Co Tipperary, benché semplici, potrebbero apparirci poco familiari. Una partita dura normalmente 70 minuti, a seguito dei quali, in caso di pareggio, sono previsti occasionalmente dei tempi supplementari, a seconda delle regole dello specifico torneo o lega. All’inizio del match, a cui partecipano in campo 14 giocatori liberi più il portiere per ciascun schieramento, l’arbitro lancia la palla verso la metà del campo, dove i contendenti tentano di prenderne il controllo prima che tocchi terra. La presa al volo, nello Hurling, è attentamente codificata: si prevede che il giocatore alzi entrambe la mani, bastone incluso, lasciando quest’ultimo solo all’ultimo momento, per afferrare quindi la sliotar, una palla che ai giorni nostri assomiglia notevolmente a quella del baseball, sia per dimensioni che costruzione tecnica. A quel punto, il giocatore può compiere fino a quattro passi, con la palla stretta in mano, poi dovrà fare una di due cose: o passarla a un compagno, colpendola con il bastone o il palmo aperto (non è consentito un lancio diretto) oppure metterla in equilibrio sulla parte piatta del suo strumento, portandola in giro come se fosse una letterale patata bollente. È inutile dire che un placcaggio, mossa chiaramente consentita come del resto nella maggior parte degli altri sport nordici, in tale condizioni, sarebbe deleterio. Una volta caduta a terra, la sliotar non può essere semplicemente raccolta, ma dovrà venire sollevata tramite una specifica mossa del bastone (un “flick”) quindi afferrata al volo. Da quel punto, dunque, varrà nuovamente la regola dei quattro passi. Ogni tre volte che la palla viene passata di mano, inoltre, dovrà toccare il suolo. Ma questo, in genere, tende a succedere spontaneamente.
Lo scopo del gioco, naturalmente, è fare punto, attraverso due modalità previste: lo Hurling vede infatti la coesistenza della tipica rete di molti sport di squadra, analoga a quella del calcio e dell’Hockey (a metà fra i due nelle dimensioni) e gli alti pali ad H del Rugby o del Football americano. Sarà quindi possibile tirare sia al di sopra che sotto la traversa, cercando di superare la difesa del portiere dotato di una speciale mazza più larga, conseguendo rispettivamente uno oppure tre punti. Al termine della giocata, il conteggio tradizionale prevederà una doppia numerazione per ciascuna squadra, con una dicitura, ad esempio di 0-20/2-13 (nessun goal, 20 punti/2 goal, 13 punti). Non è chiaro se una tale prassi sia moderna, oppure risalente all’epoca remota del giovane Sétanta.
Che forse potreste anche conoscere, sebbene sotto un’altro nome. Vuole infatti una leggenda, e ce ne sono molte attribuite a questo presunto figlio di divinità, che il nonno e re Conchobar assistesse un giorno a una sua partita sul campo di Iomáint, e colpito dall’abilità dimostrata, decidesse di invitarlo ad un banchetto previsto per la sera stessa presso la casa del fabbro, Culann. Ma che l’occasionalmente invasato giovane guerriero, prima di recarvisi, dovesse finire la sua partita. E così, giungendo in ritardo presso il luogo dell’appuntamento, si trovasse dinnanzi il cane da guardia del fabbro, un mostruoso mastino. A quel punto, si racconta, prima di perire per le brutali fauci, il ragazzo sopraffece l’enorme cane e lo scaraventò contro una grossa pietra, quindi gli spinse in gola la palla in crine di cavallo sliotar, facendolo morire soffocato. Quindi, chiamato a giudizio dinnanzi al druido Cathbad, si dichiarò pentito del suo gesto, e dichiarò che da quel giorno sarebbe diventato il cane personale del fabbro Culann. Sétanta venne quindi ribattezzato Cú Chulainn, un’appellativo che il saggio stregone associò a una drammatica profezia: come l’eroe greco Achille, questo figlio d’Irlanda avrebbe fatto tremare il mondo con le storie della sua forza ed immane possenza. Avrebbe scosso i regni e scoperchiato le colline con singoli colpi della sua spada, avrebbe quindi sconfitto eserciti interi. Prima di perire giovane in battaglia, con ancora una vita intera inanzi a sé. Come si confà, immancabilmente, ai migliori eroi di qualsiasi nazionalità. E così, purtroppo, fu.